Per essere il numero due di Cadenza, Reboot è un personaggio non troppo “presente” all’interno del catalogo della label svizzera. Non che ci faccia mancare la sua musica, sia chiaro, basti pensare alle ultimissime apparizioni sul “Desolat X-Sampler” e sul various “No Way To Norway” (uscito su Oslo poche settimane fa), ma da Frank Heinrich sarebbe lecito attendersi un certo numero di produzioni in grado di tracciare le linee guida non solo di Cadenza ma anche del party Vagabundos.
C’è chi dice che la ragione di questo – chiamiamolo – assenteismo sia legato al fatto che, in realtà, il suo sound sembra essere (e non sono certo io il primo a dirlo) un po’ adattato al discorso musicale portato avanti da Luciano. A pensarci bene, però, questo tipo di considerazione può valere per tanti altri nomi (e che nomi) che gravitano intorno alla label di base a Ginevra: il sound che caratterizza le produzioni dei vari Alex Picone, Robert Dietz, Mendo, Uner e Michel Cleis ha davvero ben poco a che spartire, in termini prettamente stilistici, con quanto Pikaya, Quenum, Andomat 3000, Digitaline e Ricardo Villalobos ci hanno regalato nemmeno troppo tempo fa. Che Cadenza non sia più quella di una volta – evviva il qualunquismo – lo si sapeva e nemmeno i diretti interessati fanno nulla per nasconderlo. Ma non è questo il punto.
Il punto è che ci sono voluti due anni prima di veder tornare Frank Heinrich alla base e dopo un album non entusiasmante (diciamocelo, “Shunyata” non è nulla di che) ci saremmo aspettati un pronto riscatto. Ci saremmo aspettati un lavoro degno di “Be Tougher / Letters”, ecco. “Beautiful Parasite” è un bel disco, nulla da dire, ma non è all’altezza dei lavori migliori di Reboot. L’ipnosi c’è, così come il groove e la bassline “dark” che da intensità al pezzo, ma manca un vero e proprio cambio di passo. Nonostante a metà traccia il disco cresca, infatti, facendosi comunque interessante, non sappiamo se “Beautiful Parasite” è carne o pesce. Siete davvero convinti che questa sia l’esatta dimensione di Reboot? Io ho i miei dubbi e, se escludiamo dal discorso “Caminando”, sono sempre più convinto che il punto più alto della sua carriera di producer sia quel “Vandong” uscito su Below nel 2008.
Completano l’EP due remix firmati, rispettivamente, da Robert Dietz e Cesar Merveille. Il produttore tedesco ci restituisce un lavoro percussivo e “rotolante”, spezzettando la melodia originale in una sequenza di stab che rende la sua versione più diretta e adatta al dancefloor. Costruito su misura intorno al cuore del synth scritto da Reboot, il remix di Cersar Merveille, invece, sembra venir fuori dall’originario cuore Cadenza. Grazie Cesar, ci voleva!