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RIP Diane Charlemagne, il calore di una voce indimenticabile

Qualche tempo fa mi presi la briga di scrivere un articolo lungo un necronomicon e mezzo sulla storia della voce femminile nella musica dance. Era morta da poco Donna Summer e l’idea stuzzicante era riportare il cuore in modalità nostalgica verso le voci iconiche dell’elettronica più dancey. C’è ancora un legame affettivo profondo verso quel pezzo, verso il lavoro di ricerca e riscoperta necessario a scriverlo. Ce le misi dentro tutte, categorizzate per fasi storiche: la disco, i rave, l’eurodance, l’electropop e l’electroclash, il mainstream e la trance, la house e la techno, dubstep, funky e roba contemporanea. Si passava da Cheryl Lynn a Ms. Dynamite, da Corona a Miss Kittin, dalle Bananarama agli Inner City, da Sophie Ellis-Bextor agli Hercules and Love Affair. “Iconico” può voler dire mille cose, a seconda del contesto che si circoscrive.

Ovviamente c’era anche Diane Charlemagne. Capitolo “rave e periferie“, paragrafo sulle mosse di stile, a valle di un excursus che toccava sia voci vive ed emotive come Baby D e Nazlyn che il caleidoscopio di sample maniacali come quelli di Nightmares On Wax o Saunderson sotto il moniker E-Dancer. Il capitolo più giusto però sarebbe stato “la porta del paradiso“. Poche altre donne sono riuscite a far scattare con la loro voce emozioni vere, di quelle che restano vive dentro di te e risalgono a galla ogni volta che ti concedi il riascolto. Poche donne, pochissime, se si parla strettamente di musica dance. Diane Charlemagne è la Beth Gibbons del continuum dance tutto. È quella di “Inner City Life”, forse il brano piú amato di tutta la drum’n’bass. Forse proprio perché era riuscito ad accedere a una dimensione nuova per la d’n’b, una fase che funzionava nell’ascolto prima che giù in pista. Una questione di connessione cerebrale. La chiamarono “intelligent d’n’b”, per l’appunto.

Diane Charlemagne è morta ieri. Lottava contro il cancro da parecchio tempo, e quella è una lotta che spesso lascia poco scampo e zero spazio alle scorciatoie. Il legame affettivo per lei era quello che voi tutti conoscete, che anche voi avete per quegli artisti che nella vita reale non avete mai conosciuto ma che nella vita personale vi han lasciato il segno per quel che hanno generato emotivamente dentro di voi. È come se qualcuno vi portasse via quella bicicletta che avevate ricevuto dopo aver imparato a pedalare e avevate usato per le prime scorribande lontane, alla scoperta di strade nuove che non erano nelle vostre mappe prefissate. Ed era un legame che per noi era stato da poco ripristinato, per quei riascolti che abbiamo dato a “Timeless” in occasione dell’intervista fatta a Goldie all’Exit Festival. Ecco, “Timeless”. L’ambizione di Goldie stava già nel titolo e Diane l’aveva resa possibile proprio col pezzo che apre quel disco. Un pezzo che originalmente dura 21 minuti (qui la versione integrale) eppure versatile pure per le tv. Un pezzo che va assaporato con una calma particolare, dimenticando lo scorrere del tempo, allontanandosi a largo insieme alla musica per poi tornare indietro, al caldo. Il caldo è la voce di Diane, il focolare che resta lì ad accoglierti dopo le avventure passate lì fuori.

Una delle voci più grandi che la dnb abbia mai conosciuto“, come ha detto ieri lo stesso Roni Size sulla sua pagina. In effetti basta questo a rendere l’idea.