Per tutti quelli che “Ah, non c’è più la musica di una volta, prima sì che era meglio, ora è sempre più una merda”, Ditonellapiaga alias Margherita Carducci, classe 1997, potrebbe essere una risposta molto, molto efficace, come potrebbe esserlo Whitemary. Che poi, e chissà fino a che punto è un caso, le due si conoscono, arrivano artisticamente dalla stessa città (Roma); ci sarebbe insomma abbastanza per iniziare subito a parlare di “scena” – che è un riflesso condizionato del giornalismo musicale quando vuole darsi un tono, quando vuole catturare un po’ di attenzione, e, qualche volta, anche quando vuole raccontare una verità. Il punto non è quanto Ditonellapiaga e Whitemary siano della stessa “onda”, e quanto ora si debba guardare a Roma per il “nuovo pop”. No: il punto è proprio il “nuovo pop”. Che riflette il modo di ascoltare musica dei ventenni di oggi: eclettico, fluido, allestito per playlist ma decomposto ed espanso a livello di generi, di scelte estetiche. Una cosa però resta costante (e dirimente): la qualità, la consapevolezza. Puoi essere eclettico quanto vuoi ma le cose devi farle bene, devi farle con competenza, devi metterci delle idee forti. Punto. Niente scorciatoie – anzi, ora forse ancora più di prima, per evitare il rumore di fondo de “tutti ascoltano tutto, tutti fanno tutto”. E su questo fronte, quello della qualità, Ditonellapiaga – è con lei che scambiamo questa bella chiacchierata – è messa davvero bene. Con l’aiuto anche di un duo di produttori (bbprod, Alessandro Casagni e Benjamin Ventura) e con una personalità di suo davvero forte e creativa (basta a vedere la cura che ci mette in tutto quello che fa, a partire dai video) si è messa sulla mappa con “Parli”, un esordio davvero notevolissimo, e ora un anno più tardi esce finalmente col suo primo EP, anzi, un quasi-album, “Morsi”. C’è del pop, certo, ma ci sono anche riferimenti davvero appropriati alla musica da club più sofisticata: si può fare musica popolare oggi pure con la qualità e senza per forza scadere nel latinoamericano urban-paraculo, nel Battisti male rimasticato, nella black più dozzinale e svenduta – ditelo ai rapper e ai Gazzelle. E poi, en passant, è bello vedere figure femminili forti della nuova generazione, forti e atipiche, e non voci votate solo ed esclusivamente a mettere i ritornelli e le strofe su brani condannati ad essere hit paracule, senza mai uscire dallo spartito e dal planning mediatico-discografico più rassicurante. Insomma: Ditonellapiaga spacca. E può essere simbolo davvero di una nuova ondata di gente interessante, nel nostro panorama musicale. Prima vi rinfreschiamo la memoria con “Parli”, così avete la prova provata che non stiamo dicendo a caso, e poi via con l’intervista.
Allora, che effetto fa avere finalmente fuori un disco vero e proprio, e non più solo singoli isolati? Ok, “Morsi” è un EP, ma è comunque una buona manciata di canzoni, qualcuno oggi potrebbe pure contrabbandarlo per album vero e proprio. Il gioco sta diventando serio, insomma… Che sensazione dà?
Elettrizzante da un lato, ma dall’altro…. non me la sono goduta al cento per cento, credimi. Perché mentre “Morsi” stava uscendo io ero rapita dalla lavorazione del video di “Repito”. Meglio così, guarda: il rischio altrimenti era di passare tutto il tempo al telefono, spulciare tutti i messaggi… figurati se non lo facevo. Però sì, quando mi sono presa un po’ di tempo per riflettere sulla cosa, per riflettere cioè che finalmente “Morsi” era lì fuori, nel mondo, la sensazione è stata strana. E’ come fare un figlio. Il mio primo figlio! Povero lui… (risate, NdI)
Chiamiamo qualcuno in soccorso!
Davvero! …scherzi a parte, per me è tutto molto bello, davvero. E’ una grande soddisfazione poter finalmente finalmente condividere con tutti cose che ho nel cassetto ormai direi da anni. Anzi, guarda, non dico che “Morsi” non mi rispecchi più, però che abbia già mille idee in testa per andare avanti, andare oltre, beh, quello decisamente sì. Resta in ogni caso bello avere finalmente qualcosa di sostanzioso da presentare. Soprattutto per chi mi ha seguito fin dall’inizio.
Che tu sia eclettica, come artista, è abbastanza chiaro: basta sentire la musica che fai. Ti chiedo però: sei anche inquieta, oltre che eclettica? Che è una tonalità un po’ più scura e problematica della stessa attitudine…
Oh sì che lo sono. Vivo in paranoia costante. Però a dirla tutta è anche positivo: perché o ti porta a scrivere della paranoia stessa, quindi hai un argomento in più che ti possa fare da ispirazione; o ti butta addosso la paranoia del dover scrivere, e non perdere quindi mai tempo. Ad ogni modo, sì, confermo: sono una che si mette molto in dubbio. Ma è uno sbaglio? Io, sinceramente, non credo. Sono giovane, sono ancora inesperta, questo è il mio primo disco; e se avere dei dubbi poi mi porta a pensare che manco mi piaccia del tutto quello che ho fatto finora, cosa ci sarebbe di strano? Sono ancora ai primi passi! “Morsi” è una bella prova, per me: è anche un test per capire se questo mio eclettismo regge, ha un senso, è costruttivo. Perché io non solo sono eclettica nei gusti e negli ascolti, sono anche eclettica in quello che creo.
E non sempre le due cose coincidono.
Esatto. Ecco, io ora come ora sono così: ascolto tante cose, e faccio come musicista tante cose, stilisticamente parlando. Probabilmente lo step successivo sarà riunire tutte queste mie pulsioni e direzioni in un qualcosa di più compatto, più univoco. Forse, eh. Perché anche lì, è da vedere se mi verrà di farlo, e se la riterrò la cosa giusta da fare… Vabbé, già con queste risposte dovresti aver capito quanto sono paranoica e quanti dubbi mi pongo, no?
Benjamin ed Alessandro, i bbprod, ovvero i producer che ti affiancano nella creazione delle tracce di Ditonellapiaga, ti odieranno…
Accidenti se lo fanno! Guarda, è strano che non abbiano già una bambolina voodoo a mia sembianza… Anzi, che ne so io che non ce l’abbiano, magari l’hanno fatta già! (risate, NdI) Dai, in realtà non credo che mi odino ma sì, confermo, io sono un po’ una rompiscatole. In più non ho poi delle competenza musicali specifiche, quelle più banalmente tecniche ecco, ma mi spiego un po’ nella mia “lingua”, che è qualcosa di molto particolare. Lavoro molto per immagini; e ad ogni immagine corrisponde un suono. Sì: un suono, più che un accordo. Io sono convinta che i singoli suoni di per sé contino molto di più di una successione di accordi. Sono molto più evocativi, possono dare molta personalità ad una traccia.
Ma come funziona? Loro ti fanno sentire qualcosa e poi tu ci scrivi sopra?
In realtà la scintilla originaria può nascere nella maniera più strana, tipo spesso mi capita di essere in viaggio in treno e mi viene in mente una frase. Su questa frase ci costruisco una linea melodica sopra, così, dal nulla. Poi vado in studio, e devo raccontare tutto questo a Benjamin ed Alessandro, indicandogli cosa ho in testa per lo sviluppo della canzone, appunto nella mia lingua assurda e ben poco tecnica. Spesso però succede che ci troviamo in studio, ascoltiamo un sacco di musica assieme, ci “nutriamo” insomma di musica; poi, finita la session di ascolti, si accende un synth, si lancia un suono, un singolo suono, e da lì si inizia a costruire.
Una cosa: ho notato che i tuoi brani sono praticamente tutti sotto i tre minuti. Non barare: sai bene anche tu che questa è una cosa consigliata da tutti i manuali più astuti su come sfruttare bene gli algoritmi di streaming e fare buone numeriche, oggi i brani devono essere corti, così l’ascoltatore non si stufa e si conteggia subito lo stream… Lo fai apposta, no?
Ma guarda, sì e no. Nel senso: originariamente i brani erano proprio scritti così, brevi di loro; poi ho scoperto questa cosa dello streaming e mi sono detta “Ah ecco! Vedi! Senza saperlo avevo fatto la cosa giusta! Benissimo!”. Ma non è questione di calcolare ed ottimizzare, è più questione del fatto che i miei brani sono molto fitti, sono pieni di cose, e se iniziassero a durare tre, quattro minuti ed oltre potrebbero diventare davvero stucchevoli. L’unica traccia dell’EP che supera i tre minuti è “Carrefour Express”, ma questo perché ha una parte finale in cui si “svuota” tutto, entrano gli archi, lì ci sta dilatare le cose…
(Eccolo, “Morsi”; continua sotto)
Senti: quanto sei ambiziosa?
Oddio, aiuto, che domanda è! (risate, NdI)
Dai, non nasconderti…
In realtà sono molto ambiziosa, vero, ma anche molto insicura. Le due cose convivono strettamente. E poi sono anche pigra: oh, accidenti se sono pigra! E questa è una maledizione! (risate, NdI) Comunque sì, sono ambiziosa ed insicura al tempo stesso. Ci sono giorni in cui mi dico “Aaah quanto sono brava!”; altri in cui ho proprio il dubbio se ho davvero qualcosa di un minimo interessante da dire, da comunicare. L’equilibrio che ne viene fuori è ok. La cosa importante resta fare quello che vuoi veramente fare, senza compromessi, senza piegarsi a necessità superiori. Nel momento poi in cui l’insicurezza può tagliare la testa all’ambizione quando esagera, e lo fa sempre!, direi che siamo a posto. (sorride, NdI)
Lo accennavi già prima, e credo sia abbastanza scontato: al di là di quello che fai come artista, credo che proprio già i tuoi ascolti personali siano molto eclettici.
Già. Ed è quasi un problema. Ogni tanto metto fianco a fianco cose che proprio cozzano fra di loro! Mi piace il pop patinato, vedi Britney Spears, poi però subito accanto ci metto una Alice Phoebe Lou – lei è fantastica, la adoro, è un angelo del cielo, davvero!, ma sai anche tu quanto non c’entri nulla col pop da classifica. Penso che se lei e Britney fossero nella stessa stanza probabilmente non saprebbero manco cosa dirsi… però per me funzionano benissimo, e soprattutto funzionano benissimo assieme!
Che poi, questo è il tipo di risposta che arriva – giustamente – da chiunque sia un nativo della musica al tempo dello streaming: niente steccati, ascolti fluidi. Questo quando invece fino agli anni ’90, se avevi vent’anni, eri abbastanza partigiano di una specifica parte o scena musicale. Cioè: se ascoltavi rock, non potevi ascoltare elettronica. O se ascoltavi black, non potevi ascoltare pop.
Vero.
Ti chiedo: ok, bellissimo aver fatto cadere tutta una serie di steccati e preconcetti, super; ma non c’è il rischio che poi si confondano troppo le acque? Non c’è il rischio che non si veda più il confine tra il pop commerciale e il background più alternativo? Anzi, ti cambio la domanda: esiste oggi, questo confine?
Io credo che oggi il pop sia talmente contaminato che ormai l’unica differenza tra commerciale ed alternativo sta in quanta gente ti ascolta, se tanta o poca. Chiaro: se sei un po’ ricercato e particolare la tua platea potenziale si restringe, è fisiologico, quindi finisci nel filone dell’”alternativo”. Ma io credo nel pop oggi ci siano cose veramente contaminate e sofisticate, per nulla banali o convenzionali. Ti faccio un esempio pratico: Bruno Mars. Nessun dubbio sul fatto che lui sia superpop, no? Bene, l’ultima cosa che ha fatto è una collaborazione con Anderson .Paak, un artista che dire sofisticato è dire poco, eppure il frutto della loro collaborazione ha funzionato, ha girato, è andato in tutte le radio, e non è che si siano messi a fare roba banale, no? Detto questo, non sto dicendo che in giro non ci sia tanta merda, tanta roba di scarso valore: ma quella c’era prima, c’è adesso, ci sarà sempre anche in futuro.
Però un tempo quando parlavi di “indie” pensavi ad una scena ben precisa che era “alternativa” ed indipendente davvero, era cioè fuori da un certo tipo di circuito legato alle major; oggi invece, correggimi se sbaglio, “indie” è più che altro una categoria stilistica della musica che esplicitamente vuole andare in classifica e non nasconde di volerlo fare. Un tempo tutto questo era inimmaginabile.
Vero, analisi che trovo assolutamente corretta. Da un lato penso che vada bene così: è positivo che ci siamo messi alle spalle cose tipo “Eh, ma il pop fa schifo”, a cui peraltro fanno da contraltare i “Ah, ascolti quella musica lì di nicchia? Allora sei uno sfigato”. No? Dall’altra, vero: ora c’è tanta, tanta voglia di andare in classifica. Oddio, non è che non lo capisca, eh – vuoi vedere il mio conto in banca? (ride, NdI)
Ah, sapessi il mio… (risate, NdI)
Credo comunque che complessivamente sia positivo che molti paletti siano venuti a cadere, che quando c’è di mezzo la musica non sia più una specie di guerra fra gang. Che senso aveva? E quanto bene faceva? Io quando ho iniziato a fare musica facevo cover, sì, ma sceglievo sempre materiale piuttosto complesso, ricercato, perché un po’ questo “schifo del pop” ce l’avevo pure io. Crescendo però ho riascoltato con più attenzione e più consapevolezza alcuni brani pop “ovvi”, straconosciuti, e mi sono resa conto che possono essere opere d’arte pure loro. In fondo la musica bella è bella, e la musica brutta è brutta. Sbaglio?
Sei una che va a molti concerti? E: va anche nei club a ballare? Sempre partendo dal presupposto che nella tua musica ci sono tante sensibilità diverse che si intrecciano…
Concerti sì, ma spesso in club piccoli, non le cose grosse insomma – per dire andavo spesso all’Alcazar, prima che la pandemia congelasse tutto (…oddio, mi sembra di parlare di un’altra vita, che impressione!). Per quanto riguarda la musica da club, mah, più che nei club io vado ai festival: Club To Club, Spring Attitude. Lì sì.
Ma tu, quando finalmente potrai portare dal vivo la tua musica, verso che formato ti direzionerai? Quello più da live, o quello più da ballo in un club? Perché potenzialmente sono strade che puoi percorrere entrambe.
Ne parlavo proprio pochi giorni fa – ho appena firmato un contratto con un’agenzia, per il mio booking. Dunque: per quanto uno possa essere ottimista, non so quanto quest’anno sarà possibile fare delle cose molto danzerecce e quindi l’idea di fare qualcosa di acustico, che peraltro già avevo in testa, diventa altamente funzionale. Benjamin, uno dei due bbprod, è poi un grandissimo musicista, non a caso suona anche con gente come la Michielin, Fedez, Frah Quintale: con lui stiamo riarrangiando tutto il mio repertorio in versione solo pianoforte e voce e, guarda, il risultato ci sta piacendo tantissimo. Ci stiamo immaginando una performance comunque molto teatrale, molto performativa.
Hai comunque un’idea di live anche non solo acustico, no?
Sì, in quel caso a noi due si aggiunge un batterista. Useremo anche le sequenze, ma comunque sarà un live molto suonato, essenzialmente suonato.
Senti: quanto è importante essere dei bravi manager di se stessi?
Molto. Io nella mia gestione di me stessa sono pessima, più che altro per quanto riguarda la parte burocratica, che è importantissima e spesso viene sottovalutata. Sono quindi molto contenta di avere qualcuno che mi aiuta in questo. Ma per quanto riguarda idee, spunti artistici, eccetera sono cose faccio tutte da sola: e trovo sia importante. Se “essere manager di se stessi” significa avere il controllo delle proprie idee e sapere come declinarle sì, è assolutamente fondamentale. E’ molto semplice: se deleghi le tue idee a qualcuno che le sviluppi per te, dopo un po’ iniziano a starti molto strette – e stai male. Già diventano strette quando te le fai e te le sviluppi tu, figurati, pensa se lo fa qualcun altro al posto tuo. Non può che diventare un casino.