Ok, Richie Hawtin is back. E probabilmente lo sanno già tutti. Ammiratori, groupies, non groupies, ascoltatori di musica assidui e non. È chiaro. Se c’è una cosa che il biondo canadese non ha mai smesso di saper fare è quella di riuscire a stare in un modo o nell’altro sotto i riflettori. Nel bene e nel male. Poi, è vero. Continuare a parlare nel 2015 quasi 2016 di uno come lui, a dire e ridire tutto ció che lo riguarda, potrebbe risultare noioso e scontato, banale, piatto. “Che palle!” verrebbe da pensare a molti di voi, specie a quelli che per Richie ora nutrono un sentimento composto e miscelato da delusione e rabbia, generato dalla trasformazione dell’amore provato in tristezza e dispiacere a causa del corso degli eventi che hanno riguardato l’artista più o meno negli ultimi tempi. Perchè quelli che ora del biondo canadese non ne vogliono nemmeno stare a parlare, sono molto spesso quelli che qualche anno fa ne avevano il poster in camera, che non ne perdevano una data e lo seguivano pure in capo al mondo. Che Richie Hawtin non fosse stato più Richie Hawtin negli ultimi anni, non me ne voglia lui stesso se gli dovesse capitare di leggere questo articolo, è un’ovvietà, ma la bassezza musicale in cui si è ritrovato a navigare nelle ultimissime fasi della sua carriera, è un po’ il motivo di questo hype negativo che gli si è generato intorno proprio da parte dei suoi ex estimatori. Ma come potrebbe non essere così?
Ok, resta la stima e l’amore per il talento dimostrato negli anni passati, ma cosa succede se alla coltivazione del genio si sostituisce la voglia irrefrenabile di mainstream?
L’opinione cambia. E cambia anche la musica verrebbe da dire. Poi mettiamoci che cambiano i tempi, si avvicendano le mode, gli ascoltatori e le esigenze. Mettiamoci il periodo delle melodie di plastica e delle palline rimbalzanti che pian piano svanisce. Aggiungiamo l’irrompente arrivo della tecnologia, e poi un romantico ritorno al vinile. Ricordiamoci Richie Hawtin ai vari Time Warp, e a Ibiza, e a New York e chi più ne ha più ne metta, e prestazioni non da lui. Insomma, antipatia o simpatia, se al buon Richard si può dire tutto tranne che non sia stato uno dei pioneri della techno, bisogna anche che riconosca che se per qualche anno negli ultimi anni si è comportato come una viziata popstar proponendo musica non alla sua altezza, non può che essere colpa sua.
Ma arriviamo al punto.
8 settimane fa, compare sugli scaffali di Hardwax, storico rivenditore di vinile in quel di Berlino, una misteriosa release su Plus8 Records, storica label del canadese, realizzata da “Unknown Artists”. Del disco si parla, ma in realtà nemmeno troppo. Non dimentichiamoci il “che palle” fisso-standard se qualcosa riguarda il canadese. Specie di più se riguarda la Plus8.
Qualche giorno fa poi, la conferma della sua presenza dietro a tale release. Stupore? Poco sinceramente. Ascoltarne anche solo una parte, lasciava parecchio intendere quanto ci fosse la sua persona dietro a tali lavori. Specie se lo si conosce, se si è in grado di riconoscerne il suono e lo stile sempre e comunque da bravi ex fan appassionati. Il fatto è che Richie Hawtin is back, ok. Ma a noi che resta?
L’altra faccenda, è che pochi giorni fa ha annunciato il suo nuovo album, “From My Mind To Yours”, e il discorso cambia. Perchè Richie Hawtin is back, ed è fottutamente techno stavolta. Qui, lo so, bisognerebbe ben chiarire cosa si intende con questa parola, e so che fin troppo spesso ora questo termine viene accostato all’aggettivo “dark”. Detto ciò, non bisogna confondere la verità con le convinzioni errate, con le passeggere mode del momento, con il nuovo tipo di suoni e melodie. Techno è tutto, ed è tutto ciò che si distoglie dalla normalità viaggiando su certi binari a certe velocità. Che l’album non sia un capolavoro, penso siamo tutti d’accordo. E che forse non si avvicini nemmeno ai primi lavori di Richie Hawtin pure. Ma esso, a nostro parere, segna una svolta, una novità, un qualcosa che non ti aspettavi. Il ritorno di un artista a proporre un tipo di musica che tutti si pensavano non fosse più in grado di fare. La voglia di rimettersi in gioco, di spegnere quelle fastidiose sirene che ormai lo vedono con occhi sbagliati da un bel po’ di tempo.
E Richie Hawtin in fin dei conti è proprio questo, quello che va a sorprenderti quando proprio non te l’aspetti, in positivo e in negativo. E stavolta vale la prima accezione.
Perchè? Perchè non si può stare sempre a paragonare tutto al passato, a com’era prima, a dieci, venti o trenta anni fa. Prima si stava sempre meglio, tutto era più figo, tutto era più cool e all’avanguardia. Si dice così no? Allora prendiamo una navicella inter-spazio temporale e torniamo agli anni d’oro. Dove tutto era underground, dove Richie Hawtin era più figo, più bravo, più tutto. Eppure, sono convinto che troveremmo comunque i lamentosi discorsi di qualcuno che ci spiega di come i tempi che stia vivendo non siano più come quelli di prima. Guardiamo il presente per una volta, e per chi ce la fa anche al futuro. Proviamo ad ascoltare musica senza per forza dare un nome ad essa, senza partire prevenuti a tutti i costi, senza anteporre pregiudizi. Proviamo ad ascoltare la musica senza stare a pensare cosa dice l’amico fidato dj di questa o quella release, aprite le orecchie, chiudete gli occhi. Insomma, se l’album non fosse firmato Richie Hawtin, la pensereste nella stessa maniera? Non è un caso che le release arrivate ad Hardwax siano firmate “artisti sconosciuti”. Il pregiudizio, il partire prevenuti, il “sentito dire” ormai segnano la differenza tra quella che viene catalogata in musica di qualità e non. Non prendiamoci solo il male delle cose, specie nell’arte e nella musica ancora di più. C’è qualcuno che vuole dirci qualcosa, e Richie Hawtin stavolta è come se esordisse con un: “Hey stronzi! Io sono ancora qua, sebbene di me non ci abbiate capito niente, beccatevi questo”.
E poi boom. Un fulmine a ciel sereno e arriva “From My Mind To Yours”. Così all’improvviso. Ed è un percorso che il biondino canadese svolge dentro sè stesso, ricercando l’essenza dei vari alias con cui si è fatto conoscere ed apprezzare (forse si, forse no? forse si dai) nel corso della sua carriera, e attraverso i suoni che lo/ci hanno segnato. Come dichiara proprio lui, sulla sua pagina Facebook ufficiale, questo album è semplicemente la rappresentazione di sè stesso in studio, registrando e sperimentando ogni giorno combinando nuove macchine e vecchi effetti, ricercando a fondo lo spirito della techno che lo ispiró 25 anni fa. Se poi ci sia riuscito o no, la scelta probabilmente non sta a nessuno di noi. Prendiamolo come un punto di (ri)partenza, o come un bigliettino di scuse per la lunga assenza, come un attimo di ispirazione, prendetelo come volete voi. C’è qualcuno che vuole dirvi qualcosa e penso valga la pena ascoltarlo.
“From My Mind To Yours” è ascoltabile interamente, suddiviso in tracce su un sito creato appositamente per il lancio e l’uscita dell’album e per una volta accontentatevi della musica, dell’ispirazione di un artista, di quello che egli vuole dirci e trasmetterci. Chiamatela techno, acid, house, minimal quello che volete. Ma chiamatela “musica”, non Richie Hawtin, non dategli un volto e non statela a giudicare. Dedicatevi a quella che è la sua forma più pura, la sua essenza più profonda e distaccatevi dalla superficialità dei commenti tecnici e non, fregatevene delle aspettative e tutto il resto. Ascoltatela, e apprendetene il messaggio che essa trasmette perché qualcuno ha qualcosa da dirvi. Perché qualcuno è tornato.