Fossimo in voi, proveremmo a cancellare il più presto possibile le immagini ancora splendenti della scorsa, meravigliosa edizione del bolognese roBOt Festival. Lo faremmo perché non c’è altro modo per riuscirne a cogliere e apprezzare a pieno l’evoluzione, in modo critico e onesto; quella che i suoi organizzatori hanno immaginato come l’unica via per vincere la sfida più ardua di tutte: confermarsi. Perché se è vero – e così è – che le esibizioni dei Moderat, di Ricardo Villalobos, di Jon Hopkins e di Apparat ci hanno entusiasmati da matti, è altrettanto certo che sulla loro “resa” nessuno ha mai nutrito nemmeno il minimo dubbio. Per questa ragione, ora che certe suggestioni sono venute meno, scorrere i nomi inseriti nel cartello di quest’anno non può che creare una curiosità diversa. XLR8, il tema di quest’anno, sa infatti di sfida nella sfida: bissare le ottime impressioni lasciate grazie alle novità introdotte nella passata edizione (una su tutte la scelta della Fiera di Bologna come location della parte notturna) limando, se possibile, le quasi impercettibili imperfezioni, e accrescere allo stesso tempo il livello dell’offerta.
Tale accrescimento va inteso come un’arricchimento di sfumature. Già, ma sfumature di cosa?
Stiamo parlando della voglia di mettersi in gioco un po’ di più e di scommettere su artisti che alzano l’asticella del festival ponendolo alla stregua delle migliori rassegne continentali, partendo da un’esperienza vincente e da punti forza pressoché unici come la suggestiva cornice di Palazzo Re Enzo, nel cuore della città. Proviamo a spiegarci meglio: Squarepusher, per esempio, è universalmente considerato un genio, ma è anche un artista controverso e per nulla immediato. Non è, insomma, l’headliner su cui puntare a botta sicura. Lo stesso discorso vale per la musica di Lee Gamble, Evian Christ e The Bug, un terzetto che in tema di “estremismi sonori” ha poco da invidiare alle avanguardie techno più oltranziste. Non possiamo tenere conto, poi, del desiderio da parte dei ragazzi di roBOt di regalare al loro pubblico dj set vibranti e imprevedibili, sfida che passa attraverso le scelte di Lena Willikens (cerchiate col rosso questo nome), Sherwood & Pinch, Philipp Gorbachev, DāM-FunK e dei back-to-back da acquolina in bocca tra Floating Points e Caribou e tra Ben UFO e Jackmaster.
Ma c’è anche tanta bella techno, con Chevel (che presenta in esclusiva il suo primo live), Marco Shuttle, Helena Hauff, Clark, Powell e Lory D; house per tutti i gusti, con i set della rivelazione dell’anno Seven Davis Jr., del “sempre buono e sempre bravo” John Talabot e dei mattatori dell’estate ibizenca, quei The Martinez Brothers che a dispetto dell’età ne sanno una più del diavolo. E poi i nostri Capibara, Godblesscomputers, Populous, Clap! Clap! e Yakamoto Kotzunga, giovanotti troppo spesso trattati da comprimari, ma il cui talento gioca sempre un ruolo chiave nella riuscita dei festival in cui sono chiamati ad esibirsi.
Ci sono anche diversi “big”, come Trentemøller, Tiga, i J.E.T.S. (il progetto di Jimmy Edgar e Machinedrum), i Siriusmodeselektor col loro audio/video show, Levon Vincent e Nina Kraviz, ma anche figure difficilissime da incontrare dalle nostre parti e che vi esortiamo ad ascoltare con attenzione. Sono quelli come Jozef Van Wissem, Lawrence English, Biosphere e Flako, infatti, ad aver fatto di roBOt il bellissimo evento che è.