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[tab title=”Italiano”]Samuel Kerridge è uno di quei nomi che a pronunciarlo rimbomba forte e chiaro, e non solo perchè la sua musica è particolarmente forte, cupa, e piena di energia, ma anche e soprattutto perchè, il suo talento ha trovato riscontro nella personalità di un certo Karl O’Connor, al secolo Regis, quel nome che associ in un attimo alla parola “techno” ovunque la leggi o senti pronunciare. Originario di Manchester, di base a Berlino dal 2011, Kerridge è uno di quei personaggi al quale piace sperimentare e uscire fuori dalle righe e dai canoni, differenziarsi, stupire, stravolgere e poi ricominciare; uno di quelli a cui poco importa cosa la gente possa pensare o dire di lui. La sua musica è una finestra che gli guarda dentro, che scava nella sua personalità lasciandocelo conoscere meglio pur ritagliandogli addosso una forte aurea di mistero. Qualche settimana fa lo abbiamo intervistato in occasione della sua apparizione al Krake Festival e in previsione di quella al prossimo Atonal, e abbiamo cercato di scoprire qualcosa in più su di lui, sul suo modo di sentire e produrre la musica in maniera così naturale e mai forzata, provando a interpretare la sua personalità catapultandoci nel suo mondo, nella sua testa, nella sua anima e nelle sue fonti di ispirazione.
Allora, partiamo velocemente dalle origini. So che sei un ex raver e frequentatore di party acid, ti senti dunque influenzato dal tuo passato? In che modo?
Be’, sicuramente la creatività e l’espressione di me stesso sono influenzate dal passato ma trovo difficile indicarne una specifica tra quelle che ho avuto, la mia musica è più un espressione di me stesso, è qualcosa di più difficile da definire.
Il tuo sound infatti si discosta decisamente da quello delle correnti rave e acid del passato ed è molto più profondo e senza dubbio sperimentale. C’è un messaggio che tu vorresti trasmettere con la tua musica?
Non penso ci sia un messaggio specifico, non c’è un concetto in particolare che applico quando creo la musica, come detto in precedenza, è solo l’espressione di me stesso, una caratteristica impulsiva. La musica è l’espressione di se stessa e tutto il sentimento che trasporta con sé di conseguenza. Non c’è alcun messaggio previsto nella mia mente, nessun processo ben organizzato in precedenza che rispetto per tirare fuori la musica.
Credo tu sia d’accordo con me nel ritenere che la tua musica possa essere etichettata come musica di nicchia. Pensi che questa ottica sia destinata a rimanere così oppure che con il tempo la gente possa imparare ad adattarsi a queste “nuove” sonorità?
Ritengo che la gente abbia molti pregiudizi riguardo determinati generi musicali… ognuno si approccia alla musica in maniera differente. Alcune persone vogliono ricercare ed esplorare, altre vogliono solo uscire, andare in un club e fare party senza interessarsi minimamente a chi stia suonando. Be’ si, credo che la gente abbia bisogno di tempo. Ho notato nel corso degli ultimi anni, che sempre più persone stanno iniziando a volere di più dalla musica che solo il party, stanno iniziando ad esplorare nuovi genere e la cosa si sta ampliando… quindi, non è la musica che è di nicchia, è più il modo di vedere delle persone e la loro mentalità ristretta nei confronti dell’evoluzione musicale. Credo che sia la gente a dover cambiare, non la musica di nicchia, ma so anche che questo sarà difficile farlo e che ci vorrà tempo.
Sono curioso di sapere in che modo ti rapporti con la fase creativa. Hai bisogno di un mood particolare per produrre qualcosa visto che le tue tracce sono caratterizzate tutte da uno stile particolare, oppure trovi ispirazione più semplicemente?
Ci sono decisamente dei momenti giusti e dei momenti sbagliati per me per iniziare a registrare. Nel corso dell’ultimo paio di anni ho imparato a percepire quando è il momento di fermarsi, quando le cose che “cliccano” nella mia testa non lo fanno nella maniera corretta… non ci sono metodi o processi, è tutto più naturale, in pratica lascio accadere le cose naturalmente. Non mi forzo nel fare musica perché essa è espressione e credo che dovrebbe arrivare da sola come una conseguenza naturale. Personalmente inizio a produrre quando sento di avere qualcosa da esprimere, da rilasciare… non mi piace forzarmi! La musica forzata suona male e si sente, gli si legge dentro.
Quindi lasci tutto all’ispirazione del momento…
Si, non ci sono parametri pre-settati che mi impongo di rispettare, assolutamente. Seguo solo i processi naturali.
Ok, cambiando un po’ il discorso vorrei mi parlassi un po’ di “Contort”, il nome della label di cui sei fondatore e dell’omonimo party che organizzavi con tua moglie Hayley qui a Berlino. Qual era il concept della festa? E come vi organizzate nella gestione della label?
Si, io e Hayley siamo venuti a Berlino con la visione di come le cose stavano andando e abbiamo scoperto che il clubbing era focalizzato su determinati tipi di musica. Il mio stile musicale non era propriamente ben visto, noi volevamo sperimentare, volevamo organizzare un free party dove gli artisti fossero liberi di suonare ciò che volevano. E doveva essere free per forza, così nessuno poteva rompere le palle nel caso non si fosse divertito alla festa. Tutto ciò, ha connesso diverse persone con mentalità simile tra loro e costruito un buon riscontro da parte del pubblico. Purtroppo, sebbene il party fosse sempre ben frequentato, abbiamo deciso di interromperlo alla sedicesima edizione. Da qualche edizione precedente infatti, è come se io abbia iniziato ad odiarlo perché la gente che vi partecipava era cambiata. All’inizio, veniva solo gente interessata esclusivamente all’ambito musicale e assolutamente non perché fosse un posto figo in cui andare; con il tempo però è iniziato ad essere un party dove si andava solo per farsi vedere e per questo motivo, coloro che venivano sin dall’inizio, smisero di venire. Abbiamo così deciso di interrompere il party focalizzandoci maggiormente sulla label e di organizzare, eventualmente, un “Contort” party all’anno.
Andando più nello specifico, nel 2013 hai rilasciato il tuo primo album, “A Fallen Empire”, sulla Downwards di Regis. Poi, nel 2015, è arrivato il secondo, sulla tua Contort. Il titolo, “Always Offended, Never Ashamed”, è particolarmente forte, colpisce duro. Da dove è nata l’idea di un titolo così “pesante”?
C’è più di un significato dietro a questo titolo onestamente, e penso che la gente sia libera di vederci ciò che vuole. Non mi piace spiegare l’intero significato che si nasconde dietro ad esso… non avrebbe senso, vorrei che fosse la gente a decidere. Mi piace il mistero che crea così che ognuno possa prenderci quello che vuole come nelle altre forme d’arte.
La tua musica suona come dark, forte e carica di energia. Ma a te come piace descrivere il tuo sound?
E’ come lo descrivi tu, ma diciamo anche che c’è molta “anima nera” in essa che suscita i sentimenti di un’estetica dark e gotica. Si, credo ci sia anche un sacco di anima, di emozioni in essa che la gente può anche ignorare. Non ho molto interesse nel come la gente voglia catalogarla purché gli piaccia. Loro possono prenderci quello che vogliono, la mia musica è come una finestra che guarda dentro di me, nella mia personalità.
Nel 2016 hai realizzato il tuo terzo album, “Fatal Light Attraction” di nuovo sulla label di Regis. Senti affinità con lui e con la sua idea di techno?
Si, sicuramente. Da sempre. Quando ho sentito per la prima volta le uscite su Downwards, ne sono stato completamente catturato. Regis come artista in sé poi, è uno che esce dagli schemi; c’è decisamente affinità tra noi, parliamo di un sacco di cose e veniamo dalla stessa club scene.
“FLA” è stato presentato in premiere nell’edizione dello scorso anno dell’Atonal a Berlino in un progetto audio/visivo in collaborazione con Andrej Bolesavski e Maria Judova. Dove è nato il desiderio di dare una forma concreta al tuo album attraverso la combinazione con effetti visivi e immagini?
Si, ho incontrato questi due ragazzi durante una gig a Praga in cui avevano preparato un lightshow per me. Io, ho pensato subito fosse brillante manipolare una sorgente luminosa; adoro fare questo tipo di cose e credo che in certi contesti sia un punto in più… con la mia musica inoltre, penso sia un’esperienza super intensa specialmente in un liveshow. Le immagini possono amplificare il focus dal sound e accrescere l’esperienza, è come se la musica prendesse forma esattamente. Bisogna stare attenti a non distrarre del tutto l’ascoltatore però, bisogna scegliere immagini adatte al proprio sound.
Riguardo questo argomento, parlami di “The Guest” e soprattutto di “The Mysterious Other”, la tua collaborazione con Taylor Burch dei Tropic of Cancer…
Ah be’ si, praticamente “The Guest” è stata una collaborazione con uno dei ragazzi del “FLA” lightshow. Lui aveva bisogno di un sound per una sua istallazione da presentare ad un festival, e così abbiamo collaborato e ci siamo presentati con il lavoro. Per “The Mysterious Other” invece, sono stato contattato da “Live Soundtrack Barcelona”; mi hanno cercato affinché realizzassi la colonna sonora di un film. Di mio, avevo questa idea già da un po’ così ho deciso di prendere ispirazione da uno script vecchio almeno 50 anni di Jean Cocteau, “La Fin De L’An 2000”. Alla fine, ho coinvolto Taylor dei Tropic of Cancer, ho registrato la sua voce e con un altro amico ho aggiunto qualche effetto al video. Per concludere ho editato il video e dato vita a un film di 45 minuti.
Pensi che l’accoppiata audio/video possa essere considerata la nuova frontiera della techno?
Si, io penso che l’accoppiata funzioni decisamente bene. Immagini e cose come queste possono funzionare mano a mano; l’unica cosa è che va fatta attenzione alla scelta del contesto in cui viene proposta. Un lightshow può migliorare e accrescere decisamente il valore di un’esperienza rispetto a quanto un proiettore che trasmette immagini random possa fare. Vorrei vedere più progetti di questo tipo.[/tab]
[tab title=”English”]Samuel Kerridge is one of those names which resounds clearly and strongly when pronounced, and not just because his music is particularly strong, dark and full of energy but also and, perhaps above all, because his talent has found a matching counterpart in the personality of a certain Karl O’Connor, or formerly Regis – a name that you link instantly to the word Techno wherever you may read or hear it. Originally from Manchester and based in Berlin since 2011, Kerridge is one of those minds who like to experiment and break away from lines and dogmas, only to diverge, astonish, overturn and then start again; one of those characters who isn’t really bothered about what people might think or say about him. His music is a window to his inside, which digs deep into his personality permitting us to know more about him and at the same time cloud him in a strong aura of mystery. Some weeks ago we interviewed him at the occasion of his appearance at Krake Festival and the upcoming Atonal Festival. We tried to discover a bit more about him and his way of listening to and producing music so very naturally, without any strain – trying to interpret his personality by catapulting us into his world, inside his mind, his soul and his source of inspiration.
So, let’s start quickly from the beginning. I know you’re an ex-ravers and party-goer acid, then, do you feel influenced by your past? How?
Well, creativity and expression has been influenced by the past for sure. I find it hard to pinpoint any specific influences that I have in my past, it’s more an expression of who I am, it’s actually hard to say for certain what it is.
Your sound is in fact quite different from the trend of rave and acid of the past, it’s much deeper and experimental for sure. Is there any message you would like to convey with your music?
I don’t think there is a particular message, there isn’t any story like a hardcore concept that I go into making music but like I said it’s more an expression of myself, it’s an impulsive characteristic. The music is the expression of itself and the feeling that’s being conveyed. There’s not really a message in my mind, it’s not a pretty fine process to put out the music.
I think you agree with me in thinking that your music can be labeled as niche music. Do you think is this a viewpoint destined to remain so, or that over time people can learn to adapt to these “new” sounds?
I think people have a lot of prejudices towards certain type of music, all of them approach music in different kind of ways. Part of them want to explore, other want just go out and party and don’t really care about who is playing. Yeah, I guess people do need time. I noticed in the past few years people started wanting more from music than just party, there is a lot more going on and they’re exploring a lot more new genres. It’s more about not the music being niche, but more about people views and how they view the music ad their narrow-mindedness towards music. I think it could be hard to change people’s views, but basically it’s not the music that is niche to change, only the people…
I’m curious to know how you relate to the creative phase. Do you need a particular mood to produce something, since your tracks are all characterized by a particular style, or you find inspiration easily?
There is definitely right and wrong time for me to start recording. I felt it over the last couple of years that there is time when I need to stop doing it because things are “clicking” in my headspace they don’t feel correct, there is not a process or a method I go into, it’s more natural… I just let it happen naturally. I don’t force myself to make it, music is an expression and should come as natural occurrence. I start recording when I feel I have something to express, to release. I don’t like to be forced because music that is forced doesn’t have much sound to it. You can see through it.
So you leave everything to the spur of the moment…
Yes, there aren’t pre-setup parameters that impose me to respect, absolutely. I only follow the natural processes.
Ok, so changing topic now, I’d like to talk a bit about “Contort”, the label which you are founder and the namesake party that organized with your wife Hayley here in Berlin. What was the concept of the party? How do you organize the management of the label?
Yeah, we came to Berlin with a vision of how it was going to be and we discovered it was quite focused on certain styles of music. That style of music wasn’t really well portrayed in Berlin, we wanted experimentation, we wanted a free party where artists could play whatever they want, and it had absolutely to be a free party so no one could complain or give us bullshit about they didn’t enjoy it. This connected people with similar mindset and built a good fan base but we decided to stop the party at number 16 because we kind of felt it had come to an end even do it was well attended. A few party before this one I kind of turned to hate it because the crowd changed. At the beginning people were there only for the music and not because it was a cool place to go, then it started to be a party where people want only to be seen, due to this reason people who came back in the days stopped going. So it was the right time to stop the party and we could finally focus on the label and eventually do one “Contort” event a year.
Going into detail on it, in 2013 you released your first album, “A Fallen Empire” on Regis Downwards. Then in 2015 came out your second on your Contort. The name was such a strong one. “Always Offended Never Ashamed”, it hits hard. Where did you get the idea for it?
There’s a few meanings to it, I think people can interpretate the album title how they want to see it. I don’t like giving my full meaning behind it, because I want to let the people to decide. I like the mystery about it so people can take what they want from it like in every kind of art.
Your music sounds like dark, strong and full of energy. But how do you like to describe your sound?
It is those things but label it as a souly dark and it conjures up these feelings of the dark, gothic, aesthetic. Some of it is there but I think there’s actually a lot of soul, emotion inside even if people can bypass that. I’m not to bothered about the connotation if people want to label it as long as they enjoy it. They take what they want from it, it’s kind of a window into me, into my personality.
In 2016 you released your third album, “Fatal Light Attraction”, again on the label of Regis. Do you feel affinity with him and with his idea of techno?
Yes for sure, I always did. When I first heard the Downwards stuff I was completely hooked on it. Regis himself as an artist stands out from the crowd. There is definitely affinity, we talk about a lot of stuff and we come from the same club scene.
“FLA” had its premiere in last year’s Atonal Festival in Berlin as an audio/visual project in collaboration with Andrej Bolesavski and Maria Judova. Where was it born the desire to give a concrete shape to your album by combining it with visual effects and images?
So, actually I met these guys at a gig in Prague where they have done a particular lightshow for me. I thought it was brilliant to manipulate a light source, I do like visuals and I think in certain contexts they can distract, plus with my music I think is super intense especially the liveshow in that instance. The imagery would take the focus away from the sound so I just want it to enhance the experience of the music so it’s kind of a visual interpretation of how my music looks to us. I didn’t want to distract the focus with the imagery so I think similar to my sound. You need to keep yourself open to it, there is not half way point.
About this argument, tell me more of “The Guest” and especially “The Mysterious Other”, your collaboration with Taylor Burch of Tropic of Cancer…
“The Guest” was with one of the guys from the FLA lightshow. He needed a sound for his light installation so we came up with that pack and he presented that at a festival in Prague. For “The Mysterious Other”, I was contacted by “Live Soundtrack Barcelona”, they wanted me to do a soundtrack for a film. I’ve had this idea for a while and I wanted to an original film. I didn’t want to use somebody else stuff basically so I had this idea to work around this lose script of Jean Cocteau that he made about 50 years ago, “La Fin De L’An 2000”. Then I got Taylor from Tropic of Cancer involved, I got her to record the voice and a another friend to put some effects on the video and at the end I edited the video into a 45 minutes film.
Do you think that the audio/video coupled could be considered the new frontier of techno?
Yes, I think that definitely work. I guess imagery and stuff like that work hand in hand. The most important things is that it needs to be done in the right context, a good lightshow could completely enhance the experience more than having just a projector and random images going. I would like to see more of it.[/tab]
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