Meglio tardi che mai. Questo è quello che mi consola, perchè per poco non rinunciavamo anche a questa quinta, bellissima, edizione di roBOt.
Arriviamo a Bologna sabato, in ritardo sul programma ma giusto in tempo per affrontare il workshop sull’editoria musicale 2.0 a cui siamo stati invitati per raccontare la nostra storia. La prima cosa che ci colpisce e ci fa capire quanto possa essere surreale una manifestazione come roBOt è quanto sia significativa, bella e centrale la prima delle location a disposizione. Quel Palazzo Re Enzo che fino a qualche anno fa veniva usato solo per eventi noiosi e dal respiro tanto moderno quanto gli anni stessi del palazzo.
Nei giorni della rassegna invece la piazza è dominata dal mapping dei ragazzi di LPM (proiettate sulla facciata della Biblioteca Sala Borsa, proprio di fronte a Palazzo Re Enzo), digitalizzazioni pulsanti che rendono ancora più intensa l’esperienza di poter vivere quello che più ti piace (musica elettronica di qualità) dentro un posto tanto bello da sembrare quasi impossibile…
Quando riesci ad abituarti alla bellezza che ti circonda e smetti di fissare per un secondo il Palazzo ti rendi conto che intorno a te non ci sono zombie e maleducazione, ma persone che hanno voglia di divertirsi. Gente curiosa, con un proprio stile, che apprezza, ma soprattutto che sa quello che si aspetta di vedere. Il pubblico di roBOt è recettivo, probabilmente anche grazie alla stessa città in cui si svolge il festival. E poi ci sono le donne, tante donne. Che ormai nei club/festival italiani è sempre più difficile vederne di interessate e interessanti, tanto che anche uno come Richie Hawtin ci ha sbeffeggiati sui suoi social qualche mese fa (“hey, next time bring some ladies…“).
Ma in realtà poi cos’è successo in questi giorni? Perchè io e Marco siamo arrivati solo per il gran finale e ci sembrerebbe inutile e riduttivo parlare solo di questa giornata. Per questo motivo chiederò aiuto ai ragazzi di Soundwall che hanno vissuto il festival nei giorni precedenti. Piccoli flash, seminati in giro, vi racconteranno da un altro punto di vista gli episodi più significativi del festival, che mai come quest’anno ha cambiato passo verso la consacrazione definitiva.
Una volta entrati dentro il Palazzo, io e Marco facciamo un salto nella sala dove poi si sarebbe svolta la conferenza, ad aspettarci troviamo Damir con gli altri ragazzi coinvolti: Emiliano Colasanti di Rolling Stones/GQ/42Records, Alberto Campo firma storica di Repubblica/Rumore e direttore artistico del Traffic di Torino (si, quello che ha portato i Daft Punk in Italia nel 2007, gratis…) e Edoardo Bridda di SentireAscoltare.
Oneohtrix Point Never (mercoledì 10, Salone del Podestà):
Daniel Lopatin si sta progressivamente allontanando dall’approccio puramente onirico che lo ha reso un nome sulla bocca di tutti per gli appassionati di elettronica “arty”, cercando appigli anche più spigolosi e complessi. Lo show di roBOt lo ha confermato. La strada è quella giusta a metà: le prospettive sono interessanti, ma molto sono le limature e gli aggiustamenti da fare per entrare davvero nel novero dei grandi producer di ambient e dintorni.
Damir Ivic
Fumo ormai la decima sigaretta in 2 ore, l’emozione si fa sentire, il solo pensiero di essere seduti allo stesso tavolo di nomi del genere ci rende orgogliosi ma anche un pò spaventati. Il programma intanto slitta di mezz’ora, il workshop precedente non è ancora finito e così decidiamo di fare un salto nel Salone del Podestà (ancora chiuso al pubblico) dove Francesco Tristano è impegnato a fare il sound check.
Giovanni Verrina, Philipp & Cole (venerdì 12, Sala del Capitano):
In una parola: sorprendenti. La prima volta che li ascolto live, tutti è tre, è ben al di sopra delle più rosee aspettative.
Matteo Cavicchia
Mezz’ora dopo siamo seduti di fronte al nostro pubblico per parlare di musica e web, fuori diluvia e le parole si mischiano con il rumore forte della pioggia che cade. I presenti seguono interessati gli aneddoti e il modo di raccontare spigliato di Emiliano e allo stesso tempo pendono dalle labbra di Alberto che mette in campo tutto il peso della sua esperienza. Noi facciamo la nostra parte e due ore e molte più chiacchiere dopo siamo liberi di entrare nel vivo del festival.
Prima di iniziare la serata però decidiamo di mangiare un piatto caldo nella “robosteria” (non un baretto qualsiasi, ma un vero e proprio punto di ristoro DOC creato per l’occasione, chef e piadineria inclusi) e ci tuffiamo nel live dei Plaid. Sala gremita, atmosfera pazzesca tra luci riflesse su lampadari di cristallo che scendono dal soffitto e proiezioni psicotiche del live A/V creato in casa Warp.
Plaid (sabato 13, Salone del Podestà):
Pure in un’esibizione con seccanti problemi tecnici (il computer di Ed Handley ha fatto cilecca non caricando alcuni file del live nuovo, col risultato che i due hanno dovuto cambiare in corsa il set recuperando parte del materiale che usavano dal vivo negli show di qualche mese fa), la classe ha vinto. Preziosi e nobili come sempre. Avrebbe potuto esser meglio, ovvio, ma va bene così. Eccome.
Damir Ivic
L’unica pecca da segnalare è l’acustica che non è davvero al livello di tutto il resto, per questa volta però chiudiamo un occhio (o meglio un orecchio) e ci ricordiamo che siamo pur sempre in un palazzo del 1200, circondati da belle ragazze e altrettanti ragazzi, educazione e un minimo di cultura musicale. Una situazione praticamente perfetta, o quasi.
TPO:
Situazione fantasmagorica. Cancelli aperti presto e coda ben gestita nonostante la grande affluenza, location decisamente conforme ai guests della serata, visuals magnifici e gente disciplinata, preparata e con lo spirito “giusto”.
Carlo Braidotti
Usciamo a fumare una sigaretta (si, l’ennesima), cerchiamo il bagno e ci scontriamo con la dura realtà che uno spazio del genere è tanto bello quanto scomodo. Due bagni per piano per tutte quelle persone sembrerebbero essere un problema enorme, ma grazie all’educazione la fila scorre abbastanza veloce e senza problemi. Il tempo di rientrare e Tristano è già all’opera.
James Holden (giovedì 11, TPO):
Semplicemente devastante con spunti indie, rock e pura sperimentale. Un set psichedelico, quasi sempre lo stesso da mesi (forse anni), ma non gli si può certo rimproverare nulla. Nessuna sbavatura, incoscienza e passione allo stato puro. Talmente coinvolto che nemmeno l’apertura delle luci può fermarlo. Qualche secondo di pausa, giusto per far intendere che se la sta spassando di brutto, poi riprende per la gioia degli spettatori di una serata a dir poco indimenticabile.
Carlo Braidotti
Passiamo lateralmente al palco per entrare nel backstage, voglio vedere come Tristano gestisce ogni macchina che usa per il suo live e mi stupisce il fatto che non ci sia sicurezza a controllare l’ingresso. Ancora una volta (e scusate se mi ripeto) l’educazione delle persone si fa sentire, altrove avrebbero come minimo cercato di scavalcare pur di assicurarsi un posto (secondo molti) “esclusivo” e invece fortunatamente qui è chiaro a tutti che lo spettacolo vero è davanti ai loro occhi e non dietro.
Buck, Analogue Cops (sabato 13, Sala del Capitano):
Buck ed in particolare Lucretio (Analogue Cops) spazzano via lo stereotipo che la musica techno – e che techno – non possa essere suonata ben lontani dalle ore calde della notte.
Matteo Cavicchia
Detroit techno e melodia si fondono insieme, mentre le mani del giovane Tristano sfiorano prima un filtro poi la tastiera. I tasti si susseguono frenetici, il pubblico riconosce The Melody… è delirio vero. Le lancette del mio orologio segnano precise la mezzanotte, le luci si accendono mentre Tristano continua a bombardare il presenti con un mischione techno che sembra voler dire “mi sono fatto dare qualche dritta da Carl Craig, si sente?”.
Scuba (venerdì 12, Link):
“Personality” è un signor album e Scuba live non è da meno. Techno, dub e tutto quello che ci sta in mezzo per quasi due ore che hanno aperto la strada al set di Klock e Dettmann. L’inglese ci regala un set “pazzesco”, giusto per citare i presenti al mio fianco.
Matteo Cavicchia
Il pubblico inizia a defluire lentamente, siamo tutti diretti al Link per quella che si annuncia una “mattinata” lunghissima. Addetti ai lavori, pubblico, dj… tutti sotto lo stesso tetto per chiudere in bellezza questi quattro giorni di festa. Le preoccupazioni sono alle spalle, c’è solo voglia di divertirsi e nella frenesia perdiamo l’ultimo passaggio valido per raggiungere il Link. Fortunatamente ci dirigiamo verso Piazza Malpighi dove ogni mezz’ora dovrebbe passare una navetta gratuita che fa la spola tra il Link e il centro cittadino. Un’ottima soluzione, peccato per i continui ritardi e la lunga attesa al freddo… Ma, considerando il fatto che una navetta gratuita non è da tutti, l’unica cosa da fare è ringraziare e affrontare i 20 minuti che ci separano dai Soul Clap & Co.
Ben Klock & Marcel Dettmann (venerdì 12, Link):
Eleganti, solidi ed energici; capaci di attraversare ogni sfumatura della techno che tanto ci piace di questi tempi. Le oltre quattro ore di pura adrenalina non sono certo una scoperta, ciò che sorprende è che ogniqualvolta la consolle è affidata a loro è sempre bellissimo. Pratici e visionari, artisti veri.
Matteo Cavicchia
Il Link, quando lo vedi per la prima volta, è un capannone che emana energia da ogni porta, finestra o spiraglio. L’impatto è devastante, un mapping composto da tanti triangoli domina lo spazio davanti la consolle, di fronte due rampe di scale segnano il passaggio verso il piano superiore, la saletta, l’ambiente più berlinese che possa esserci in quel posto. Di sotto la musica è incredibile, a quel punto non mi interessa nemmeno sapere chi sta suonando. Soul Clap, Wolf + Lamb o No Regular Play in quel momento non c’è distinzione. Mi lascio trascinare dalla voce calda e rassicurante di Matthew Dear, perchè quel qualcuno li sopra sta suonando un remix più rilassato di Deserter, che assume una dimensione ancora più magica. Ritorno sulla terra giusto in tempo per sentire la cassa di Yazoo “Don’t Go” e la rilascio definitivamente quando i synth anni ’80 mi invadono completamente. Esco fuori per una boccata d’aria, saluto amici, colleghi e vedo intorno a me un pubblico diverso da quello del Palazzo ma comunque in grado di mantenere la calma e la voglia di divertirsi anche in un ambiente più clubbing. Rientro, salgo le scale e rimango a metà strada, mi giro e guardo la pista: mi avevano anticipato che il Link visto in quel modo, con quelle proiezioni, non è il vero Link ma io più lo fisso e più credo che questa è la diapositiva perfetta per la mia prima volta in quel posto.
Mentre torniamo verso l’albergo in taxi penso a come raccontarvi questa storia senza tralasciare nessuno dei dettagli che hanno reso questo Festival così speciale. Il Call4Robot, gli screenings, i workshop come il nostro e ovviamente una selezione intelligente di artisti. La dimostrazione che non serve un nome blasonato e che c’è ancora gente interessata alla qualità vera, a un festival costruito intorno alle idee, alla proposta e non solo ai nomi. Un festival che si amalgama perfettamente alla sua città ma che comunque ha il sapore di roba internazionale.
Arriviamo fuori l’albergo, spengo l’ultima sigaretta e con lei butto il pacchetto. Salutiamo Emilano Colasanti, nostro compagno di serata e taxi e ci buttiamo in camera ancora con il sorriso, ma con un rammarico molto grande, quello di aver perso le quattro edizioni precedenti. Grazie roBOt, non faremo mai più questo sbaglio, ci vediamo nel 2013.
Per vedere le foto della rassegna andate qui, per vedere tutti i video qui.