Stamattina uno dei pilastri del jazz italiano – nonché una persona cocciuta che per le questioni di principio non si tira indietro – ha tirato fuori un post piuttosto importante, almeno nel contesto di quello stagno piccola che è la musica italiana. Un attacco piuttosto deciso contro le modalità del bando “Per chi crea” promosso dalla SIAE. Non sono noccioline: questo bando consta di un patrimonio di 14 milioni di euro (tra l’altro soldi nostri visto da dove arrivano: i famigerati “compensi derivanti dalla copia privata“). In cifre rende ancora di più: 14.000.000. Immaginatene anche una piccola frazione per un vostro progetto: può fare la differenza. Ecco il testo pubblicato da Fresu:
Il Bando pubblico della SIAE “Per chi Crea”, che nel 2023 distribuisce circa 14 milioni di Euro (il 10% dei compensi derivanti dalla copia privata [*] e le cui linee guida sono dettate dal Ministero della Cultura) per favorire la creatività di artiste e artisti sotto i 35 anni che operano nelle arti visive, performative e multimediali, cinema, danza, letteratura, musica e teatro, esclude la partecipazione dei soggetti privati seppure questi siano ditte individuali munite di Partita Iva e di specifico Codice Ateco.
Una ingiustificata decisione e una iniquità che penalizza, tra i tanti soggetti che operano nel mondo della creatività e della cultura, anche le piccole etichette discografiche fondate, soprattutto in questi ultimi anni, dagli stessi artisti o da piccoli produttori coraggiosi e visionari.
Artisti audaci e produttori illuminati che aprono ai giovani le porte verso il mondo.
Il 21 giugno ho spedito una lettera con richiesta di chiarimenti indirizzata al sottosegretario di stato del Ministero della Cultura Gianmarco Mazzi e in copia conoscenza al Ministro Gennaro Sangiuliano, ai sottosegretari Lucia Borgonzoni e Vittorio Sgarbi, al direttore della Siae Matteo Fedeli, al presidente Salvatore Nastasi e al presidente di Adeidj (Associazione delle etichette indipendenti di jazz) Federico Mansutti.
Il 5 luglio ho ricevuto gentile riscontro da parte del Dott. Nastasi il quale conferma l’atto di indirizzo a firma del Ministro nonché l’esclusione delle persone fisiche e l’impossibilità di poter rivedere le linee guida del bando.
Nessuna risposta invece da parte del Ministero seppure il bando scada il 19 luglio…
Paolo
[*] La Copia Privata è il compenso che si applica sui supporti vergini, dispositivi di registrazione e memorie digitali che permettono di effettuare copie ad uso privato di opere protette dal diritto d’autore.
Non è un fulmine a ciel sereno. Anche al sottoscritto, privatamente, era arrivata più di una lamentela da parte di producer e record label di assoluta qualità e livello nelle scorse settimane, a proposito delle modalità del bando di “Per chi crea”. Figuriamoci. Il malcontento cova da un po’. Ma di sicuro ora che si espone un musicista di ampia popolarità – e di indubbio carisma: la politica e le istituzioni musicali non possono trattarlo come un ragazzetto frustrato o un dopolavorista – la questione inizia ad essere difficile da evitare del tutto, da mettere sotto il tappeto.
Perché alla base c’è infatti una domanda non da poco (e dalla risposta nemmeno così scontata, perché non stiamo qui a fare populismo): chi devono aiutare le istituzioni? I meritevoli? O chi ha già forti rendite di posizione, leggi le multinazionali o le realtà satelliti delle multinazionali? Parlare di “merito”, in musica, è sempre difficile. La qualità musicale non è così facilmente misurabile in maniera obiettiva.
Una cosa però è misurabile: la grandezza in numeri. E, di conseguenza, è più chiaro capire l’indirizzo politico di certe scelte. Come se parlassimo di economia generale: si vogliono favorire le piccole e media imprese, o si vuole favorire la Fiat o le grandi acciaierie dei Riva? È romantico favorire le prime, “suona bene” a livello ideale, ma poi arrivano le grandi a dire “Quelli che contiamo veramente in una economia globalizzata come quella attuale siamo noi. Noi spostiamo i numeri veri, noi diamo lavoro a molte persone, noi creiamo anche un indotto notevole”. Il problema è che – stando nel campo delle politiche economiche – anni ed anni di favori e favoritismi nei confronti della Fiat hanno portato a Stellantis (ovvero: di italiano nel management e nelle politiche non c’è più nulla, e l’AD Tavares ha già detto che la produzione deve spostarsi lì dove costa meno, e state certi che sul lungo periodo non è l’Italia), e per quanto riguarda i Riva, beh, chiedete a Taranto. Dove la popolazione è ancora messa di fronte al bivio “Vuoi morire per mancanza di soldi perché disoccupato, o di malattia incurabile per ciò che hai respirato?”, mentre c’è chi macina utili e stacca ricche liquidazioni e buonuscite ai vari management?
Ma senza farla troppo grande, e tornando di nuovo alla musica: un bando che si chiama “Per chi crea” fino a che punto deve favorire soprattutto le realtà più strutturate industrialmente, quelle più grandi e potenti?
Non siamo ingenui: può anche essere un modo – forse il più razionale ed anche uno dei più obiettivi – per evitare il marasma, ovvero un nugolo di piccole realtà brave più ad ottenere fondi dalle istituzioni (per abilità, per amicizie, per raccomandazioni, per contatti…) che a produrre cultura e musica di qualità. Impostare dei criteri che tagliano fuori “pesci piccoli” diventerebbe insomma un minore dei mali.
Cosa che convince fino ad un certo punto, come spiegazione e giustificazione. Anche perché di nuovo ci si arrende al fatto che in Italia chi fa impresa “piccola” deve contare sempre e solo sulle proprie forze, e/o su regalie della politica: non c’è un disegno strutturale volto ad aiutare la piccola impresa, le persone di talento. La piccola impresa se vuole essere aiutata deve arrivare col cappello in mano presso i decisori politici (e soprattutto, avere dei modi per creare dei rapporti di clientela); altrimenti, che se la cavi con le proprie forze. Difficile creare qualcosa di strutturale. Non c’è proprio la forma mentis per volerlo fare.
Per giunta ora la musica è tornata ad essere una cosa seria. Dopo la grande crisi d’inizio millennio (iniziata in realtà fin dagli anni ’90), con la musica si è tornati infatti a guadagnare. Oh sì. È un settore industriale complessivamente in salute: bilanci della major sono tornato in deciso positivo, più d’una realtà indie ha trovato il modo di autosostenersi (magari vendendo pezzi di anima e di identità, ma non divaghiamo), e dei concerti non ne parliamo, dai concerti chi può guadagna molto più di prima e dà lavoro a molte persone più di prima. E pazienza se lo fa sulla pelle dei piccoli promoter locali (costretti ad accollarsi il 100% del rischio) e degli appassionati (messi di fronte a biglietti sempre più cari).
Il problema è che sempre più si fa strada una visione del mondo e della competizione basata sulle regole più libere ed aguzzine del capitalismo: stile “Bene per chi ce la fa, che anzi guadagnerà sempre di più se supera la soglia di sopravvivenza; nessuna pietà invece per chi attorno a questo soglia ci resta, anzi, giusto che soccomba”. Mah. E che la più grande associazione legata appunto al settore più florido, quello dei live, ovvero Assomusica, sia stata vittima di una scissione – qui il riassunto asciutto fatto da Billboard Italia – dice molte, molte, molte cose.
Non siamo mai stati dei grandi fan della gestione Spera di Assomusica. Nel periodo della pandemia, l’associazione ha strappato ottime concessioni per i suoi soci più potenti, “dimenticandosi” di tutto il resto. Dopo la tragica ed assurda scomparsa di Spera, è stata eletta una persona da un lato di sua fiducia, dall’altro comunque per storia personale e professionale molto attenta alle esigenze dei piccoli promoter, dei promoter locali: Carlo Parodi, co-proprietario della storica venue torinese Hiroshima Mon Amour (e co-creatore di festival di livello quali Traffic, sì, quello che ci ha portato i Daft Punk gratis, e Flowers). “Ma dai, che bello”, abbiamo pensato, “ora finalmente Assomusica si riequilibrerà nel suo operato e smetterà di fare gli interessi solo dei soliti potenti”.
Purtroppo questo devono averlo pensato anche i pesci grossi, i “soliti potenti” insomma, che un mesetto fa hanno ben visto di fare la gran scissione, e creare un nuovo organo: alla faccia del cercare di essere solidali ed uniti. Live Nation, Vivo, Vertigo, ma anche Friends & Partners e Trident si sono attaccate al volo al nuovo carrozzone chiamato Assoconcerti.
Che dire. La domanda è: sta diventando sempre più difficile tenere unite le istanze e i bisogni delle realtà più piccole (ma qualitative) e di quelle più grosse e potenti? Siamo messi ormai così? E in questa disfida, a chi preferiscono guardare le istituzioni?
Con questo post sul bando “Chi crea”, un artista che non è certo un rosicone frustrato&fallito ma è al di sopra di ogni critica (ed ha anche una attivissima etichetta, la Tūk, sempre attenta a lavorare bene) ha lanciato un sasso nello stagno non indifferente. Stagno peraltro già increspato da tempo. Già da tempo infatti scriviamo (l’ultima volta pochi giorni fa) di come certe dinamiche troppo sbilanciate verso la dittatura dei numeri e dei potentati e delle rendite di posizione rischino di avvelenare i pozzi a cui siamo prima di tutto noi, gli appassionati di musica, ad abbeverarci.
Occhio.