Ci sono i grandi festival dai mille mezzi, mille risorse e mille nomi potenti in line up: e va benissimo, perché spesso offrono un impatto spettacolare impareggiabile, oltre alla possibilità di conoscere persone dalle più svariati parti della nazione (o del mondo). Ci sono i festival più mirati, più o meno “boutique”, molto concentrati nel selezionare gusti e calibri, cercando indirizzi musicali ed esperienziali ben precisi operando comunque nel regime del mercato e del professionismo d’alto livello: vanno benissimo anche loro, anzi, come sapete qua a Soundwall li amiamo proprio tanto, perché sono piccolo artigianato e piccola passione che si fa impresa con tutti i crismi, ma mantenendo un’anima e una direzione legate al DNA originario.
Ma poi ci sono anche i festival meravigliosamente DIY, che nascono davvero “dal basso” e nell’underground vogliono restare: comunità di appassionati molto coese che non si pongono il problema di fare numeri, o di crescere, ma semplicemente vogliono costruirsi un ritrovo fra persone like-minded. Non rinunciano alla qualità musicale – anzi, per loro è importantissima – ma questa qualità ha una cartografia ben precisa e si intreccia con le storie personali di chi organizza e di chi fruisce: il tutto sotto un denominatore comune molto chiaro, il disinteresse verso le logiche di mercato più spicciole, immediate e brucianti, esse sono completamente sostituite dalla voglia di “alterità”, dal gusto di immergersi in essa e di viverla al cento per cento, comodità e scomodità comprese.
C’è chi vuole creare contrapposizione tra questi tre modelli. C’è chi pretenderebbe che se vai ad uno, non hai cittadinanza nell’altro, non sei “degno”. Boh. A chi giova, una chiusura di questo tipo? Che sia un muro creato dal basso verso l’alto (il DIY che schifa il mainstream) o il contrario (il mainstream che disprezza la frugale povertà del DIY), sono meccanismi mentali che sembrano quasi un gigantesco Instagram “malato”, in cui la propria identità si costruisce cercando contrapposizioni e provando a creare invidia. Che senso ha?
Ecco, ritrovarci a parlare di Freefield Fest – che ricade decisamente nella terza categoria, quella più “dal basso”, e che si svolge nello stesso weekend (1, 2, 3 settembre) in cui si svolge l’amatissimo Jazz:Re:Found – ci ha spinto a tutte queste considerazioni. Eventi come Freefield sono preziosi: hanno una purezza d’intenti ed una essenzialità di declinazione che sono cristalline, ma questo non significa che ci sia un sofisticato lavoro di ricerca dietro. Per dimostrarvelo, abbiamo chiesto agli organizzatori di creare una playlist che rappresenti lo spirito sonoro del festival. Eccola (molti degli artisti presenti sono protagonisti nell’edizione 2023:
In più, abbiamo chiesto qualche parola più specifica sul perché della nascita di Freefield: “Il Freefield Fest è espressione diretta del percorso di Stirpe999, una delle realtà protagoniste della controcultura elettronica a cavallo tra il vecchio e l’attuale millennio. Stirpe999 à una realtà ibrida: label ma anche collettivo di producer ed agitatori culturali che, tra il 2003 e il 2004, si aggrega intorno al combo romano Fire At Work e al loro studio Hombre Lobo. Quella di Stirpe999 è una chiara presa di posizione estetica e di contenuto, che vede l’underground come scelta di campo critica e consapevole, da contrapporre allo status quo della dimensione artistica e culturale. Il Freefield Fest è testimonianza di questa attitudine e viene alla luce grazie alla rete di rapporti umani, artistici e professionali che gravitano attorno alla label prima romana, ora stanziata a Berlino”.
Ma appunto: le cose poi possono intrecciarsi, perché nella line del Freefield ci sono ad esempio anche gli strepitosi D’Arcangelo, che hanno aperto la data unica italiana di Aphex un mesetto fa (in tutto e per tutto, un evento mainstream, viste le economie, le strutture e le dinamiche coinvolte).
La cosa interessante di Freefield è che si svolgerà in un setting particolare: il Rifugio Trifoglio, nelle montagne di lombarde, per intenderci non troppo distante da quella Barzio che fino a pochi anni fa ospitava uno dei re nostrani fra i festival “a grandi numeri”, ovvero Nameless. Freefield è ovviamente tutt’altra cosa, e simbolicamente da lì bisogna infatti inerpicarsi molto più in alto. Qui trovate tutte le informazioni. Prezzi ovviamente molto moderati, esperienza comunitaria garantita, amore per la musica elettronica puro, guerrigliero, appassionato. Bello che ci siano degli eventi così – e siamo felici di poter dare loro spazio: per “raccontare” anche qualcosa di diverso, di felicemente diverso. La diversità è ricchezza, se accompagnata dalla passione.