Bisogna andare indietro a più di dieci anni fa, tra il 2005 e il 2006: la techno era già un fenomeno affermato e storicizzato, ma in qualche modo era ancora “fresco”, in medias res per quanto riguarda il suo sviluppo e soprattutto per quanto riguarda la sua comprensione. Già da tempo la musica con la cassa in quattro radunava, pifferaio magico 2.0, milioni di persone ai quattro angoli del globo, ma in qualche modo non si aveva ancora una piena coscienza del fenomeno, soprattutto qua in Italia, affidato ancora a selezionati, valorosi carbonari della prima ora, visto che tutti gli affaristi, gli opportunisti e i maneggioni ad un certo punto finivano disarcionati. E’ solo dopo, negli anni successivi, che siamo riusciti a formare una generazione di persone che con la techno, sia culturalmente che professionalmente, era in grado di rapportarsi in modo consapevole e maturo. Dieci, quindici anni fa era quasi tutto in mano ai pionieri, a chi cioè aveva l’esperienza diretta in mano, e alla loro capacità di saper tramandare il messaggio giusto… ma anche alla loro fisiologica incapacità di controllare quello che veniva detto, scritto, fatto in giro. Insomma, era tutto un po’ più complicato. E confuso.
E’ in questo panorama e per questo panorama che “Mondo Techno”, il libro scritto da Andrea Benedetti e uscito per Stampa Alternativa nel 2006, fu importantissimo quando uscì. Per la prima volta fissava a disposizione di tutti su un unico supporto quello che era uscito negli anni in maniera disordinata su riviste, articoli, fanzine, forum, chat pionieristiche, volantini, ciclostili. Si concentrava in modo molto mirato su un determinato tipo di techno, operando delle scelte di campo abbastanza nette: ma guarda caso il campo scelto è quello che ancora oggi, più o meno, viene considerato come quello originario, più autentico. Oggi che UR non sono più centrali nel discorso contemporaneo sulla techno o che Roma ha completamente perso il suo ruolo di guida egemone per quanto riguarda la techno in Italia, a fare un libro in grado di rispecchiare e raccontare la realtà si dovrebbe probabilmente aumentare lo spettro. Ma dovendo operare una scelta di campo, una sola, quella di Andrea Benedetti era giusto allora ed è giusta adesso.
Non solo una scelta di campo: la cosa affascinante di “Mondo Techno” è che l’autore parlava di qualcosa di cui era protagonista in prima persona, qualcosa di cui conosceva le dinamiche e gli sviluppi in presa diretta. E si sente. Oggi, più di dieci anni dopo, “Mondo Techno” ritorna: grazie a Stampa Alternativa, questo fondamentale volume rientra in circolazione (lo trovate nelle librerie a partire dal 25 maggio, a 15 euro) e lo fa in un formato molto interessante e, come dire?, filologicamente tanto geniale quanto corretto: quello del remix. Benedetti infatti ha girato il testo del libro a Christian Zingales, di gran lungo uno dei più grandi giornalisti musicali italiani ad approcciarsi in profondità all’elettronica, e gli ha chiesto di farci sopra un po’ di editing: un vero e proprio remix, dove ogni tanto ci sono solo piccoli lifting (dei re-edit, volendo) e ogni tanto gli interventi si fanno più incisivi e creativi. Un’operazione molto interessante, che si tramuta in una grande scorrevolezza di lettura. Grazie a Stampa Alternativa e all’intercessione dello stesso Andrea Benedetti, abbiamo il grandissimo piacere di poterne ospitare un estratto in anteprima. Buona lettura, ora. E buon acquisto appena potete. Un volume che deve stare nella vostra libreria, se anche solo lontanamente vi interessate di clubbing e di cultura musicale.
Anteprima da “Mondo Techno – Christian Zingales Remix” di Andrea Benedetti
Techno
La musica techno ha radici insospettate (la Detroit della Motown, artisti di colore, rivincita sociale) che ne fanno uno dei misteri musicali del secolo scorso. Scoprendo ed analizzando la storia delle sue origini potremo capire le tensioni utopistiche che alcuni ragazzi afroamericani innamorati tanto dei Funkadelic quanto dei Kraftwerk hanno voluto rendere vive tramite la loro musica. Quello che ne è venuto fuori è un mostro tentacolare sfuggito ai suoi creatori che si è diffuso in brevissimo tempo in tutto il mondo contaminando stili e creandone altri. In ogni nazione si è adattato alla cultura del posto creando spesso controversie e discussioni filologiche. La techno infatti è divenuta il termine ideale con cui definire e rappresentare il sempre crescente rapporto fra tecnologia e musica, un rapporto che, vista la sua continua mutevolezza, può creare infinite combinazioni e risultati. Molti artisti l’hanno sentita propria, molti hanno creduto di rappresentarla. Perché? Semplicemente la techno è stata la cosa giusta al momento giusto. Un micidiale cocktail di elementi della tradizione musicale nera uniti a quelli dell’elettronica occidentale incredibilmente diretto, ma difficilmente controllabile. Nel momento di massima crisi della dance music e grazie al sempre crescente utilizzo di strumenti elettronici a basso costo nella produzione musicale, un manipolo di produttori afroamericani sono riusciti ad azzerare il linguaggio musicale esistente, riscrivendolo. Non solo la musica dance ne è uscita trasformata, ma tutta la musica popolare moderna, direttamente o indirettamente, ne è stata influenzata, soprattutto nella metodologia compositiva. In questo libro studieremo l’origine della musica techno attraverso la voce dei suoi creatori. Analizzeremo la loro musica e le loro idee, cercando di capire come in seguito si siano diffuse in Europa e soprattutto nella nostra nazione così culturalmente refrattaria alla musica elettronica. A dispetto di altri generi musicali vivisezionati e analizzati in ogni minima parte, a più di trent’anni dalla sua creazione la musica techno resta ancora un oggetto misterioso, ma dalle possibilità musicali incalcolabili. Un mondo inesplorato alla cui base c’è l’uomo, la macchina e il loro rapporto in continua evoluzione. Un mondo che va esplorato per capire meglio la direzione della musica in questo nuovo millennio, e di conseguenza la direzione dell’uomo (…)
Underground Resistance
La musica techno ha radici insospettate (la Detroit della Motown, artisti di colore, rivincita sociale) che ne fanno uno dei misteri musicali del secolo scorso. Scoprendo ed analizzando la storia delle sue origini potremo capire le tensioni utopistiche che alcuni ragazzi afroamericani innamorati tanto dei Funkadelic quanto dei Kraftwerk hanno voluto rendere vive tramite la loro musica. Quello che ne è venuto fuori è un mostro tentacolare sfuggito ai suoi creatori che si è diffuso in brevissimo tempo in tutto il mondo contaminando stili e creandone altri. In ogni nazione si è adattato alla cultura del posto creando spesso controversie e discussioni filologiche. La techno infatti è divenuta il termine ideale con cui definire e rappresentare il sempre crescente rapporto fra tecnologia e musica, un rapporto che, vista la sua continua mutevolezza, può creare infinite combinazioni e risultati. Molti artisti l’hanno sentita propria, molti hanno creduto di rappresentarla. Perché? Semplicemente la techno è stata la cosa giusta al momento giusto. Un micidiale cocktail di elementi della tradizione musicale nera uniti a quelli dell’elettronica occidentale incredibilmente diretto, ma difficilmente controllabile. Nel momento di massima crisi della dance music e grazie al sempre crescente utilizzo di strumenti elettronici a basso costo nella produzione musicale, un manipolo di produttori afroamericani sono riusciti ad azzerare il linguaggio musicale esistente, riscrivendolo. Non solo la musica dance ne è uscita trasformata, ma tutta la musica popolare moderna, direttamente o indirettamente, ne è stata influenzata, soprattutto nella metodologia compositiva. In questo libro studieremo l’origine della musica techno attraverso la voce dei suoi creatori. Analizzeremo la loro musica e le loro idee, cercando di capire come in seguito si siano diffuse in Europa e soprattutto nella nostra nazione così culturalmente refrattaria alla musica elettronica. A dispetto di altri generi musicali vivisezionati e analizzati in ogni minima parte, a più di trent’anni dalla sua creazione la musica techno resta ancora un oggetto misterioso, ma dalle possibilità musicali incalcolabili. Un mondo inesplorato alla cui base c’è l’uomo, la macchina e il loro rapporto in continua evoluzione. Un mondo che va esplorato per capire meglio la direzione della musica in questo nuovo millennio, e di conseguenza la direzione dell’uomo (…)
Roma
(…) A fine anni ottanta a Roma i riferimenti erano Goody Music e Best Records, ma c’era chi non si accontentava e andava a Rimini, Milano e anche Londra. Arrivare nella capitale inglese in quegli anni significava necessariamente entrare in contatto con una realtà che aveva già metabolizzato fenomeni come l’hip hop, l’house, l’acid house e la techno, pertanto molti tornarono con idee rivoluzionarie. Uno dei DJ che frequentò di più Londra fu Lory D, DJ geniale e misterioso, che si era avvicinato allo scratch ed al cutting verso la metà degli anni Ottanta, affascinato dai suoni dell’electro e dell’hip hop. La voglia di migliorare e di trovare sempre nuove tecniche lo mise in contatto con altri ragazzi che avevano le sue stesse idee. Fra questi c’erano Giorgio Prezioso e Mauro Tannino. Con quest’ultimo nacque un’amicizia ed una collaborazione che diventerà molto importante per l’intera scena dance romana. Dopo aver vissuto insieme l’esperienza di alcuni rave inglesi (in particolare l’Energy con Frankie Bones), i due decisero di riportare lo stesso spirito a Roma. Coinvolsero in questo senso Chicco Furlotti, organizzatore di serate attivo nella scena dance romana sin dagli anni Settanta. Un primo risultato fu l’organizzazione di alcune serate in una villa vicino Roma. Erano chiamate La casa, con evidenti rimandi all’horror e agli slasher movie che andavano alla grande in quel periodo e di cui erano entrambi fan. Presto seguirono i primi party più importanti come Rage e Biology, organizzati ad Euritmia, lo spazio che aveva ospitato la serata house Devotion. Seguirono anche delle serate regolari in un club, L’Opera, che negli anni Settanta era stato l’Easy Going (una significativa casualità). Lory D e Mauro Tannino suonavano techno, electro, new beat, freestyle, breakbeat e quanto di più nuovo ci fosse in giro. In generale la loro bravura non fu solo quella di far ascoltare nuove sonorità, ma quella di coinvolgere e convincere organizzatori, promoter e altri operatori del settore musicale a seguire anche loro quella linea ed infatti dalle prime serate sporadiche si passò in pochi mesi ai primi veri e propri rave con più di 2000 persone (…) Nel 1989 avevo aperto uno studio di registrazione con un mio caro amico musicista e grande ingegnere del suono, Eugenio Vatta, che aveva già suonato con band rock e jazz. Qualche anno prima avevo avuto delle esperienze radiofoniche in una radio locale, Radio Jolly, che era piuttosto conosciuta in città. Il programma dance pomeridiano era curato da Lorenzo Cherubini (ancora non si faceva chiamare Jovanotti), coadiuvato in seguito da Luca Cucchetti. Tramite Lorenzo entrai in contatto con Andrea e Giorgio Prezioso, due DJ che avevano collaborato con lui in un’altra radio, RAM 102, in un programma dance che proponeva molto hip hop e che aveva un bel seguito. Quando aprì lo studio mi sentii con Andrea Prezioso e gli segnalai la cosa. Lui mi disse che un suo amico, Lory D, voleva aprire un’etichetta techno. Io avevo sentito Lory sia all’Opera che ad Euritmia e l’idea mi elettrizzava. Ci iniziammo a vedere e Lory ci propose il progetto: la label si sarebbe chiamata Sounds Never Seen (o SNS) e la produzione esecutiva sarebbe stata realizzata dal negozio Remix che aveva aperto nel 1990 specializzandosi sulla techno e che si sarebbe anche occupato della distribuzione. Ovviamente io ed Eugenio accettammo. Lory D aveva capito che realizzare su vinile il proprio suono era importante per varcare i confini nazionali ed entrare nell’arena techno mondiale. Partendo da quel tipo di suono a metà fra UR e Plus 8, Lory D cercava di mescolarlo a idee prese dall’elettronica pura e dalla musica industriale. L’idea era quella di realizzare brani di grande impatto dinamico, ma con una cura estrema per l’arrangiamento ritmico e per i suoni: tutto doveva essere innovativo. Diceva in merito: “(La SNS) più che un’etichetta è un progetto. La cosa predominante del progetto è l’avanguardia della mentalità. Ogni cosa che va cancellando il passato creando un anno zero è la musica da ascoltare, soprattutto in questo periodo dove non c’è spazio per l’arte, ma solo per il commercio (…)”
Future Shcock
Gli anni Zero saranno dominati dal mercato digitale, e nel decennio successivo ci sarà un ulteriore cambiamento verso una direzione opposta ma a guardarla da vicino speculare, con una generazione di millennials e hipsters cresciuta a pane e mp3 che incrocia e fa sua la moda del ritorno del vinile lavorando da un lato al recupero delle estetiche, produttive e sonore, dell’oldskool, ricreato pedissequamente nel tipo di tecnologie e negli stilemi, quasi a rivendicare la demolizione dell’idea stessa di futuro, e dall’altro a una disinvolta presa in carico di un approssimativo alternativismo techno al passo con i tempi. In entrambi i casi a uscirne è qualcosa che si muove sempre sul filo di una premeditazione promozionale, lontano da quel senso di missione e vocazione che muoveva l’esigenza di fare musica (…) Se la grande esposizione della techno è sempre stata legata inevitabilmente a un circuito commerciale, con megarave di inizio anni ’90 come la berlinese Love Parade che capitalizzavano e disciplinavano l’energia dei primi rave clandestini in un network milionario fatto di sponsor e indotti sempre più roboanti, la scena cambia nella forma ma non nella sostanza sempre a partire dalla seconda metà dei ’90, con il genere che viene mutuato da rampanti festival alternativi come il Sonar di Barcellona, destinato a toccare l’apice negli anni Zero. Se il lato legato al profitto e ai brand sembra avere una dimensione ancora più esplicita, vengono a mancare però istintività, pionierismo e candore a favore di un alone avant e intellettualistico controverso e modaiolo, non genuino. È il boom di un annoiato techno-turismo. In un contesto in cui la techno ancora fatica ad essere riconosciuta in concreto, ovvero nella sua profondità musicale, linguaggio espresso e riscontrabile in centinaia e migliaia di dischi pronti da analizzare e amare, ci si porta avanti sfruttandola per rinfrescanti integrazioni accademiche, con università pronte ad aggiornare i loro programmi e a confondere/avvilire lo spirito del genere tra birignao concettuali e politicizzate manipolazioni d’ufficio adattabili sempre ad ogni fenomeno. E i teatri, eccoli che aprono le porte a rese sinfoniche del repertorio dei grandi, i quali, da Jeff Mills a Carl Craig, da Laurent Garnier a Derrick May, fanno la coda. Si va quindi verso una musealizzazione della techno operata da ambienti istituzionali a cui non interessa capire il genere ma solo usarlo (…).