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Radiohead: se il virale si fa arma a doppio taglio

Non si è quasi parlato d’altro, in questi giorni, almeno fra gli appassionati di musica “nuova”: i Radiohead che si ritirano da tutti i social, con tanto di inevitabili connessioni o battutine su “How To Disappear Completely”, ovvero il titolo di una delle tracce di “Kid A”. Già, “Kid A”: ne parlammo in occasione del quindicennale, e accidenti se siete stati in tanti ad apprezzare quell’articolo. Segno che davvero quell’album è nel cuore di molti, o comunque per molti ha rappresentato una cesura, un punto di svolta.

Anche per i Radiohead in persona, ovviamente, che da quel disco – il primo a scompaginare una serie di regole, ancora più di quanto fece il precedente e comunque bellissimo “Ok Computer” – sono diventati per eccellenza il gruppo pop che sfida le convenzioni, guarda in avanti, cerca di percorrere strade impervie, evita come la peste ciò che è banale e scontato. Insomma, quelli “avanti” (…”advanced music”, tanto per usare la definizione che campeggia nella ragione sociale del Sonar barcellonese). Quelli intelligenti.

Un ruolo scomodo, in realtà. O meglio: i suoi dividendi li paga eccome, perché i Radiohead hanno una popolarità oggi che ai tempi di “Ok Computer” e dei dischi precedenti non avevano; ma è comunque qualcosa che ti obbliga sempre a dire o fare la cosa giusta, innovativa, sorprendente, controcorrente. L’asticella per loro è alta. Tanto alta che da un lato nessuno si è sorpreso quando hanno scelto di fare una cosa (semi)assurda, (semi)imprevedibile, per “smuovere” le acque attorno all’annuncio di nuovo materiale in arrivo – o attorno al semplice sospetto che stesse arrivando. Appunto, la “scomparsa” dal web, il loro profilo Facebook che si fa bianco e perde i contenuti degli ultimi anni, eccetera eccetera.

Qualcuno ha subito gridato al “Genio!”; altri hanno risposto “Maddeché”, elencando – anche giustamente – band che in passato (Pink Floyd ancora negli anni ’70) o nel presente (i 1975 pochissimo tempo fa) hanno adottato strategie simili, quindi insomma, non è che Thom e soci si siano inventati granché. Tutti si sono concentrati sul fatto che era una grande trovata di marketing da ammirare… o, al contrario, qualcosa da detestare proprio perché era una grande trovata di marketing. Pochi hanno unito i puntini, e immaginato che fosse sì un modo per comunicare se stessi non scontato e non banale, ok, ma anche una maniera per portare avanti la propria antipatia verso Google e chiunque nel grande web odierno si appropri di contenuti/notizie altrui facendoci soldi sopra senza nemmeno dire “grazie” alla fonte originaria dei contenuti/notizie in questione (tema emerso in questa bellissima intervista).

Il problema qual è? Il problema è che in questo modo l’attesa si fa sempre più spasmodica e si è tutti sempre più pronti ad esprimere la propria opinione, positiva o negativa che sia, in modo veemente ed immediato. Magari senza ancora aver sentito una nota. Per certi versi, insomma, il rischio è che l’annuncio diventi più importante della musica stessa. Sì, ok, oggi il marketing virale sarà sempre più una necessità, chiaro, bisognerà sempre più spremersi le meningi per guadagnare attenzione perché le vecchie routine promozionali sono ormai obsolete, e comunque coinvolgere i propri fan in una “caccia al tesoro” per capire se e come sta uscendo del materiale nuovo (maestri in questo i Boards Of Canada, Aphex ed Autechre, per dire: hai detto schifo) è divertente, intelligente e probabilmente non fa male a nessuno; però, ecco, proviamo ad immaginarci ora una corsa in cui non solo i Radiohead o i gruppi Warp iniziano a fare del marketing virale attorno alle proprie uscite ma lo fanno invece improvvisamente un po’ tutti, cercando l’effetto facile, l’attenzione immediata, la strizzata d’occhio collettiva, “Lo sto facendo strano, mi vedi? Vedi quanto stile ed intelligenza ho?”. Tutti. Tutti tutti. Perché ti dicono che bisogna far così, non c’è alternativa, sennò non sei nessuno. Un gran casino. Confusione. Caos. Probabilmente, dopo un po’, fastidio. Eccesso di rumore di fondo e di stranezze sempre più inutili, gratuite e non richieste.

Insomma, è un’arma da usare con cura. Anche perché, guarda un po’, gli stessi Radiohead ora rischiano di essere vittime di se stessi: dopo una manovra così eclatante (e volendo anche significativa politicamente, come spiegavamo, nella lotta alle corporation “vampire di contenuti”), nel momento in cui finalmente esce “Burn The Witch”, la prima traccia nuova di zecca, ti ritrovi a pensare che il pezzo è bello ma non ha nulla di rivoluzionario (ti aspettavi di più) e il video, beh, il video è un po’ una pecionata, uno scherzo che non fa ridere abbastanza. Tutta l’attesa spasmodica che si è creata, rischia di diventare un fardello. Quindi ecco: attenzione, prudenza. Il virale fa presto a diventare virus, e a farsi debilitante.