L’islandese Stephan Stephensen, meglio noto come President Bongo, ama definirsi come un “carpentiere emozionale”, per la sua dedizione assoluta nei confronti della musica che produce. Eppure, in questa intervista, più che il metodo ci ha colpito la sua sensibilità artistica, il considerarsi un viaggiatore alla costante ricerca del nuovo. L’occasione di poter parlare con lui è arrivata grazie alla partecipazione, dal 3 al 5 agosto prossimi, al Mukanda Festival a Vico del Gargano (Foggia), dove presenterà il suo ultimo lavoro, chiamato “Serengeti”. Il disco, ispirato dalla più grande migrazione animale del mondo, quella africana, è un vortice di spiritualità e ritmo, o meglio, di animismo e battiti primordiali, che rendono l’esperienza perfetta per la testa e per le gambe. Questi e altri temi – dal suo distacco dai Gus Gus a quanto sia importante seguire le proprie emozioni in musica – direttamente dalle parole di Stephensen.
La pianura africana del Serengeti è nota per gli impressionanti movimenti migratori che si verificano ogni anno. Intorno a ottobre circa un milione e mezzo di erbivori si spostano al pascolo verso sud, per ritornare indietro intorno ad aprile. Questo movimento, chiamato anche “migrazione circolare” perché non segue direttrici rettilinee, ha ispirato il tuo ultimo album, vero?
Esatto. Si tratta anche della ricerca delle proprie radici, il ripartire daccapo con il vento che soffia sulle nostre spalle. Contano i dettagli ma anche il quadro d’insieme.
Nel disco, chiamato per l’appunto “Serengeti”, i ritmi travalicano i confini tra generi in una sorta di danza che è primitiva ma al contempo moderna. Quanto lavoro di ricerca musicale c’è dietro?
Non c’è sempre una esplicita ricerca dietro a quello che faccio. Si tratta piuttosto di seguire una sensazione, di scoprire dove una particolare strada ti può portare a livello emotivo. Sono stato in Africa. Ho scalato il Kilimangiaro e visitato Serengeti. Mia sorella vive da vent’anni in Gabon, quindi la mia famiglia è lì. Tutto questo doveva trovare una strada all’interno della mia musica, come l’acqua che scorre lungo percorsi montani inimmaginabili.
I titoli dei brani di “Serengeti” rappresentano la “rosa dei venti”. E’ un ulteriore riferimento al concetto di mutevolezza ambientale/geografica che ha ispirato il lavoro? Alcuni brani soffiano sull’album come un vento che è di passaggio rispetto al suono globale.
Il vento è molto importante per me, essendo un marinaio, e la rosa del venti mi è assai cara. L’italiano è una delle poche lingue in cui è stato dato un nome a ciascun vento che spira da direzioni diverse. Ho preso spunto da questo fatto per i nomi dei brani. Il vento gioca un ruolo importante a Serengeti. Quando zebre e gnu si spostano assieme, uno ascolta e l’altro odora, e a portare gli odori è proprio il vento.
Ho letto che ti piace la definizione “carpentiere emozionale” per descrivere il tuo operato. E’ vero? Effettivamente l’emozione gioca un ruolo fondamentale nella tua musica.
Sì, questa espressione è stata inventata da una mia amica che si chiama Gabriela Fridriksdottir. E’ il suo modo di descrivere il proprio approccio artistico, una maniera diversa di chiamarsi per non dire artista. Condivido appieno, è tutta una questione di duro lavoro e di impegno costante. L’arte è un capo inflessibile.
Sarai uno dei protagonisti del Mukanda Festival, una vetrina d’eccellenza sull’afro-futurismo e i suoi contorni più allargati possibili. Cosa possiamo aspettarci dalla tua esibizione?
Recentemente ho portato “Serengeti” in tour con una band, ma al Mukanda Festival sarò da solo. E’ un approccio differente, che mi piace molto. Credo che il pubblico non dovrebbe aspettarsi nulla, l’aspettativa non è mai utile in questo mondo. Però, presentarsi con la mente sgombra di pregiudizi e con le migliori scarpe per ballare, può essere un buon punto di partenza!
L’Africa è la culla dell’umanità e crogiolo artistico sempre vivo. Credo che il suo riscatto storico non possa non passare anche dalla musica, ma deve essere endogeno, quindi partire dal Continente stesso. Mi piacerebbe sapere se sei sensibile a questi temi.
Sono temi troppo grandi per me. Però credo che noi, discendenti della madre Africa, dovremmo fare del nostro meglio, in qualunque maniera possibile. Io continuerò a farlo, “Serengeti” è solo il primo passo.
Sulla tua pagina SoundCloud hai pubblicato recentemente una versione alternativa di “Ponente”. Hai in mente di affidare altri pezzi a dj/musicisti che stimi?
Ho cercato di coinvolgere alcuni amici nell’operazione del remix ma non è stato semplice per loro. Di fatto non c’è un brano che abbia bpm fissi e le parti elettroniche sono interamente improvvisate con un vero sequenziatore. Tutto il resto è suonato dal vivo. Quindi non è una operazione percorribile purtroppo, ma amo molto il remix di “Ponente” al quale fai riferimento, lo trovo in qualche modo sensuale.
Come ci si sente al di fuori dei Gus Gus?
Mi sono sentito come in trappola nei Gus Gus durante la lavorazione dell’ultimo disco. Stavamo girando in tondo, gli altri membri della band volevano andare nella direzione del pop mentre io fare tutt’altro. Mi piace andare verso l’ignoto, come un animale affamato a caccia di prede.
Ascolti la musica di tuoi amici o colleghi mentre stai producendo un disco, oppure ti isoli completamente rispetto al mondo esterno?
Niente e nessuno può avvicinarsi, neanche lontanamente, a me quando produco (ride ndr). Sembra una cosa da pazzi ma è proprio così. Ci ho provato ma quando sono in studio non faccio altro che concentrarmi sulle mie cose.
Mi piacerebbe sapere quali sono i dischi che recentemente ti sono piaciuti di più. Di qualunque genere.
Slagwerk Den Haag – Timber (un gruppo di percussionisti olandesi anche noti con l’acronimo “SDH” ndr).
Riguardo alle tue produzioni ti consideri un perfezionista oppure sei per il “buona la prima”? Magari una via di mezzo tra pignoleria e improvvisazione.
Sono per l’improvvisazione. Quella buona è la prima, al massimo la seconda. Per esempio, nel brano che si chiama “Greco”, ho inserito nel mixato, come linea di basso, una sessione di improvvisazione al sintetizzatore, rendendolo di fatto immodificabile successivamente. Gli spettacoli dal vivo, con la band oppure da solo, sono sempre frutto di improvvisazione, pur mantenendo un certo legame con le melodie che sono su disco.
Cosa fai quando non sei President Bongo?
Faccio di tutto all’interno del panorama musicale. Suono, mi occupo dei missaggi, fotografo, realizzo video e chi più ne ha più ne metta. Sono anche impegnato nella gestione di una piccola etichetta discografica. Amo realizzare colonne sonore e lavorare per produzioni dance. Quindi capirai che sono sempre in giro.
Quando hai voglia di rilassarti, a casa tua, cosa ascolti?
I lavori improvvisati per pianoforte del mio collega David Thor Jonsson.
Hai già idee per il prossimo futuro? Magari una nuova produzione oppure una collaborazione artistica.
Mi sto già occupando del mio prossimo lavoro che si chiamerà “Quadrantes”, collaborando con il compositore Óttar Sæmumdsen. Inoltre sto producendo un gruppo che si chiama Tilbury (una band di Reykjavik). Perciò c’è un bel po’ di materiale in arrivo. “Tilbury” uscirà questo autunno su Radio Bongo, mentre “Quadrantes” all’inizio del prossimo anno.
English Version:
The Icelandic Stephan Stephensen, better known as President Bongo, likes to describe himself as an “emotional carpenter”, for his absolute dedication towards music. Up to now, in this interview, rather than his method, hit us his artistic sensibility, he is a traveler in constant search for something new. The opportunity to speak with him came through the participation, from 3 to 5 August, to Mukanda Festival in Vico del Gargano (Foggia, Italy) where he will present his latest work, called “Serengeti”. The album, inspired by the world’s largest animal migration, the African one, is a whirlwind of spirituality and rhythm, or, better known, between animism and primal beats, a perfect experience for mind and legs. These and other topics – from his separation from Gus Gus to the importance to follow emotions in music – directly from the words of Stephensen.
The African Serengeti plain is well known for its impressive migratory movements that occur each year. About a million and a half of herbivores around October grazing towards the south, to come back in April. This movement, also called “circular migration” because it does not follow straight lines, inspired your last album, is it?
This is correct. It is also about the finding your roots and starting from the beginning with the wind in your back. It is about the details and the big picture.
In the record, precisely called “Serengeti”, the rhythms trespasses the boundaries between genres in a kind of dance that is primitive but yet modern. How much research is behind this work?
I would not say that there is deliberate research behind anything I do. It is all about a feeling and where a particular emotional road takes me. I have been to Africa. I have climbed Kilimanjaro and visited Serengeti. My sister lives in Gabon for 20 years so my family is there. All this will find its way into the music, like water running down an impossible path of a mountain.
The titles of the tracks from “Serengeti” represent a “wind rose”. Is this another reference to the concept of the environmental/geographical mutability that inspired the work? Some tracks blows on the album like a wind that passes thought the overall sound.
The wind is very important to me as being a sailor and the wind rose is something I hold very dear. Italian is one of the few languages that have individual names for each wind direction so naming the tracks as I do was a no brainier, so to speak. Wind will ask play an important role in the Serengeti as when zebras and wildebeest travel together, one hears and the other smells.. And wind brings the smell.
I read that you like the definition “emotional carpenter” to describe your work. Is it true? Indeed I think that emotions plays a major role in your music.
Yes, it comes from a friend called Gabriela Fridriksdottir and was her way of describing her artistic approach instead of calling herself an artist. I agree cause it’s all about working hard and working all the time. Art is a hard boss.
You will be one of the main artists playing at Mukanda Festival, a showcase of excellence about afro-futurism and its most enlarged possible contours. What can we expect from your performance?
I have been touring Serengeti with a band lately but at the Mukanda Festival I will perform alone. It is a different approach but one I like really much. I think people should not expect anything because expectation never got us forwards in this life. However, to be there with an open mind and your best dancing shoes would be a good start!
Africa is the cradle of humanity and continues to be an unique artistically melting pot. I think that his historical rise must necessarily switch also from music but it growth must be endogenous, be from Africa itself. I’d like to know if you are sensitive to these issues.
I am not sensitive to this topic at all. I do though think that us, the offspring’s of mother Africa, should help her in any way we can. I will certainly continue doing just that and Serengeti is the first step.
On your SoundCloud you recently published an alternate version of “Ponente”. Are you planning to entrust other pieces to DJs/musicians?
I have been trying to get friends in the business to tackle remixes but it has been hard for them so I do not really think that it’s easy. There is practically no certain bpm going on as everything that is electronic on this album is ‘improvised sessions’ straight from a hardware sequencer. All the rest is played live. So to narrow things down is not so easy but I kinda like this “Ponente” mix… It’s sexy in its particular way.
How does it feel outside Gus Gus?
I felt I was trapped in Gus Gus during the last album. We were repeating ourselves and the rest of the band wanted to go into the pop direction and me the other way around. It feels great to be going into the unknown.. Like a hungry animal hunting for food.
Do you listen to the music of your friends or colleagues while you’re producing a record? Or you completely isolate from the outside world.
Nothing else comes even close but my own stuff when I am making a record. Ha ha, it’s crazy but I cannot listen to anything else. I’ve tried but I always end up in the studio work being worked on.
I’d like to know which are the records that you recently liked the most. Of any kind of music.
Slagwerk Den Haag – Timber.
Regarding your creative process do you consider yourself a perfectionist or “the good one is the first one”? Maybe something in between hairsplitting and improvisation.
I am very much for the improvisation. Being it the first take or the second.. Sometimes, like in the track “Greco”, I even mixed in a bass drum in the improvised take of the synth to make it impossible to change afterwards. The live shows, alone or with a band are also improvised with ties to the melodies of the album.
What do you do when you are not President Bongo?
I’m doing everything related to music. Playing, mixing, doing photography, videos and whatnot. I even run a small record company. I love doing film scores and working on stuff for dance etc so I am already all around the field.
When you want just to relax, at home, what do you listen to?
Improvised Piano albums by the colleague David Thor Jonsson.
Do you already have ideas for the near future? Maybe a new production or an artistic collaboration.
I’m already doing my next album called “Quadrantes” which I am doing with composer Óttar Sæmumdsen and producing a band called Tilbury (local Reykjavik band) so plenty stuff coming up. Tilbury will be out this fall on Radio Bongo and “Quadrantes” early next year.