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[tab title=”Italiano”]Ron Trent vuol dire house music, Ron Trent è Chicago. Basterebbero questi due input per contestualizzare un artista che da sempre valorizza e arricchisce la scena. I suoi dj set sono caratterizzati soprattutto dall’ottima qualità come selector e dall’anima: il valore aggiunto che fa la differenza. E’ noto ormai che ha fondato ‘Prescription’, la sua etichetta insieme a Chez Damier. In questo 2015 sono previste molte uscite e alcune collaborazioni di cui l’ultima è quella con Sydenham e Aybee da cui l’acronimo S.A.T. Rimaniamo in attesa allora, godendoci questa chiacchierata che abbiamo avuto con lui.
Se non avessi fatto il dj che strada avresti seguito?
Sarei diventato un architetto, forse sarei potuto diventare un visual artist o un curatore in qualche galleria d’arte. Sicuramente un lavoro legato all’arte, ma sai è poi qualcosa che senti nel cuore…
Quali pensi siano state le fasi cruciali della tua carriera?
Ho avuto molte esperienze diverse, che mi hanno fatto capire che avevo preso la strada giusta. Ho avuto un paio di mentori che mi hanno incentivato ad andare avanti. Di certo Frankie Knuckles ma anche Ron Hardy con i quali mi sono spesso seduto a parlare. Per me questo supporto è servito come segno di aver fatto le scelte giuste.
Visto che ormai tu ci sei già passato, se fossi dall’altra parte, cosa diresti a qualcuno ai suoi inizi?
Prenditi il tuo tempo e le cose arriveranno. Ora viviamo in una società che porta a dover far tutto velocemente e quindi di conseguenza senti di dover andare veloce. In questo modo però si perdono un sacco di cose lungo la strada e molte lezioni non si imparano a dovere. Quando poi arriva il momento di fare i conti con la vita e cogliere certe occasioni, non avendo imparato quelle lezioni, ci si ritrova ad essere sempre troppo occupati a rincorrere qualcosa di diverso e che probabilmente non è molto importante. Prenditi il tuo tempo per essere il migliore.
So che eri molto legato a Frankie Knuckles. Ispirato da questo episodio hai prodotto musica per lui, vero?
Si, ho fatto varie produzioni che credo siano state terapeutiche per me perché sono stato molto male dopo la sua morte. Non riuscivo a dormire e quindi ho utilizzato quel tempo componendo musica ispirata a lui. Sono tutte produzioni inedite che usciranno a breve.
S.A.T. sta per Jerome Sydenham, Aybee, e Ron Trent ma di cosa si tratta? Quando uscirà l’album?
E’ un progetto sperimentale che ci ha dato l’opportunità di lavorare insieme quando ci ritroviamo a Berlino, semplicemente passando un po’ di tempo in studio. E’ stato un modo di mandare un messaggio ai ‘nuovi produttori berlinesi’ dopo una mia assenza di quasi 20 anni, una sorta di ritorno ecco. Questo lavoro è qualcosa di nuovo e indefinibile, è una combinazione di molteplici energie. Non so dargli una definizione precisa infatti penso che alla fine sia la musica a dover trovare le persone.
Qual è stato però il tuo apporto?
Non saprei dirlo, ho partecipato un po’ a tutto, solamente con un approccio diverso perché ero una delle parti.
Quando uscirà il vostro album?
Uscirà quest’anno, prima in vinile poi in digitale su Ibadan Records.
Proprio a questo proposito, il ritorno del vinile, lo accogli con positività o può essere visto come una forma di ipocrisia?
Ritengo che sia buono che ci sia stato questo ritorno a patto che anche questo non venga approcciato con superficialità. Possedere vinili è di certo speciale perché non tutti possono permettersi di comprarli a differenza degli mp3. Ancora una volta percepisco però che anche in questo processo manchi qualcosa e purtroppo è ben percepibile.
Cos’è cambiato in questi anni nel mondo del club? Come lo vedi oggi?
Noi viviamo in un epoca caratterizzata fortemente dal progresso tecnico, l’avvento di tutti questi nuovi tool aiutano sia il lavoro da dj che da producer, soprattutto all’inizio. Le persone però sono meno coinvolte a livello emotivo, è un processo meno organico. Ricordo che ai miei tempi un dj doveva andare al locale, essere sempre presente per far pratica, prendere confidenza con tutto l’ambiente circostante e avere un rapporto più diretto con il pubblico. Era il momento in cui non c’erano tutti questi smartphone e la mania delle foto e delle selfie nei club. Le persone erano concentrate ad avere un’esperienza speciale. Ora invece, si tratta soprattutto di uscire per andare nel club per sentirsi una superstar quindi è un modo prettamente superficiale di vivere questa esperienza. Un tempo si voleva ascoltare la musica o si voleva sentire un determinato dj perché si sapeva che avrebbe offerto un certo tipo di atmosfera e si sarebbe seguito un determinato percorso sensoriale. Tutte queste distrazioni rendono il pubblico approssimativo e anche il tipo di attenzione che viene investita è diversa. E’ triste vedere che le persone ricercano prettamente la super hit, magari le prime 20 in classifica, per poi disinteressarsi di tutto il resto. Non è il tipo di festa di cui io voglio far parte. Posso affermare che l’underground, solitamente, è quel luogo in cui si può ancora trovare la musica di qualità.
Anche nell’underground non credi che spesso venga lasciato poco tempo a un dj per potersi esprimere al meglio? Mi riferisco, per esempio a certi festival, dove si susseguono queste slot di un’ora, un’ora e mezza al massimo…
I promoter lavorano per soldi e per la pubblicità. Molti nomi su un biglietto richiamano sicuramente molta gente contro la qualità della festa. Non c’è più appunto la possibilità di suonare molte ore come un tempo e questo non permette spesso di entrare nel mood giusto, crearsi il proprio set, il proprio viaggio, creare una connessione con le persone e con il dancefloor. E’ un altro modo di fare le cose, un’altra estetica volta a creare hype.
Questa nuova generazione di dj, è in grado o avrebbe voglia di suonare i famosi extended set o sono figli di questa nuova filosofia?
In un certo senso, credo che la maggior parte sia dentro a questa filosofia perché oggi essere dj significa soprattutto ricercare successo e fama velocemente e guadagnare soldi. Una volta ti prendevano per pazzo se dicevi che facevi il dj. Anche qui, è ancora una questione di hype, sinonimo della società in cui viviamo. Vedi per esempio i talent show in tv, danno modo di accedere alla fama velocemente. Le tecnologie aprono molte porte ma si sono persi i contenuti, si è perso il messaggio e l’amore.
Perché continui a suonare ancora con il mixer rotativo?
Lo amo. Questi mixer sono fatti per il suono più che per dare un aiuto a suonare. Sono per professionisti che sanno quel che fanno, per tutti coloro che vogliono controllare il suono che risulta essere più caldo. Con queste tipologie di mixer puoi concentrarti meglio anche sul mixaggio e la sua fluidità invece di voler stupire la gente.
Ci sono dei nuovi produttori che ti piacciono e che segui?
Si, ci sono delle nuove produzioni, appena uscite, che mi piace anche suonare. Per esempio seguo la Souldynamic oppure ciò che arriva dal Sud Africa come Black Coffee o Culoe de Song… mi piacciono quelli che escono sulla mia etichetta come DJ Deep o Aybee… poi ci sono quelli che seguo da anni come Little Louie Vega, Osunlade o Joey Negro da Londra e molti altri. Certo è che apprezzo tutto ciò che è profondo, energetico, underground e soulful.
Come mai hai fondato la tua label ‘Prescription’ con Chez Damier?
Volevamo dare un messaggio, dare coscienza alle persone e avere un luogo che racchiudesse la nostra creatività.
Quali sono alcuni tra gli ultimi vinili che hai acquistato?
Per esempio Embryo “Africa”, Robert Schroeder “Floating Music” e una compilation di New Wave Italiana. In generale, mi piace il krautrock e tutto ciò che è sperimentale. E’ molto interessante questo connubio tra il live e l’elettronica. E’ qualcosa che mi rimanda fuori dallo spazio/tempo. Di solito ho un approccio aperto a tutto ciò che è nuovo. Non ho una lista di vinili da dover comprare ma di certo se trovo qualche edizione limitata sono molto felice.
C’è una traccia che suoni sempre?
Mmmh… No direi di no, io suono Chicago.
Ci sono degli album ‘manifesto’ che rappresentano meglio la tua musica, di riferimento?
Direi che potrei consigliare moltissimi album di musica jazz e fusion con le sonorità africane… Potremmo iniziare con Pat Metheny, famoso chitarrista molto innovativo. Di certo bisogna conoscere Miles Davis o Johnny Hammond perché i suoi album sono molto importanti nella storia della house music. Direi anche George Duke che è stato un maestro come tastierista, e uno dei suoi classici è ‘I want you for myself’. Suggerisco anche i dischi del Paradise Garage, Warehouse Records, Frankie Knuckles.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sto lavorando a diversi progetti, vari album usciranno quest’anno. Ci sono anche collaborazioni in corso. Voglio concentrarmi su tutta questa musica in uscita quindi sarà spesso in studio.[/tab]
[tab title=”English”]Ron Trent means house music, Ron Trent is Chicago. These two inputs are enough to contextualize an artist that always enhances and enriches the scene. His dj sets are characterized mainly by the excellent quality as selector and by the soul: an added value that makes the difference. It’s known that he founded ‘Prescription’, his label along with Chez Damier. In this 2015 are coming out many releases and collaborations, the last is the one with Sydenham and Aybee hence the acronym S.A.T. We look forward then, enjoying this conversation that we had with him.
If you were not a DJ, what would you have become?
I would become an architect but then you know there’s something you feel in your heart… maybe I could become a visual artist or a curator in some art gallery. Definitely a job related to art.
What do you think were the key steps of your career?
I have had many different experiences, which made me realize that I had taken the right path. I had a couple of mentors who have encouraged me to keep going on. Certainly Frankie Knuckles and Ron Hardy and I often chatted with them. For me, this support has served as a sign of having made the right choices.
Now that your position is changed, if you were on the other side, what would you say to someone at the beginning?
Take your time and things will come. Now we live in a very fast society that leads you to do everything quickly. In this way, however, you lose a lot of things along the way and many lessons are not learned properly. Then when it comes time to deal with life and catch certain occasions, we find ourselves to be always too busy chasing after something different that is probably not very important. Take your time to be the best.
I know you were very close to Frankie Knuckles. Inspired by this episode you have produced music, right?
Yes, I did various productions that they have been therapeutic for me because I was very sick after his death. I could not sleep, so I used that time composing music inspired by him. All these new productions will come out soon.
SAT, stands for (Jerome) Sydenham, Aybee, and (Ron) Trent but what is it?
It’s an experimental project that gave us the opportunity to work together when we are in Berlin, just spending a bit of time in the studio. It’s was a way of sending a message to ‘new Berliners producer’ after my absence of nearly 20 years, a sort of return here. This work is something new and indefinable, it’s a combination of many energies. I can’t give a precise definition, in fact I think that finally the music have to find people.
What was, however, your contribution?
I can’t say, I have attended to a bit all, just with a different approach because I was one of the parties.
When the album comes out?
It will be out this year, first vinyl and then digitally on Ibadan Records.
In this regard, the return of vinyl, it’s welcomed or it can be seen as a form of hypocrisy?
I think it is good that there was this return, but this won’t be approached lightly. Owning vinyls is certainly special because not everyone can afford to buy them unlike mp3. Once again I think that something is missing here and unfortunately is clearly perceptible.
What has changed in recent years in the club? How you see it now?
We live in a time characterized by highly technical progress, the advent of all these new tools help djs and producers, especially at the beginning. But people are less involved on an emotional level, it is less organic. Back in the days a dj had to go to the venue to training and have a direct relationship with the people. It was the time when there were not all these smart phones and the mania of the selfies. The people were focused to have a special experience. But now it is mainly to get out, to go to the club to feel like a superstar so it is a superficial way of living this experience. Once, you wanted to listen to music or a certain dj because you knew that it would offer a certain kind of atmosphere and would have followed a particular sensory journey. All these distractions make the public superficial and also the type of attention that is invested is different. It is sad to see the people searching for the super hit, maybe the top 20, and ignore everything else. It is not the kind of party where I want to be part of. I can say that the underground, usually, is that place where you can still find quality music.
Even in the underground don’t you think that is often left less and less time for the djs to express themselves completely? For example, at festivals, where the slots last an hour, hour and a half maximum…
The promoter working for money and for promoting. Many names on a flyer attract definitely a lot of people against the quality of the festival. There is no longer just the chance to play a lot of hours and this often does not allow to get into the right mood, create an own set, a storytelling and create a connection with the people and with the dancefloor. This is another way of doing things, another way to create hype.
This new generation of DJs, can or are able to play an extended set or they are all children of this new philosophy?
In a way, I think that most of them are into this philosophy because today be a dj means achieve success and fame quickly and also earn money. Once you were considered crazy if you said you were a DJ. Here, again, it’s still a matter of hype, synonymous of the society we live in. Take for example the talent show on TV that gives access to the fame quickly. Technologies open doors but we have lost the contents, we missed the message and love.
Why do you keep on playing with the rotary mixer?
I love it. These mixers are made for the sound more than to ‘play’. It’s made for professionals who know what they do, for all those who want to control the sound that turns out warmer. With these types of mixer you can concentrate better on the mixing and also on its fluidity instead of the desire to impress people.
There are new producers that you like and that you follow?
Yes, there are new productions that I also like to play. For example, I follow the Souldynamic or what comes from South Africa as Black Coffee or Culoe de Song… I like the ones that come out on my label as a DJ Deep or Aybee… then there are those that I follow for years as Little Louie Vega, Osunlade or Joey Negro from London and many more. Certainly I appreciate all that is deep, energy, underground and soulful.
Why you founded your own label ‘Prescription’ with Chez Damier?
We wanted to give a message, make people aware and we wanted to have a place to express our creativity.
What are some of the last vinyl you bought?
For example Embryo “Africa”, Robert Schroeder “Floating Music” and a compilation of Italian New Wave. In general, I like the krautrock and everything that is experimental. It’s very interesting this combination of live and electronics. It’s something that brings me out of space/time. I usually have an open approach to all that is new. I do not have a list of vinyls that I want to buy but certainly if I find some limited edition I am very happy.
There is a track that you always want to play?
Hmmm… No not really, I play Chicago.
There are some records that represent your music or that you think that is a reference?
I would say that I could recommend many albums of jazz and fusion with African sounds… I recommend Pat Metheny, famous guitarist, very innovative. Surely you must know Miles Davis or Johnny Hammond because his albums are very important in the history of house music. I would say that George Duke was a master as a keyboardist, and one of his classics is ‘I want you for myself’. I also suggest the album of the Paradise Garage, warehouse records, Frankie Knuckles.
What are your future plans?
I’m working on several projects, each album will come out this year. There are also collaborations underway. I want to focus on all this music output so I will be in the studio often.[/tab]
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