Questo weekend potete regalarvi una esperienza sensoriale bellissima, iniziando a settare per l’estate in arrivo una chiave diversa. Fatelo. Anche perché è un modo per dare finalmente un po’ di senso al “ne verremo fuori migliori”, che è stato il mantra di questo ultimo anno e mezzo: non sappiamo se accadrà davvero di venirne fuori migliori, ma di sicuro lo stop ai live e l’essere quasi forzatamente bloccati in casa un effetto lo ha avuto, per tutti. E lo ha avuto quindi anche su chi fa musica – almeno per chi aveva la sensibilità di coglierlo. Il punto infatti è: con la scusa che “Ora i dancefloor non ci sono” o più in generale “Ora il mercato non è ricettivo” (valida evidentemente per chi fa musica tarata sul mercato… o monodimensionale e solo per i dancefloor), le release si sono diradate. Molti le stanno tenendo in canna però per quando la ruota riprende a girare, richiamando a sé i criceti (noi). E occhio: perché sì, sta riprendendo a girare ‘sta ruota. Infatti Solomun ha fatto uscire il suo album, pronto già da millemila mesi, ma evidentemente farlo uscire prima non gli avrebbe permesso di massimizzare quanto voluto i risultati, e lui si sa che su questo ci sta attentissimo.
Ma ci sono artisti invece dagli interessi ed intenti un po’ più puri e meno strategici. Oggi parleremo di due di loro. Uno ha fatto un disco molto bello, l’altro ha fatto un disco bellissimo, meraviglioso. Entrambi comunque sono un perfetto esempio di cosa vorremmo dalla musica e dai musicisti: gusto, curiosità, voglia di rischiare, visione internazionale sì ma al tempo stesso ancorata ad alcuni valori (anche emotivi ed estetici) fondamentali e microquotidiani. Gente insomma che sta anche sul mercato, certo, non parliamo di gente nelle grotte che conoscono in sette, ma se lo fa allora lo fa navigando anche controcorrente, o seguendo comunque un proprio pattern e soprattutto propri ritmi, proprie spiccate personalità.
Iniziamo da Populous. Che certo qua su Soundwall è di casa: e ci mancherebbe, visto che è fin dal giorno uno (leggi: fin da quando non se lo filava nessuno, e doveva essere la tedesca Morr a dissotterrarne talento e sensibilità) uno dei più bravi in assoluto dalle nostre parti, un autentico caposcuola. “W”, uscito l’anno scorso, per quanto ci riguarda è forse il disco più bello che abbia fatto. Meno scintillante e paraculo di “Azulejos”, più composto di “Night Safari”. Un autentico gioiello, anche nel suo imbracciare di nuovo un mood più rarefatto, dilatato, con flirt coi territori ambient in alcuni passaggi. “Guarda che io un disco ambient ce l’ho già in canna, è la prossima cosa che voglio far uscire” ci aveva detto, ed è stato di parola. “Stasi” conferma tutto ciò che di buono&bello si può dire su di lui. E’ un disco ambient, sì, ma non è palloso; è un disco ambient ma non è una esercitazione di stile; è un disco ambient ma le nervature ritmiche non è che non ci siano. E qualche episodio – “L’architettura del mare”, “Luna liquida” soprattutto nella seconda parte, “Meditazione urbana” – è davvero di alto, altissimo livello.
(Immergersi nella “Stasi” di Populous; continua sotto)
Ecco. “Meditaziona urbana” c’ha fatto pensare “Mmmmh, qui tira aria di Alessandro Cortini”. Vuole il caso – ma il caso spesso ti suggerisce le piste giuste – che “Stasi” di Populous esca esattamente lo stesso giorno in cui esce il nuovo lavoro sulla lunga distanza proprio di Cortini, “Scuro chiaro”. Ascoltati uno accanto all’altro, che è quello che vi consigliamo di fare, entrano in una prospettiva per cui Populous è una bellissima preparazione propedeutica per entrare, poi, nel mondo di Cortini. Populous ti “ripulisce” le orecchie dal chiasso, dalla musica troppo dozzinale, troppo fatta coi preset, troppo prevedibile nei ritmi e ti fa entrare in un altro stato d’animo auditivo. In un’altra scala di sensibilità.
…una volta che ci sei dentro, sei pronto per il mondo di Alessandro Cortini. Mondo che è sempre stato fatto in un certo modo, nelle sue sortite soliste (perché poi, ricordiamolo, c’è la sua “altra” vita, quello come parte integrante dei leggendari Nine Inch Nails), ma che oggi ha raggiunto delle vette pazzesche. Semplicemente pazzesche. Il suo suono era suggestivo, sì, ma ha talmente affinato la sua maestria ai sintetizzatori e ha talmente reso “profondi” i frammenti e le scie di rumore statico che, ormai, approcciarsi alla sua musica è diventata quasi una violenta esperienza psichedelica. L’esempio perfetto è “Sempre”, se l’ascoltate in cuffia, ad un certo punto vi sembrerà quasi di impazzire: per la bellezza, per la pressione emotiva, per lo sciame di suono che vi sbatte violentemente da una parte all’altra pur essendo apparentemente – ed inizialmente – un “mare tranquillo”. Entri davvero in un’altra dimensione sonica. E psichica, come si diceva.
(“Chiaro scuro”, una intensità emotiva e una forza del suono pazzesche; continua sotto)
Provate. Perché nel farlo, proverete davvero ad uscire dal logorio del clubbing moderno (che non nascondiamolo, batte e scalcia per tornare egemone come lo era prima, tra sgomitate per stare in console e “bombe” da pista una uguale all’altra che presto torneranno nel lessico comportamentale comune). Prendetevi il bene che ci ha dato un anno e mezzo di stop, dove magari abbiamo riscoperto di più la forza del pensiero, della mente e – paradossalmente – anche dal corpo: perché quando il pensiero emotivo si fa forte davvero, ha una intensità praticamente “fisica” che si ripercuote anche su come percepiamo i nostri nervi e muscoli. Perché sapete quale potrebbe essere il punto? La musica elettronica e da club ha un grandissimo merito storico, e non glielo toglierà mai nessuno: aver scardinato le liturgie del rock, del concerto, della forma-canzone, dei luoghi dove fare musica. E’ stata insomma dirompente, rivoluzionaria. Ora, a colpi di Ibiza e quant’altro, rischia di diventare a sua volta una messa cantata, una liturgia prevedibile, prevedibilissima. Anzi: lo è diventata da mo’, nella maggior parte dei casi. Bella, festosa, ma prevedibile. Addomesticata.
Ed è per questo forse che la musica elettronica più autentica ora potrebbe essere anche (e soprattutto?) quella che ti (ri)porta a ballare con la mente – del resto la “braindance” era strettamente imparentata alla prima ondata techno e house nel nostro continente – e l’esperienza da club più intensa potrebb essere quella che invece ti porta fuori dal club, magari pure fuori dal ballo: ecco, in tal senso troviamo interessantissimo cosa si è inventato Dancity quest’anno, che con Synthonia – progettato assieme a Acusmatiq MATME (Museo del synth marchigiano), Bnoise e MusiCamDo – da inizio luglio a fine agosto ha creato una serie di appuntamenti che porteranno artisti come The Comet Is Coming, Gigi Masin, KIll The Vultures, Simona Faraone, Katatonic Silentio ed altri ancora in location immerse nella natura, tra Marche ed Umbria.
(Il manifesto di Synthonia; continua sotto)
E sempre a proposito di natura e musica, si è conclusa da pochi giorni la residenza d’artista Re:Earth. Ci immaginavamo una cosa bella; è stata, invece, bellissima. La paura era che il “manifesto” dell’operazione fosse in qualche modo troppo “alto”, troppo “etereo”, invece i partecipanti al tutto coadiuvati dai tutor hanno dato vita a qualcosa di una intensità bellissima, con momenti grande classe scrittoria e strumentale e attimi così (suono registrato in presa diretta, niente overdub, in quel luogo magico che è il Terzo Paradiso pensato e realizzato da Michelangelo Pistoletto):
Ci torneremo, su Re:Earth. Ed anche su Synthonia. Quello che dovete fare adesso, se potete, quando potete, è di ritagliarvi un paio d’ore nel vostro weekend e darvi ad ascolti di dischi come quello di Populous, come quello di Alessandro Cortini, o anche rituffarvi nelle trame mistiche della collaborazione tra Floating Points e Pharoah Sanders. Ecco: per “Chiaro scuro” abbiamo sentito, attraverso suoni diversi e un approccio piuttosto differente, le stesse emozioni provate con “Promises”. La (ri)scoperta dell’emozione tramite una musica statica, non per forza calcata ritmicamente, è un’eredità bella di un periodo disgraziato; e, soprattutto, può aiutarci a tornare nella dimensione del ballo e dell’estasi con più maturità, più bellezza, più profondità.
Facciamolo. Non torniamo alle cazzate di prima. Anche se erano apparentemente esaltanti, apparentemente divertenti, apparentemente remunerative. Ma eravamo tanto, tanto, tanto intrappolati in liturgie logore, svilenti, superflue. E un po’ ce ne siamo resi conto in questo anno e mezzo, no? Per anni ci siamo fatti abbacinare (solo) dai colori: iniziamo ad immergerci nei chiaroscuri…
(video di Marco Ciceri, il nostro connazionale alla corte dei Pfadfinderei, con un piccolo aiuto di Axel Schoterman)