Non di rado ti capita di sentire come i grandi musicisti abbiano in realtà iniziato tutto partendo dal basso, iniziando per gioco e prendendo il tutto con la classica superficialità della giovinezza. Poi quando continui a leggere le loro storie e ti chiedi come ci siano riusciti, come abbiano fatto a diventare i personaggi che sono, e ti martelli in testa per capire qual è quell’anello che ha trasformato il classico musicista nella star professionista, bhe, le risposte che ti sono date sono semplici e sempre quelle: “ho seguito le mie passioni”, “mi piaceva quello che facevo, e piaceva anche agli altri”… Anche per Sam Paganini la passione è stata la molla che ha fatto scattare tutto il meccanismo: la passione totale per la musica (che inizia prestissimo con la batteria, ascoltando i dischi di Hendrix e degli Stones) esplode e dilaga nella musica elettronica dove riesce a farsi conoscere non attraverso la pubblicità dei produttori ma solo per la sua musica, di altissima qualità curata quasi maniacalmente. In occasione dell’uscita del suo nuovo disco “Body To Body EP”, siamo andati a farcelo raccontare direttamente da lui e a farci raccontare anche qualcosa a proposito di Sam Paganini.
Partiamo dalla fine per arrivare all’inizio. O meglio, dalla tua ultima uscita: giusto qualche giorno fa “Body To Body EP” è uscito su Cocoon Recordings. Tracce variegate, ma sempre dallo sfondo techno. Vuoi raccontarci un pò questo disco? Come e quando nasce?
Le 5 tracce incluse nella versione digitale (3 in quella in vinile) fanno parte di una sessione di studio degli ultimi 6 mesi, una delle tracce “Paral-Lel” in una prima versione demo, è stata supportata massivamente da Ali Dubfire già dalla scorsa estate. Il contatto con Cocoon è avvenuto in maniera molto semplice e veloce poichè Sven Vath ad ottobre aveva incluso la mia traccia “Prisma” (uscita lo stesso anno nel mio primo EP su Drumcode) nella sua leggendaria compilation che celebra la One Night all’Amnesia ad Ibiza “The Sound Of The 13th Season”.
Già da giovane la musica è stata parte integrante della tua vita: hai iniziato a suonare diversi strumenti sino ad approdare ai piatti. Come è nata la passione per la musica elettronica? Credi che sia stato importante aver avuto un imprinting di così tanti strumenti (e musiche) durante la giovinezza per la tua carriera da musicista?
Assolutamente si. La mia passione per la musica è totale. Ho dimostrato fina da piccolissimo interesse per gli strumenti musicali, a 5 anni il mio primo amore è stato la batteria che poi ho suonato in diverse rock band della mia zona, per poi studiare un paio di anni pianoforte e chitarra. All’età di 15 anni ho cominciato a lavorare come dj in un club di Belluno, la città in cui vivevo, cominciando così a guadagnare i primi soldi per mantenermi e il passo successivo è stato investire i guadagni in apparecchiature per allestire uno studio. I miei punti di riferimento all’epoca erano tutta la scena rock anni ’70, gruppi come i Pink Floyd, Led Zeppelin, Stones, Hendrix, Cream ecc. Quando ho cominciato a comprare i dischi nei negozi da proporre durante le mie serate, la scelta è andata verso l’acid house e la techno ed etichette come Trax Records, Warp, UR, Plus8 e artisti come Larry Heard, Marshall Jefferson, Carl Craig, LFO, Plastikman, Emmanuel Top ecc.
Da dj a producers il salto è stato breve. Quando hai capito che produrre sarebbe stato il tuo mestiere? Inizialmente, come creavi le tue tracce? Che strumentazioni usavi?
Come tutti i ragazzini alle prime armi ho cominciato a spedire i primi demo in cassetta alle labels e venni contattato dalla Media Records di Brescia. Mi venne offerto un periodo di lavoro nei loro studi ed accettai principalmente perché era un’ottima occasione di imparare il metodo di lavoro e le tecniche dello studio anche se le loro produzioni non rispecchiavano esattamente la mia visione musicale. Nel 1995 potei finalmente avviare il mio studio e cominciare ad avere il controllo sulla mia musica. Il primo disco fu un EP su UMM e l’anno seguente uscì “Zoe” con lo pseudonimo di Paganini Traxx. Venne registrata con Cubase su un Atari Ste1040, con un campionatore Akai, una Korg EX Wavestation e altri Synth e mixata su un Mixer Mackie a 24 canali.
Dai tuoi esordi, passando per quel classico “Zoe”, successo indiscusso, sino ad oggi di strada ne hai fatta veramente tanta. Sei un bagaglio vivente di esperienza nel campo dell’elettronica. Domanda quasi scontata quindi, ma doverosa: che consigli daresti ad un giovane? Credi che anche qui sia necessario (come i media sempre più spesso raccontano a proposito del mondo del lavoro) andare all’esterno per avere più spazio?
Ad essere sincero io non l’ho mai fatto e ora ne ho il rimorso. All’epoca, nel 1997 quando “Zoe” è diventata una club hit planetaria, non c’era internet ed i contatti con agenti e promoter erano molto difficili da ottenere, probabilmente se mi fossi trasferito a Londra la mia carriera a livello Internazionale sarebbe potuta partire già negli anni ’90. Erroneamente, complice la mia giovane età e la paura di partire allo sbaraglio, credevo bastassero i risultati come Artista. La mia carriera è poi finalmente partita grazie allo straordinario mezzo che è Internet, che ti offre l’opportunità di arrivare a chiunque. E’ comunque innegabile che noi italiani siamo molto esterofili e troppo spesso guardiamo all’estero senza renderci conto di quanti grossi talenti abbiamo in casa.
Sei operativo da moltissimi anni, dal ’93, uscendo su numerose etichette del calibro di Plus8, Drumcode, Octopus, Driving Forces, Amazing e Cocoon. Uscite prestigiose che richiedono tempo e cura nel preparare ogni traccia. Come riesci a conciliare il lavoro in studio con le uscite nei club e nei festival?
Quando ho iniziato non osavo nemmeno immaginare che un giorno avrei avuto l’opportunità di pubblicare i miei lavori su Plus8, Drumcode e Cocoon, avere la fiducia di Artisti come Richie Hawtin, Beyer e Sven mi ha ripagato di tutti gli sforzi fatti, di tutti i momenti di grande sconforto che ho passato, ed essere uno dei pochissimi italiani riusciti nell’impresa mi riempie di gioia. Ogni traccia che considero “ready to release” passa un lungo (forse anche troppo) periodo di test, sono molto pignolo e non molto veloce durante la fase di mix. Cerco di essere sempre obbiettivo e fino a quando una traccia non è ok non considero concluso il lavoro. La mia vita si divide tra lo studio di registrazione, ascoltare su un i-pod i miei gruppi preferiti quando sono in viaggio, passare del tempo con la mia ragazza e mettere la mia musica preferita in una consolle. Punto, non ho altre passioni.
Come nasce una tua traccia? Ti chiudi in studio o ti capita spesso di lavorare anche a casa? In generale, cosa ti ispira?
L’ispirazione può avvenire da qualsiasi cosa, anche ascoltando generi musicali che non sono propriamente “dance oriented”. Cito spesso “One Of These Days” dei Pink Floyd, è una canzone/esperimento che più ha influito sulla mia formazione, è stata composta nel 1971, ha tutti gli elementi di una traccia che io vorrei ascoltare in un club: è ipnotica, scura, una evoluzione perfetta con un break centrale e una ripresa da braccia al cielo! In quanto al mio studio…è in casa oggi! Anzi, in realtà con i miracoli compiuti dal mondo digitale è in un angolo della cucina.