“Aurelio Galeppini (in arte Galep, inventore di Tex Willer), non era mai stato in America, inventò il proprio personale far west guardando il gruppo del Catinaccio nelle alpi trentine.”
Sergio Bonelli il papà insieme a Galep di Tex, usava questo aneddoto, per raccontare di come la fantasia non avesse limiti ne confini. Ci piace partire da qui per raccontare il nuovo, piacevolissimo lavoro di Andrea Mangia.
“Azulejos” uscito su Wonderwheel Recordings il weekend scorso, nasce a Lisbona, città ombelico del mondo, incrocio di razze, culture, idiomi e suoni dei due emisferi. La città portoghese è il posto più vicino e più virtuoso per sognare e immaginare quell’America Latina mai vista, eppure così sentita, così vissuta, nelle sue seduzioni, i suoi sentimentalismi e un calore passionale e vibrante che si riflettono anche nelle ritmiche del lavoro di Populous.
Quello di Andrea Mangia, è un lavoro che propone la sua personale visione di cumbia digitale e che della cumbia si fa “gesuita”, in un processo di evangelizzazione musicale fatto di estetica e provocazioni superficiali. Dentro questo album vive una fluidità pressoché continua nei 35 minuti di estensione del disco – un po’ pochini ma a contestazione Andrea ci risponde che con una lunghezza maggiore si sarebbe potuto correre il rischio di strafare, andando a sfiorare la noia.
Il risultato è un disco di musica sudamericana dal taglio europeista, che sa di Jamie xx (di cui Populous riprende la propria visione di colore mettendone nell’album a secchiate) e di folktronica, diverso forse dalla cumbia dei primi Dengue Dengue o dagli spiritualismi etnici di John Montoya, uno che quel suono ce l’ha nel sangue. È proprio John però, ad allontanare eventuali spiriti puristi del genere musicale in ordine dicendomi: “La cumbia non è il blues che ha regole che vanno rispettate, non si arrabbia se la cambi”. Così sia, perché basta chiudere gli occhi per trovarsi immersi tanto nelle cementine di Lisbona quanto nelle altitudini di Medellín viste con la sensibilità e le alte temperature di un ragazzo salentino.
Ci piace la lenta poesia di “Cru”, stellata dalla voce di Nina Miranda traccia che rimane giusto in attesa di un eventuale remix di Four Tet a cui i rimandi in questo pezzo sono evidenti. Ancora di più ci piace e ci convince “Racatin” (in cui si sente la mano dell’ottimo Jo Ferliga in post produzione), pezzo che sintetizza bene questo “Azulejos”: la ritmica è sudamericana, i sample anche, cantato tribale, i flauti onnipresenti nel disco idem e sopra a queste palette, quel synth a girandola techno, che di nascosto è poi il filo conduttore del brano.
A giudizio di chi scrive “Azulejos” supera in scioltezza il già ottimo “Night Safari” perché più fluido e meno cavalcante, figlio di una maturità data dal giusto bilanciamento tra l’osare e l’aplomb del personaggio.
Quello di Andrea Mangia è un carnevale di musica, tantissima musica (fatta di sample nascosti ma presenti): ascoltata, adorata, studiata e viziata.
Furbo? Nì, si potrebbe obbiettare che i lavori precedenti fossero più studiati o che scendessero più a fondo nell’intelletto, del resto però come ogni carnevale la festa è pensata per compiacere il pubblico, liberando se stessi. Questo è quello che fa Populous: liberare il proprio talento con i giusti paletti imposti dal proprio gusto e desiderio personale, non è la ricerca di un capolavoro ma estro, talento e libertà che potrebbero non soddisfare gli amanti del precedente lavoro.
Chi gode di più con “Azulejos”, a nostro avviso, è proprio l’ascoltatore che da questo nuovo lavoro viene viziato, scaldato e piacevolmente illuso. Le illusioni del resto, di cui le visioni sono madri, sono giochi in cui il trucco c’è ma non si vede e anche se solo per un tempo ridottissimo riescono sempre a lasciare a bocca aperta chi rimane ad osservare.