Per quanto se ne fosse parlato parecchio sin dai tempi di “W”, del 2011, il successo era arrivato soprattutto con il precedente “All Love’s Legal”, del 2014 (ricordate i contagiosi inni LGBTQ “Let’s Talk About Gender Baby” o “Patriarchy Over & Out”?), ma “Powerhouse”, pubblicato via Human Level/DFA Records, è in realtà già il quarto album a firma Planningtorock.
In queste nuove dieci canzoni Jam Roston, producer e artista multimediale inglese di Bolton con base operativa a Berlino (città nella quale si sono appunto svolte le session, con ulteriori fermate a Londra, New York e Los Angeles), diventa più introspettiva/o, a momenti quasi più vicina/o tanto per intendersi a un ANOHNI che non agli abituali compagni di scorribande alternative-impegnate su un dancefloor-arcobaleno, dai The Knife – Olof Dreijer dà comunque una mano dietro ai comandi per la traccia “Much To Touch”, con flauto funky e ritornello in puro stile R&B – agli Hercules And Love Affair di Andrew Butler. Ricordiamo allora che Roston e Dreijer erano abituati a condividere il medesimo studio di registrazione, chissà se è sempre così, e che la succitata “Let’s Talk About Gender Baby” era costruita sulle liriche di “Full Of Fire” degli stessi The Knife, contenuta nel monumentale “Shaking The Habitual”, focalizzato su femminismo e faccende di genere: il cerchio si chiude.
Lo sguardo da politico si è fatto insomma maggiormente autobiografico, nel trattare temi al solito identitari ancor prima che attuali. Si fa politica, d’altronde, partendo dal privato o per meglio dire dalla vita di tutti i giorni, magari con l’aiuto di qualche seduta dal terapeuta: vale quasi per ciascuno di noi, oggi. La “house” del titolo, oltre alla musica, può dunque rappresentare un’auspicabile “home” (i riferimenti alla madre nel testo della title track non sono casuali), mentre il potere deriva dalla libertà d’espressione personale. E come si uniscono al meglio divertimento e “messaggio”? Secondo Jam, tramite parole che siano il più possibile immediate, non fraintendibili, dritte al punto.
Il primo estratto, “Transome”, è uno degli episodi più interessanti in termini melodici e di onde elettroniche, ma non mancano altri brani che meritano almeno un ascolto, che si tratti di synthsongwriting sotto forma di morbida ballad (la familiare “Dear Brother”, l’enfatica “Piece Of My Mind” munita di archi) o numeri pop-house eleganti ma di pari passo accattivanti (“Somethings More Painful Than Others”).
Probabilmente, l’unica eventuale pecca è da individuarsi per paradosso in quella che è una delle peculiarità di Planningtorock: la voce distorta e auto-tuned, alla lunga, può stancare. Sappiamo che l’escamotage serve per prendersi gioco delle sciocche limitazioni di catalogazione sessuale (“Gender is just a lie”, you know?, dalla vecchia “Human Drama”), perché – come intonato stavolta nella minimal “Jam Of Finland” – “I feel a transformation in me”. Anzi, i pitch vengono somministrati alle linee canore addirittura sulla falsariga dell’assunzione di testosterone da parte di Roston, indispensabile per passare dal nome di battesimo Janine al nome neutrale Jam, ma questa traslazione del proprio vissuto “non-binary genderqueer” – citiamo a questo punto un altro pezzo in scaletta, il non indimenticabile “Non Binary Femme” – merita in futuro un po’ più di sperimentazione sonora per fungere da perfetto parallelismo.
Per ora, c’è una consapevolezza necessaria che aggira il rischio sloganistico – necessaria, ovvio, perché ciò che sembrava una conquista acquisita, in questa epoca tornata buia, è rimesso incredibilmente in discussione – e c’è una complessiva godibilità d’ascolto. Va bene così.
Foto di Goodyn Green