Una lezione per tutti. Una lezione di come la consistenza nel tempo passi non solo attraverso il talento, la conoscenza, la capacità di azzeccare i nomi “fighi”; ma passi anche e soprattutto dal lavorl, dagli errori, dalla capacità di superare momenti complicati senza vendersi e svendersi. Ormai rischiamo di darlo per scontato, il bolognese ROBOT, esattamente come diamo per scontato – sbagliando – l’ottimo Spring Attitude romano (quest’anno ha vissuto una edizione molto importante); diamo meno per scontato Jazz:Re:Found, ma solo perché si è reinventato più volte nel corso degli anni, quindi finora è come se avesse avuto quattro vite, non una.
ROBOT invece è sempre, e da sempre, lui. È il frutto di una scena costantemente fertile e viva come quella di Bologna, un raro caso dove ricerca intellettuale ed aperta voglia di far festa si incontrano in più e più intersezioni (e non parliamo solo di musica elettronica: è proprio un genius loci cittadino fin dai tempi dei biassanot, beata Bologna). È un festival in dialogo tanto coi club quanto coi musei e i palazzi storici cittadini. È un festival che “respira” l’aria creativa della città sviluppata anche dalle istituzioni universitarie o post-universitarie, e di essa in più di un caso ha trovato modo di nutrirsi. È un festival fra i primi ad aver avuto patrocini dal Comune d’appartenenza (…in un mondo migliore i patrocini sarebbero sempre anche onerosi, leggi supporto economico, ma ehi, siamo in Italia, mica in Francia o in Germania o in Scandinavia).
È, poi, un festival fatto come guida sempre dalle stesse persone. Dal nucleo originario si è giusto distaccato – ma restando sempre in ottimi rapporti – una leggenda cittadina come Edoardo Mazzilli, instancabile animatore culturale e festaiolo, per il resto il team alla guida di ROBOT è rappresentato sempre dalle stesse persone. Quelle che si sono fatte le ossa prima come dj, poi come promoter, infine come professionisti a trecentosessanta gradi nel campo della musica, dell’organizzazione e della comunicazione. Questa cosa si sente. Una delle magie di Bologna è proprio questo sentirsi eternamente “in famiglia”, tra amici, e il ritmo più pacioso della città rispetto alla metropoli Milano permette anche lo stratificarsi e l’accumularsi di generazioni su generazioni. Le cose “durano”, insomma, non sono consumate dal tempo e dalle mode, agli eventi organizzati dai ventenni/trentenni vedi anche i cinquantenni e viceversa. Questo è molto importante. A Milano tutto si consuma e si brucia, ed ogni classe anagrafica e sociale ha i suoi luoghi, i suoi riti, i suoi contesti: il risultato è che viene a mancare la memoria storica e il senso del radicamento, in favore invece di una “performatività cronicizzata” e di un ricambio costante che sono sì affascinanti (ed efficaci!), ma dopo un po’ anche tanto disumanizzanti e meramente collegati al mercato. Bologna è più – usiamo un termine suo e solo suo – polleggiata. Che è la sua bellezza, così come ogni tanto il suo limite rispetto alle meravigliose potenzialità che ha e sviluppa.
Forse anche questo spiega come mai l’unico, vero grande passo di falso di ROBOT è stato quando ha puntato su una grandeur stile Sónar (o, per tenere un paragone italiano, stile Torino), una storia che qui abbiamo raccontato più volte e su cui non vale nemmeno più la pena tornare sopra. Ma spiega anche come da questo passo falso – che avrebbe ammazzato un toro – ROBOT è riuscito a riprendersi alla grande, ripartendo da capo, mettendoci la faccia, tornando sui propri valori, contando sulle proprie competenze, orgoglioso di sé ed onesto con tutto ciò che è il suo contesto e la sua “casa”. Col risultato che arriva dal 2023 in formissima, con una edizione splendida che è ancora meglio di quelle precedenti, già bellissime di loro. E con un pubblico che risponde, eccome se risponde, infatti i sold out nei vari luoghi e nelle varie giornate hanno ripreso ad essere una regola (biglietti, qui: non esitate un attimo, ché poi restate a bocca asciutta).
Siamo arrivati fino a qua senza parlare di nomi, e di contenuti, senza soffermarci sulla line up insomma. Che di solito è la prima informazione che si dà, quando tenti di “raccontare” (o vendere) un festival. Però stavolta volevamo fare in altre modo. Stavolta volevamo evidenziare come ROBOT sia un evento più unico che raro, e come sia davvero da amare in primis per la sua unicità, al di là dei contenuti – ottimi – che offre. Quest’anno dal 12 al 14 ottobre ci sono Jeff Mills, Clark, Amnesia Scanner, Schackleton e Scotch Rolex (che duo!), Crystalmess e Lee Gamble (che duo anche questo!), c’è Helena Hauff, c’è Dj Phyton, c’è Forest Swords; ci sono Elena Colombi, Marta De Pascalis, i detriti folk targati Negativland, i Holy Tongue dove brilla Valentina Magaletti, Tim Hecker, Courtesy, Sama’ Abdulhadi (posizione scomoda la sua, suonare in questi giorni). Tutto questo in tre giorni. E in realtà abbiamo nominato solo una parte dell’intero programma, che si articolerà non solo in set ma anche in incontri, talk, screening. È da qualche anno che continuiamo a dire: “Quest’anno, è l’edizione di ROBOT più bella di sempre”. Tocca ripeterci anche nel 2023.
Ma nel farlo, fateci sottolineare come tutto questo sia tutt’altro che scontato. Nasce dal duro lavoro. Nasce dalla resistenza (…sì, lo sappiamo, sarebbe più corretto usare “resilienza”). Nasce dalla competenza guadagnata sul campo, e non dalla forza finanziaria maturata lucrando sul mercato. ROBOT continua ad essere un caso più unico che raro e, anzi, edizione dopo edizione rafforza sempre più una identità particolare, identità che è riuscita a vivere ed evolversi nell’arco degli anni. Fino ad arrivare ai giorni nostri più forte ed adamantina che mai: e questo, davvero, è un regalo per tutti.