Fine anno, tempo di bilanci. Spotify, in particolare, ci ha aiutati di recente a ricapitolare, in maniera visivamente molto accattivante, quello che abbiamo ascoltato nel corso del 2014, ma è tempo di guardare indietro all’anno che sta per finire anche per tutti i musicisti e produttori la cui musica è disponibile per noi su questa e su altre piattaforme di streaming.
Il tema del pagamento agli artisti da parte dei servizi di streaming è fonte di dibattiti già da tempo e anche noi ne abbiamo parlato in passato, ma l’occasione della fine dell’anno è assolutamente propizia, e infatti molti artisti hanno pubblicato le proprie cifre, ad iniziare da Kowton che, su Twitter, ha dichiarato di aver incassato da Spotify l’enorme cifra di una sterlina e venti pence. Ok, ci direte, Kowton non è esattamente un artista mainstream e su Spotify non è nemmeno presente la sua traccia più famosa di quest’anno, “Glock And Roll“, ma non è che per gli artisti più grossi vada molto meglio: Pharrell, ad esempio, ha dichiarato che i 43 milioni di ascolti della sua “Happy”, una delle tracce più ascoltate dell’anno, gli hanno fruttato meno di tremila dollari.
Quindi è del tutto impossibile guadagnare soldi con Spotify è simili? Non del tutto.
A giugno, infatti, sempre per restare in tema di retrospettive sul 2014, aveva fatto scalpore la notizia che un gruppo praticamente sconosciuto, i Vulfpeck, avesse guadagnato poco meno di 20.000 $ con un album studiato apposta per piegare il sistema a proprio piacimento, composto da dieci tracce di assoluto silenzio, da una trentina di secondi ciascuna. E’ stato sufficiente chiedere ai propri fans di andare a dormire lasciando il player in repeat sul proprio album, e il gioco è fatto: i pochi millesimi di dollaro che Spotify dà ai musicisti per ogni traccia ascoltata si sono accumulati, arrivando alla cifra importante di cui sopra.
Insomma, come noi italiani sappiamo bene, anche per i servizi di streaming “fatta la legge, trovato l’inganno”: qualunque algoritmo si cerchi di inventare per attribuire guadagni agli artisti che li meritino, ci saranno sempre delle falle, e delle persone in grado di sfruttarle per arricchirsi, in una sorta di eterna lotta piuttosto nuova per il mercato musicale ma che in ambito informatico esiste da molto prima che esistesse il termine “hacker”. In ogni caso, la conclusione che possiamo trarre dal 2014 che ci hanno raccontato molti artisti, a cominciare da quelli che abbiamo citato qui per finire con tutti quelli che hanno dichiarato pubblicamente che avrebbero rimosso la propria musica da Spotify, tra cui grossi calibri come Taylor Swift, è che coi servizi di streaming non ci si guadagna, o almeno non ci guadagnano i musicisti: rispetto a quando pensavamo che avrebbero rivoluzionato il mercato musicale, riportando nelle mani dei musicisti i soldi che finivano nelle tasche delle major e dei servizi di distribuzione, sembra una notizia molto importante. Sembra sempre più evidente, quindi, che produrre musica non sia più un modo valido per un artista per ottenere denaro direttamente, ma che sia più che altro una sorta di “facilitatore” di altri guadagni, come quelli derivati da concerti e royalties per l’uso della propria musica in colonne sonore, compilations e simili.
Se questa situazione ormai conclamata influirà in qualche modo sulla musica del futuro, staremo a vedere l’anno prossimo, e cercheremo di raccontarvelo.