Alcuni disc jokey li conosci, sai chi sono, ma non sai perchè. Poi ti ricordi che il loro nome ti ronza in testa addirittura da prima di entrare in un club, sono quasi dei nomi che se ti attrae un certo mondo ti si stampano in testa. Per quanto mi riguarda Flavio Vecchi e Ricky Montanari so da sempre chi sono, chi me ne ha parlato? Perchè? Non lo so… però sono due dj romagnoli, sono storici e se stanno in zona si va a sentirli, c’è poco da discutere. Soundwall vi propone quest’intervista, con un mix di pudore, rispetto e con tanta tanta curiosità.
Tempo fa parlando con un ragazzo della vostra zona, mi disse una frase che mi colpì molto “…se i romagnoli fossero stati più furbi, forse oggi non sentiresti parlare di Ibiza”. Quanto c’è di vero in questa frase e sopratutto come e quanto è cambiata la riviera da quando voi avete messo per primi, i primi dischi?
R: Qualcosa di vero c’è ma non credo che non avremmo sentito parlare di Ibiza, che ritengo un posto speciale e magico. Però è vero che c’è stato un periodo ben preciso in cui la riviera romagnola avrebbe potuto spiccare il volo, avrebbe potuto rilanciare le proprie azioni a livello internazionale e invece per una serie di ragioni, anche politiche, non è stato possibile. Le mamme anti-rock, per esempio, sollevarono un vero e proprio polverone, come se tutti i guai dei giovani venissero dalle discoteche della riviera romagnola. Si preferì un turismo più famiglia/gelato/passeggiatina per intenderci. Ricordo che nell’estate del 1991 le stesse organizzazioni inglesi che poi rilanciarono Ibiza, vennero per 15 giorni a Riccione, con tanto di giornalisti al seguito, per valutare una possibilità di creare il loro “posto al sole”… non ne rimasero per niente soddisfatti anzi i giornali ci attaccarono e criticarono per tante questioni, i taxi carissimi ad esempio, o varie carenze nelle infrastrutture. Risultato? Se ne tornarono ad Ibiza ed entro 3/4 anni Ibiza ripartì alla grande e noi siamo ancora qui.
F: In quella frase c’è molta verità; intanto Ibiza sarebbe stata ed è quella che è attualmente in ogni caso, il punto centrale però di quella frase è quello che sarebbe potuta essere la riviera e Riccione in particolare, quello che era e quello che ormai non è più. A partire da quando si incominciò a sentire l’orrenda parola ”le mamme rock” iniziò una demonizzazione della notte da parte dei media, le amministrazioni locali animate da finto perbenismo e ipocrisia cominciarono a mettere i bastoni fra le ruote con limitazioni di orario e volume, controlli Siae, scontrini, Guardia di Finanza etc etc. A forza di insistere in quel senso le migliaia di persone che arrivavano a Riccione da ogni parte d’Italia, anche nei week-end di pieno inverno, ora non vengono più nemmeno nei weekend estivi. Tutte quella persone non solo riempivano le famose discoteche di Riccione ma andavano a mangiare nei ristoranti, dormivano negli hotel, spendevano soldi nei bar e con l’arrivo del caldo riempivano pure le spiagge. E’ rimasto molto poco di tutto questo! Viva l’ipocrisia, viva il perbenismo, adesso hanno il turismo delle famiglie coi bambini, che comunque c’era anche prima, è sparita però tutta un’economia. Sono quindi stati furbi i romagnoli? Bisognerebbe chiederglielo. A quelli che conosco io l’ho chiesto, piangono tutti.
In rete si trova una serata del 1991 di Flavio al Red Zone assieme a due leggende della scena underground italiana, Sauro Cosimetti e Frankie Hi-Nrg nel ruolo di vocalist. Un raro esempio di due mondi che si incontrano, la house music con l’hip-hop. Oggi, tralasciando discutibili manovre commerciali, i confini dei movimenti giovanili sembrano ben delineati. Un esperimento come quello del Red Zone vi sembra possibile oggi?
R: Difficile al momento; nella scena house il vocalist, aggiungo finalmente, è stato quasi del tutto abolito…
F: Quella serata del Red Zone con il sottoscritto e Sauro credo che potrebbe ripetersi in qualcosa di analogo anche adesso, semplicemente Frankie Hi-Nrg era agli inizi e per cui faceva un pò di rap sulla nostra musica, non lo vedo come un incontro fra mondi diversi.
La vostra generazione ha per forza di cosa dovuto impegnarsi per emergere. I locali erano meno, il ruolo del dj non era ancora così centrale, ma sopratutto per non sfigurare dietro ad una consolle bisognava saperci fare per davvero. Degli anni della gavetta cosa ricordate?
R: Ricordo la mia primissima stagione da resident, 1981, Bahamas Club, ora Coconut. Ricordo che se non facevi ballare, e per farlo a volte bisognava un pò tapparsi il naso mettendo delle commercialate pazzesche, tipo “Una Zebra A Pois”, il proprietario cominciava a girare attorno alla pista come uno squalo, aleggiava nell’aria quel senso di precarietà, il venir licenziati da una sera all’altra. Sapete come finì? Terminai la stagione, il proprietario se ne scappò alle Bahamas e non vennì pagato.
F: Sì è vero, i locali forse erano meno, sicuramente c’erano molti ma molti meno djs di ora ma proprio per questo chi aveva talento poteva avere più occasioni di adesso per poterlo esprimere e quindi per emergere e farsi un nome, però il rovescio della medaglia era che se non valevi sparivi. Ora entrano in gioco tante variabili che spesso il talento è importante fino ad un certo punto. In sostanza degli anni della gavetta ricordo che o ci sapevi fare o stavi a casa.
Momenti fondamentali della vostra carriera sono stati l’afterhours Diabolika e il leggendario Echoes di Riccione. Entrambi eravate i resident e le stelle indiscusse… nonostante la vostra fraterna amicizia, tra di voi c’era della sana competizione?
R: Mai e poi mai, credo che sia caratterialmente che musicalmente siamo complementari.
F: Francamente io non mi sono mai messo in competizione con Ricky, lui aveva il suo spazio ed io il mio, ce lo siamo sempre divisi in modo equo e non prevaricante. Poi per quanto mi riguarda non mi sono mai messo in competizione con nessuno, sono convinto che chi è sicuro dei propri mezzi non viva di queste rivalità ridicole.
Si dice che la forza degli artisti esteri sia quella di collaborare molto facilmente. Pensando a nomi storici come Master at Work, Deep Dish, Layo & Bushwacka! o Kruder & Dorfmeister per citarne alcuni, come mai secondo voi gli italiani (tranne rare eccezioni come ad esempio i Pastaboys) non sono molto inclini a collaborare tra di loro? Avete mai pensato di unire i vostri sforzi e creare un progetto comune?
R: In generale bisogna forse ricercare la causa nel dna degli italiani, per quello che ci riguarda, abbiamo lavorato insieme tantissime volte. Il progetto Riviera Traxx, che ha prodotto 4 volumi, Love Quartet, ne è l’esempio.
F: Non credo che i djs italiani non siano per le collaborazioni, credo piuttosto che per far sì che gli artisti collaborino fra loro ci sia bisogno di qualcuno che organizzi questo tipo di collaborazioni, salvo eccezioni che possono nascere per caso o per gioco e poi evolvono. E’ raro trovare nella stessa persona talento artistico e capacità manageriali, è necessaria quindi la presenza e il lavoro di persone di cui credo che il nostro paese sia carente, credo quindi che sia questa la ragione per cui non ci sono dei progetti comuni potenti che uniscano più djs nel nostro paese.
Risentendo le tracce di un vostro “Dj on The Mix” del 1993 non ho potuto fare a meno di pensare ad un’amara realtà. La musica di vent’anni fa era molto più sexy e che, forse, l’house music è nata e morta in quegli anni: un disco degli ’90 è drammaticamente ancora attuale e i nuovi che funzionano hanno quasi sempre “rubacchiato” a qualche vecchia hit. Mi sbaglio? O forse dobbiamo accettare che la semplificazione (digitale) nella produzione ha reso più arida la house music?
R: E’ tutto talmente vero che viene quasi da chiedersi, sono passati 20 anni senza che succedesse veramente niente? Spesso la mia risposta è SI!
F: Io non sono d’accordo che l’house music è nata e morta negli anni ‘90. Bisogna innanzitutto tenere conto che per gli anni ‘90 l’house music era una novità dirompente, era ovvio quindi quell’entusiasmo che si respirava, cacchio! Stiamo parlando dell’ultima rivoluzione musicale esistita, era tutto nuovo, tutto bello! La semplificazione digitale non ha fatto altro che permettere a tanta gente priva di talento di saturare il mondo dell’house music, abbassando ovviamente il livello medio, ed è questa la ragione per cui si tende a dire che l’house ’90 era più bella, più sexy, ma quella bella esiste anche adesso solo che è più difficile riconoscerla in un mare pieno di mediocrità. La conseguenza è che i djs che non hanno gli strumenti e il background per intercettarla in un mare di musica livellato verso il basso sono destinati a suonare “piatto”, come si suol dire. Chi invece possiede i mezzi per discernere quella bella da quella bellina ovviamente produce dei djset che fanno la differenza.
Continuando a parlare di musica, nella vostra carriera avrete ascoltato non oso immaginare chissà quanti dischi e ne continuerete a sentire ancora chissà quanto. C’è sempre però un disco che rimane nel cuore, quello che cambia la visione della musica e che appena si sente si vorrebbe stare dietro ad una consolle per poterlo suonare immediatamente. Per voi qual è il disco imprescindibile, l’immancabile perla della bag, l’asso nella manica?
R: Senza tanti giri di parole dico “Good Love, Real Love“ di D’Bora.
F: In tutta sincerità mi è impossibile nominare un disco imprescendibile e immancabile.
L’Italia è da sempre un paese strano. L’esterofilia è una “malattia” da cui, forse, non guariremo mai. Come mai i dj italiani di oggi si stanno facendo un nome suonando come i colleghi tedeschi di 10 anni fa e invece le nuove stelle mondiali diventano dei big suonando come facevate voi e i dj della vostra generazione?
R: Ah Ah Ah , bella domanda… Se avessimo più fiducia in noi stessi e lo stesso concetto lo si potrebbe applicare a vari settori della vita quotidiana, sicuramente otterremmo più risultati.
F: Purtroppo che l’Italia sia un paese esterofilo è la verità, sulle considerazione della vostro domanda non saprei cosa dire, dico solo che in qualche modo l’esterofilia a noi djs italiani ci danneggia a favore ovviamente di chi straniero è, non a caso siamo pieni di djs italiani che portano con disinvoltura nomi esotici.
La vostra carriera prescinde da strategie di marketing, agenzie di booking, label, sub-label, festival etc..etc.. Chi siete e il vostro talento l’avete dimostrato nel tempo. In Italia non riusciamo a liberarci dal concetto di guest straniera, oggi basta veramente solo avere un numero esotico o nordico per far impazzire il nostro pubblico o il pubblico sta tornando ad apprezzare i veri dj che sanno domare anche la pista più ostica?
F: Pare che qualcuno si sia stancato di buttare via soldi per nomi nordici o esotici a prescindere dalla musica che si portano dietro.
Tempo fa avevo letto del vostro nuovo progetto, l’Home Club di Misano Adriatico, dove avete condiviso la consolle con un mix di nomi interessante dalla nu-school come Boddika alla old school italiana come Dino Angioletti. Non vedo più nessuno dei due in locandina da più di un mese, pausa di riflessione o volete dare più spazio ai talenti locali?
R: Ho abbandonato L’Home, assieme a Gianluca Tantini e a Flavio 2 mesi fa. C’erano incomprensioni e di base per me è una cosa morta e sepolta.
F: L’idea di creare un piccolo club underground guidato musicalmente da djs affermati coadiuvati da giovani talenti locali è una bella idea, ma Riccione per i motivi di cui ho parlato prima, non è più una località-laboratorio, di conseguenza il pubblico è solo locale e ciò non è sufficiente per indicare un’ipotetica direzione.
Nel vostro incessante viaggio nei club di tutta Italia e del Mondo, quale situazione o club vi ha trasmesso un “qualcosa” che non avete trovato in nessun altro luogo? Quale caratteristica deve avere un club per colpirvi?
R: Ogni posto può diventare speciale se c’è la voglia e soprattutto un buon impianto.
F: In tanti anni e in giro per il mondo mi è capitato parecchie volte di suonare in posti che mi hanno colpito, è inutile ora fare un elenco, dico solo che pur avendo suonato in club pazzeschi, i nostri Ethos Mama, Diabolika, Echoes e Vae Victis facevano paura. Ciò che preferisco è il club con pubblico eterogeneo spinto da un ottimo soundsystem, stop!
Per concludere, cosa rimpiangete della vostra epoca e cosa invidiate a chi inizia oggi a toccare un mixer?
R: Un mixer? Vorrai dire un controller… ah ah ah!!!
F: Dell’epoca in cui incominciai a rendermi conto di saperci fare rimpiango appunto il valore che si dava al talento, di chi incomincia in questa epoca invidio l’età.