Il Primo Maggio, musicalmente parlando, è sempre stato colonizzato come attenzioni dal Concertone romano dei sindacati a Piazza San Giovanni (più un po’ di varie rifrazioni locali, quasi sempre politicamente connotate). Un Concertone che però negli anni ha accumulato anche del marcio: ad esempio non è mai stato sottolineato abbastanza che proprio il concerto ufficiale dei sindacati fosse stato gestito a lungo da società che erano pessime pagatrici, con bonifici “dimenticati” o in arrivo dopo mille sollecitazioni o ritardi inaccettabili, o che addirittura fallivano per poi rinascere – arabe fenici del cazzo – sotto altre spoglie riprendendosi l’appalto del Concertone suddetto.
È stato messo un po’ d’ordine, sotto questo punto di vista (alleluja!), ma nel frattempo il tutto è entrato in crisi d’identità artistico-politica: da un lato la necessità di rispettare almeno un minimo certe coordinate politiche e valoriali, dall’altro il giochetto di essere diventato un fenomeno di costume e soprattutto televisivo con quindi tutto il codazzo di trattative su ospiti attrattivi, su dati di share, sulle necessità di essere insomma anche “spettacolo” e fare numeri. Tutte cose che con la musica c’entrano fino ad un certo punto, e col messaggio ancora meno (pronta la giustificazione: dobbiamo parlare anche ai distratti ed agli apolitici, non solo ai già sensibilizzati). Risultato? C’è a chi sono girati i coglioni, o c’è semplicemente chi ha visto uno scollamento rispetto alle idee/ideali originari ed ha voluto sanarlo: ed è così che nasce il Primo Maggio alternativo di Taranto. Un posto dove, diciamolo francamente, i musicisti sono molto più coinvolti, perché – almeno al momento – i suddetti musicisti la causa dell’impegno politico e sociale la pensano veramente. A Taranto difficilmente vedrete Sfera sbandierare settordici Rolex al polso (…fermo restando che quella all’epoca fu in parte una ironica risposta alla faccenda dei “comunisti col Rolex”, ma vabbé).
Fra i due contendenti, esiste un terzo? Esiste. E per quanto ci riguarda ha la forma del One Day Music Festival catanese. Il terzo grande evento musicale del Primo Maggio è lui. Non lo cita nessuno fra i soliti media, non finisce sui quotidiani e sulle televisioni: perché non ha nessuna valenza o rivendicazione politica. È semplicemente un festival musicale, che dura un giorno. Ok. Ma intanto, senza tante chiacchiere, impiega persone, paga i musicisti e i loro staff, muove l’economia, forma professionalità. Poi per carità, è importante la sensibilizzazione, sono importanti i sindacati, sono fondamentali le tematiche sociali; ma se tutto diventa una gara di numeri o di vanità o di verginità, allora tanto vale fare il tifo per chi senza fronzoli fa il proprio mestiere e stop.
A Catania lo fanno bene, il mestiere. Sono anni che desideravamo visitarlo, One Day Music: perché ci arrivavano sempre dei feedback ottimi per quanto riguarda l’atmosfera. E infatti.
Il 2023 segnava la quattordicesima edizione: sono tanti anni, sì, e in questi tanti anni ci sono stati vari cambiamenti di pelle. Cambiamenti che si adeguavano, lo si può dire tranquillamente, anche alla richiesta di mercato. Non è insomma un festival “curatoriale”, dove si fanno scelte artistiche sofisticate e sopraffine; è uno di quei festival che molto banalmente vuole divertire le persone, e radunarne tante. È quindi perfettamente coerente che con l’ultimo paio di edizioni, con lo scorno degli intransigenti della penultima ora che volevano solo clubbing techno di qualità, sia aumentato a dismisura il peso del “palco trap” (chiamiamolo così per comodità: è per capirci), ma è esattamente la stessa cosa che ha fatto ultimamente Nameless, altro festival (bellissimo!) nato prima di tutto per fare stare bene le persone dalla “scintilla” iniziale dell’EDM.
Insomma, ci sono festival che puoi “pesare” raccontandone la line up, la preziosità delle scelte, la ricerca artistica, lo spessore sperimentale. Non è questo il caso. Così come ci sono festival che puntano sulla grandiosità dei palchi, degli effetti speciali, del battage pubblicitario, e che si fanno “mito” investendo moltissimo sul mercato del cazzo degli influencer da invitare e da ospitare e da vezzeggiare (ehi ciao Coachella, sì, stiamo parlando a te). One Day Music Festival non è né l’uno né l’altro.
È prima di tutto un festival che dura una singola, lunga giornata (dalle 11 del mattino a notte inoltrata: è tanto) con una caratteristica pazzesca: è sull’acqua, sul mare. Se ti gira, e se le condizioni atmosferiche te lo concedono (non quest’anno, purtroppo), puoi tranquillamente fare il bagno, e fare vita da spiaggia. Con in background o due palchi in piena attività oppure, volgendo lo sguardo un po’ più a destra, l’Etna a dominare tutto da lontano. Magico. Una meraviglia.
Ma ciò che è ancora più magico, e che ci ha fatto capire il perché dei tantissimi feedback positivi che regolarmente ci arrivavano negli anni passati, è l’atmosfera, la gente. Sì. Perché i pregiudizi stupidi ti fanno pensare che un festival che raduna un numero di persone a cinque cifre, con una line up volutamente “commerciale” (nel senso: ricercata e rivolta ormai a due nicchie ben precise, la cassa in quattro e la musica urban, ok, ma fatta per attirare tante persone di età giovane) e che si svolgono pure in una grande città del Sud non possa che diventare ad un certo punto un girone dantesco o giù di lì.
…stupidi eccome, questi pregiudizi.
Perché abbiamo toccato con mano un pubblico molto bello, molto civile, che poteva anche creare disordini (vedi lunghe code all’ingresso incanalate sì, però con transenne non fissate) ma che invece palesemente non è stato nemmeno sfiorato dal pensiero: quando sei preso bene, l’ultima cosa che ti viene in mente è creare problemi. One Day Music in tutti questi anni è riuscito a coltivare un pubblico numerosissimo, ma che di One Day Music si fida e quindi arriva ben disposto a prescindere.
Un altro luogo comune invece non stupido, e che ogni singola volta si conferma davanti ai nostri occhi per quanto riguarda il Sud Italia, è il calore del pubblico: mamma mia che cosa bella. Nel palco techno-house-e-dintorni abbiamo visto la pista piena già dal primissimo pomeriggio di gente che ballava, ma ballava proprio per davvero; che era felice, e non lo era solo a favore di scatto per il feed o una story di Instagram; che “viveva” la musica che stava ascoltando, non stava solo facendo sfoggio ginnico o del proprio abbigliamento più o meno Ibiza style. È stata una sensazione bellissima, corroborata anche dalla validissima prestazione di tutti i dj presenti (citiamo in primis ANNA, gli “eroi di casa” visto che hanno le origini qui Mathame, Chris Liebing, purtroppo ci siamo persi SPFDJ pare però proprio abbia spaccato).
Ma anche sullo stage rap/trap l’aria era buona: certo, Gué Pequeno è il solito amabile paraculo quando dice dal palco “Mi avevano chiesto di andare a Roma, per il Concertone, ma ho scelto di stare qui e ho fatto bene perché qui è molto meglio”, però è un dato di fatto che pure in quest’altra metà dell’One Day Music la vibra era buona. Chiaro, al contrario del palco con la cassa in quattro qui i telefonini in aria proliferavano parecchio (ecco: nell’aria techno/house erano quasi assenti, capite quanto bene si stava?), ma non era un pubblico bovino che era lì solo per fare presenza e catturare delle immagini col proprio smartphone da tiktokizzare o instagrammare, no, c’era, era presente, partecipava, e premiava col proprio calore chi sul palco più si sbatteva (vedi La Sad, che effettivamente ci danno dentro) o addirittura tributava inaspettati riconoscimenti ad una Lovegang 126 che ha tirato fuori, nel bene e nel male, un live 100% hip hop primi anni ’90 (aka disorganizzato ma stiloso, con un buon flow ad alternarsi al microfono), che avrebbe potuto generare perplessità.
Ci è piaciuto poi vedere un po’ di locali addetti ai lavori e sentire che erano tutti consapevoli della storia di Catania (una città che per qualche anno è stata la “Seattle italiana”: non lo è più da mo’, ma questa consapevolezza va tramandata di generazione in generazione), segno che attorno a One Day Music non gira solo l’ansia di scalare il mercato oggi, ma la consapevolezza a trecentosessanta gradi di cosa significhi fare musica live su determinati territori. Ci è piaciuta la tranquillità, la calma e la lucidità di tutto lo staff del festival; ci è potenzialmente piaciuta anche la grande implementazione di quest’anno, un’area “chill” ampia e ben curata, compresa però solo in parte del pubblico che a dirla tutta non l’ha frequentata tantissimo (nonostante la presenza di una line up dedicata capitanata dal grandissimo Deda aka Katzuma, una scelta di vera qualità), auspichiamo che l’anno prossimo quest’area ci sia di nuovo e che venga più apprezzata dai presenti al festival, lo merita.
In tutto e per tutto il sapore che ci è rimasto è stato davvero ottimo. Merito anche di un lavoro perfetto per quanto riguarda i due palchi (né piccoli, né troppo grossi e sovradimensionati: semplicemente, giusti) e il light design del palco danzettaro, sviluppato in modo avvolgente, chiaro, efficace, immersivo, anche stiloso. Sono altri i festival che ti stupiscono con effetti speciali allucinanti e strutture di grandezza smodata, One Day Music non vuole e probabilmente non può arrivare a tanto, ma la sensazione di “ci sono tutti gli elementi giusti al posto giusto presentati nel modo giusto per stare bene e divertirsi un tot” c’è stata parecchio. Unica pecca, ed una pecca che all’ora di cena è diventata un po’ fastidiosa, è l’area food: i due punti di ristoro hanno finito in fretta le cose decenti, da un certa ora in poi c’erano solo panini imbustati nella plastica risaldati poi alla bell’e meglio, e mangiare così malino a Catania – accidenti – è una esperienza che grida vendetta.
Siamo insomma come Gué Pequeno (e, a differenza sua, non abbiamo ricevuto un bonifico sul nostro conto per dirlo): quest’anno abbiamo sentito che era proprio bello stare a Catania, il Primo Maggio, probabilmente più bello che a Roma (in un Concertone che sta tentando di cambiare pelle per mantenere rilevanza major sul mercato) e sicuramente meglio che stare a Taranto (ma perché lì il Concertone è stato funestato ed interrotto da condizioni atmosferiche tremende). E al di là del discorso “politico” legato alla ricorrenza, One Day Music Festival è proprio un bell’evento, che fa respirare buonissime vibrazioni e che (ri)porta una città come Catania nella mappa dei grandi eventi nazionali da elogiare e supportare. Ci vai, e se arrivi da fuori pensi “Ehi, ma sai che mi piacerebbe esserci anche l’anno prossimo?”; se invece stai a Catania, i numeri e quello che abbiamo visto parlano chiaro, il Primo Maggio è già segnato col circoletto rosso sul calendario, alla voce “Oggi andiamo a star bene”. E magari sono già finiti sul link per la prevendita dell’edizione 2024.