E’ qualcosa che va molto oltre il calcio, le grandi partite, i gol spettacolari. E’ qualcosa che va oltre lo sport. E’ qualcosa che per fortuna va oltre gli stupidi moralismi, e l’ottusità di chi si mette a ricordare che “I veri problemi sono altri”, “Nella giornata contro la violenza sulle donne non bisogna certo mettersi a parlare di un cocainomane e violento sulle donne” (letta anche questa, sì, non ce la stiamo inventando). Anzi: un ultimo dono di Diego Maradona è quello di averci fatto vivere una emozione collettiva pazzesca, intensissima; dolorosa anche, ma – proprio per questo dolore condiviso – meravigliosa, magica. E questo è un dono prezioso. Perché ricorda che vita, arte, sport e storia sono fatti di cuore, di passione. Prima di tutto, sono fatti di questo. E chi vuole liberarsi di tutto ciò per catalogare le cose secondo morale, ha una comprensione solo parziale di ciò che è umanità.
E’ stato anche “nostro”, Diego. E’ stato un personaggio così grande, così incredibile, così emblematico da essere stato pure il testimonial perfetto di ciò che più amiamo nel “nostro” mondo, quello della musica elettronica di un certo tipo, quello del ballo (emozione dionisiaca senza tempo) che si mescola col futuro, con l’innovazione, coi suoni suoni, con l’alleanza tra tecnologia ed emozioni primordiali, tra musica del futuro e rivitalizzazione di suoni del passato. Già: molti magari non se lo ricorderanno, perché sono passato diciotto anni, ma nel 2002 Diego Armando Maradona è stato il perfetto, perfettissimo testimonial del Sónar barcellonese.
Goodbye to Diego Maradona. A creative genius who broke all the rules.
Adiós Diego.Pubblicato da Sónar Festival su Mercoledì 25 novembre 2020
Perché testimonial perfetto? Perché Maradona, in quel momento e non solo in quel momento, rappresentava la libertà. Ancora di più, perché rappresentava una popolarità immensa senza mai essere stato percepito come mainstream. Non era rassicurante, Diego. Era divisivo. Era problematico, certo, come era anche problematica la musica elettronica rispetto all’ormai digerito rock e al rassicurante pop: il famoso arresto per guai con gli stupefacenti datava ancora 1991, ma solo due anni prima (era il 2000) aveva durante una permanenza in Uruguay un infarto inevitabile conseguenza di uno stile di vita in quel momento davvero sopra le righe. Ma invece di bearsi nello sfacelo, Diego è stato l’uomo dalle mille resurrezioni (un anno più tardi calcava ancora i campi di calcio, per il suo addio ufficiale allo sport di cui è stato, con ogni probabilità, il Più Grande: 10 novembre 2001).
Oggi l’elettronica (non il Sónar, diciamo l’elettronica in generale) potrebbe benissimo avere Cristiano Ronaldo, come testimonial. Bello. Vincente. Potente. Ricco. Perfettamente funzionale ai meccanismi dell’industria e della moltiplicazione dei fatturati. Diciotto anni fa, la scena elettronica invece era ancora corsara, irregolare, anche problematica ed inquietante quando vista dall’esterno; era sicuramente “geniale”, perché nessuno faceva musica di quel tipo – senza ritornelli, senza melodie facili, venendo suonata quasi mai sui media “major” – riuscendo però comunque a radunare le passioni di migliaia, anzi, decine di migliaia di persone: nei festival, così come ogni weekend in varie città d’Europa. La FIFA ha sempre fatto di tutto per favorire Pelé nei suoi eventi ufficiali boicottando Maradona (che rispondeva con le sue celebri invettive contro Havelange), così come radio e televisioni ufficiali non hanno quasi mai voluto occuparsi seriamente di clubbing preferendo i “soliti” nomi.
Non si può restare corsari per sempre. E’ giusto crescere. Non stiamo dicendo che un tempo era meglio, ed oggi è tutto da buttare. No. Stiamo solo ricordando le radici. Stiamo ricordando lo spirito. Stiamo ricordando di quando si è veramente accesa l’emozione, e di come questa emozione fosse perfettamente rappresentabile da uno degli uomini più grandi dell’ultimo secolo – grande per le gesta in campo, grande per la sua umanità, con le due cose inscindibili. Anche oggi, anche da adulti, anche nel calcio dove le stelle hanno i management, parlando attraverso i social media manager, si fanno pagare per essere intervistati e non comunicano più direttamente con i propri tifosi, alla fine al centro di tutto resta la passione. E così dev’essere pure nella musica “nostra”: è giusto andare avanti, progredire, imparare a giocare alle regole dell’industria (per non farsi fottere, ed ottenere ciò che spetta), ma bisogna sempre ricordarsi da dove arriva la passione.
…e la passione arriva da un mondo (anche) “sporco”, fallibile, dove ti capita di fare cazzate; ma dove anche quando fai cazzate alla fine ritrovi sempre la tua umanità, ritrovi sempre la voglia di condivisione. Non di guadagno: di condivisione.
Grazie Diego per quest’ultimo favore. Davvero.