Il primo resoconto di un festival come il Mira su Soundwall implica un paio di premesse legate a quel “beyond” che affascina terribilmente tutta la nostra comunità. La prima premessa è quella che il Mira si dichiara un festival di Arti Digitali, però oltre il 70% del programma è fatto da nomi che ci fanno pensare subito alla musica, a un elettronica piuttosto sperimentale. La seconda premessa è l’AV show in diretta come rituale da ripensare, perché il Mira va oltre il collaudato format di un live dove si fondono musica e visuals. E come lo fa? Lo da mettendolo sullo stesso piano (e non solo nel titolo degli show in programma) sui vari palcoscenici, fisicamente, sia il musicista che il VJ.
L’esperienza conclusa lo scorso weekend, alla VI edizione del Mira Barcellona, ci ha fatto capire perché un festival che – a giudicare da un’occhiata al programma – potrebbe tranquillamente passare per un evento di musica elettronica, non vuole e non può essere solo tale.
Il nostro resoconto inizia lo scorso venerdì pomeriggio. A una mezz’ora dal centro città, ci ritroviamo in un’ex fabbrica di tessuti della Barcellona d’inizio 900 per il Mira (che in spagnolo significa “guarda”). L’esperienza proposta dal festival è a prima vista molto scenica. L’estetica industrial si confonde con quella del museo. Siamo, infatti, in un centro d’arte polifunzionale chiamato Fabra i Coat. Dopo una passeggiata esplorativa tra suoni, fumi, e visioni digitali, arriviamo al main stage in punto per “Avanti”, il live AV di Alessandro Cortini. Una proposta musicale elegante e una colonna sonora tecnicamente impeccabile accompagnata da visuals in Super 8. Ma mentre Cortini ci lasciava un sapore malinconico in bocca – per via del tuffo nel passato tra i immagini di un tempo lontano – lo show di Lee Gamble e Dave Gaskarth ci proiettava verso il futuro con immagini dell’Agenzia Spaziale Europea cullate da suoni jungle e dubstep. La cosa inizia a farsi interessante, e nell’attesa dello show di punta della prima serata del Mira – Death in Vegas – restiamo incastrati dal duo Lakker basato Berlino nel Mira Dome per la prima esecuzione con mapping 360° dell’album “Tundra”. Indomabile la voglia di alcuni di alzarsi in piedi a ballare e rompere il rituale della cupola (da vivere rigorosamente stesi a terra a pancia in su) tra fughe tribali e vocali, su una base decisamente tecno. Di ritorno al main stage ci facciamo sorprendere dal live dei Plaid e The Bee: un complesso show fatta da beats IDM, chitarra elettrica e un’installazione triangolare a supporto dei visuals multicolore curati dagli stessi Plaid. È volta di Death in Vegas – con visuals cinematografici di loro stessa produzione – e restiamo purtroppo un po’ interdetti dall’alternarsi di momenti troppo tranquilli a ritmi più brillanti da ballare. Uno show forse poco accessibile rispetto a quello che ci aspettava dal bellissimo, ultimo disco, “Transmission”. Ma per fortuna, verso mezzanotte, il Mira torna a sorprenderci con un live oltre le aspettative: quello Gesloten Cirkel. Il misterioso musicista, una rarità trovarselo a un festival, è stato sicuramente il vincitore del primo giorno del Mira 2016. Un live acid e tecno, adenilico dall’inizio alla fine, in perfetta accoppiata con i coloratissimi visual dello spagnolo Entter. La prima giornata – almeno per noi – finisce qui e hasta mañana Mira.
All’indomani, sabato 12, ancora un po’ spossati dalla precedente giornata, torniamo all’headquartier del festival con un obiettivo preciso. L’idea è essere in prima fila al momento del nuovo racconto visivo che il Mira prometteva offrire per due pilastri della storia della musica: Esplendor Geométrico e Tim Hecker + MFO. Pubblico super attento, ossequiante, durante l’AV show con canto robotico sintetizzato dei maestri della noise indusrial spagnola Esplendor Geométrico. Un gruppo che ha appena compiuto 35 anni di storia, una storia anche un’po’ italiana, dato che la metà del duo, Saverio Evangelista è per metà italiano. E se Esplendor Geométrico risultava da subito degno di nota, a seguire, Tim Hecker ci ha regalato la scossa più intesta, e più industrial, del fine settimana. Avvolto nella spessa nebbia di uno spettacolo di luci disegnato da Marcel Weber (aka MFO) – dove però a gran sorpresa il fumo la faceva da padrona mettendoci in una condizione di quasi totale cecità – ecco Hecker con una scarica di suoni gelidi, organi e voci da chiesa, ma mai troppo apocalittico da averci fatti sentire incomodi: un altro dei top momenti di questo Mira. Dopo quest’immersione atmosferica, Nathan Fake e i Pfadfinderei hanno funzionato da regalo per rimettere in sesto vista e udito. Tra il minimalismo visuale dei VJ tedeschi e la progressive house dell’inglese, ci sentiamo omaggiati per l’assaggio del nuovo album in uscita su Ninja Tune. Magnetico poi il successivo momento con Lone, le percussioni di Chris Boot alla batteria e i visuals di Konx-om-Pax, ma decidiamo di concederci un altro po’ di Mira Dome e così a metà show scappiamo verso la cupola. Ci ritroviamo tra i synth dello spagnolo Pauk e l’immersivo spettacolo degli artisiti digitali Eyesberg. Impossibile non aspettare il finale del 360 AV show, nel Dome ci si sta da dio e ci stendiamo a goderci tutto lo spettacolo, un’altra carta vincente del Mira 2016. Di ritorno al main stage abbiamo trovato un pubblico ballerino impazzito per tre le donne a dominare il palcoscenico: Jlin al deck, Florence To ai visuals vorticisti e una ballerina in preda a danze dionisiache. E mentre pensavamo evviva Chicago evviva il footwork di Jlin, lo show finiva ed entrava un impetuoso di Job Jobse. Con grande maestria, Jobse ha generosamente regalato alla pista acid, italo e house a profusione, l’unico DJ-set del festival (insieme a quello di Kim Ann Foxmann alla fine della notte precedente) a mo’ di concessione per un finale tutto da ballare, tra i visual tutt’altro che minimalisti di Jem The Misfit.
Il verdetto finale è che il Mira funziona perché variegato e curato. Mantiene la promessa di esplorare esperienze visive che orbitano attorno al mondo dell’elettronica. Si guarda bene dallo stare lontano dai canoni tradizionali del clubbing, ma non ti nega momenti per ballare. È sperimentale al punto giusto, ma neanche così atonale da avvicinarsi a esperienze audiovisive troppo concrete o alienanti. Ma c’è di più. Il Mira è anche un luogo dove si sfatano leggende metropolitane varie sui VJ. Tutt’altro che in via di estinzione o surclassati a personale secondario alla componente musicale: tra i VJ del Mira abbiamo visto passare artisti a tutto tondo come MFO, Pfadfinderei o Florence To, abbiamo visto VJ impegnati in complessi progetti video esclusivi, in complessi video-mapping, in installazioni, e progetti di realtà virtuale.
Un po’ al di sotto delle nostre aspettative la sala dedicata alla Digital Art Gallery, però le installazioni dislocate in giro per gli spazi della fabbrica – a basi di robotica danzante, di fumi misteriosi, luci psicodeliche o elegantemente sinfoniche – sono state l’alternativa perfetta ai due palcoscenici con le oltre 20 ore di live show. Il Mira Dome, la gigantesca cupola gonfiabile con proiezioni e AV a 360, è una meraviglia di esperienza, di struttura, di produzione, ma è stato evidente che – e verrebbe da dire….piccoli festival crescono – c’è da migliorare la logistica degli slot d’accesso per il pubblico, ormai cresciuto rispetto alle prime edizioni, o aumentare il numero degli show, perché fare una fila lunghissima mentre ti perdi un altro show, non è mai piaciuto a nessun festival-goer.
Per coloro che l’elettronica la vivono come un’esperienza a 360 gradi, segnarsi dunque il Mira Barcellona sull’agenda degli eventi internazionali da fare in autunno.