Conosciuti come M+A, portati in palmo di mano da pubblico e critica, presenti sui palchi dei maggiori festival italiani ed europei, Michele e Alessandro avevano davvero in pugno una carriera scintillante, a cui mancava solo un album come unica consacrazione. Ma questo album mai arrivato ha suggerito un reset completo di nome, genere e attitudine. Dopo qualche anno di silenzio e di scrittura sono tornati con un nome nuovo, Santii, un disco nuovo, “S01” e un genere diversissimo (ma ben affrontato) con cui sono partiti alla ricerca compulsiva della perfetta formula pop per la contemporaneità, per poi accorgersi che non esiste e forse non esisterà mai.
Voi come M+A eravate considerati una delle migliori realtà musicali italiane uscite anche all’estero, davvero portati sul palmo della mano della critica. Perché questo reset di nome, genere, attitudine…
In realtà è una cosa che ha toccato non solo noi, ma anche altri casi più fortunati dei nostri. Credo sia una cosa più biografica che di mercato. Abbiamo sempre avuto un approccio molto ossessivo nei confronti delle canzoni, e mentre scrivevamo materiale nuovo come M+A ci siamo accorti che, vuoi per periodo storico, vuoi per cambio di ascolti o curiosità di capire cosa ci stava piacendo in quel momento, producevamo cose completamente nuove rispetto al passato e che tra l’altro ci piacevano molto di più. In qualche modo ci tentava anche il fatto, come hai detto tu, che M+A fosse un progetto considerato importante dalla critica. Quando abbiamo proposto il cambio nome: non è stato visto bene internamente praticamente da nessuno. Il reset nasce da un’esigenza naturale, l’abbiamo fatto perché era la cosa più giusta da fare, proprio per bucare la bolla M+A. Ci siamo trovati che dovevamo scrivere il disco M+A ma facevamo qualcosa di diverso: per questa ragione abbiamo deciso che questa musica non poteva nascere come M+A.
È anche un modo per prendere coscienza rispetto ad una strada intrapresa che non era proprio quella voluta…
“Onora ogni errore come un’intenzione nascosta“, no? Secondo noi una traccia base del nostro processo creativo sta nella metamorfosi continua e questo, a nostro avviso, si nota in ogni lavoro che abbiamo fatto. C’è da dire però che quando ti ritrovi ad essere cosi sfaccettato, non riesci a capire bene la strada che stai prendendo. A volte ti riescono bene cose che non sono proprio il risultato che avevi previsto. Considera poi che con M+A le cose venivano sì scritte da noi, ma non erano prodotte da noi, c’era sempre una sorta di compromesso artistico in ballo.
Una mancanza di proprietà forse, non economica ma intellettuale?
Non sappiamo dire bene cosa fosse, sappiamo che non era la cosa che volevamo. Tra le varie cose che sono successe in questi due anni, sicuramente ci siamo detti che se vogliamo essere liberi di fare ciò che ci pare dobbiamo imparare a fare bene questo mestiere. Non crediamo di aver già imparato a farlo, questo no, però sicuramente questo periodo ci è servito ad analizzarci e ripulirci.
Durante questo processo, in qualche modo liberatorio, quali sono stati i dubbi?
Tutti (ridono, NdI). È stato un momento di dubbio totale su tutto ma crediamo sia molto utile in generale. Tra l’altro, secondo noi, queste sono cose che solitamente si fanno nel momento in cui una carriera è in discesa o in generale le cose non vanno bene. Per noi invece è successo un po’ il contrario, ovvero era diventata una bolla con troppa carica e noi eravamo insoddisfatti. Non pensarla in termini di risultati, ma in termini artistici. Piuttosto che continuare a fare uscire l’album abbiamo preferito fermarci a dare una sistemata alle fondamenta.
Con quali presupposti o, meglio, con quali paletti avete fatto nascere Santii?
In realtà anche tutto il processo di “S01″ non abbia paletti. Non l’abbiamo assolutamente ponderato, anzi, abbiamo deciso di mantenere il progetto totalmente aperto. Ricordo che c’è stato un periodo in cui registravamo cose, chiudevamo il progetto e non lo ascoltavamo più per un mese. Ci siamo accorti che questo processo in apparenza (ma anche nella realtà…) molto dispersivo ci ha fatto ritrovare una forte vena compositiva.
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Quanta dell’energia di questo progetto viene dedicata alla ricerca disperata, anzi forse meglio dire convulsa, della perfetta formula pop?
Lo senti pop questo disco? È interessante questa cosa che venga percepito come un album pop, è una cosa che non avevamo assolutamente calcolato. Ci piace il doppio livello: un prodotto un filo sperimentale ma che comunque mantenga ottimi elementi di fruizione, con una sperimentazione che non si veda, ma si senta. Hai ragione però, rispetto alla ricerca della formula disperata. Per noi fare una canzone o un album è come fare una forma di vita. Siamo le persone meno poetiche se vuoi in questo, ma ad esempio il passaggio che può esserci tra una strofa e un ritornello è la struttura di un organismo. Probabilmente, quando arriveremo alla perfezione smetteremo di fare musica.
Confermo, mi sembra molto pop, molto americano con una produzione a metà tra il Diplo di qualche anno fa e gli Stargate. È sempre brutto chiedere quali siano i riferimenti, però anche alla luce di questo reset mi sento almeno di chiedervi quali sono stati i vostri ascolti. Cosa avete immagazzinato e cosa, invece, avete lasciato perdere?
Abbiamo lasciato perdere poco, nel senso che continuo ad ascoltare anche cose che mi piacevano prima e che non ho voluto dimenticare; mentre abbiamo immagazzinato sicuramente il lavoro di tutti gli artisti che hanno collaborato con noi a questo album, ma mi sembra abbastanza ovvio, e tutto il mondo PC music. Tendenzialmente però non facciamo mai ascolti interessati; di solito anzi ascoltiamo cose per puro divertimento, che entrano poi nella nostra musica inconsciamente.
Voi siete bravissimi nell’indovinare piccoli riff che catturano l’attenzione. Vi chiedo quali siano le maggior difficoltà di scrittura che avete riscontrato in “S01”.
Ah guarda hai centrato subito la cosa, i riff di un certo genere sono il nostro trauma! Quello è l’unico momento in cui davvero facciamo i produttori, è un lavoro quasi biologico. Quello secondo noi è il momento in cui vengono fuori tutte le nostre influenze.
Ho provato a definire il vostro album in due parole ed ho pensato a catchy and cool. Voi che ne pensate, siete d’accordo?
Forse un po’ più catchy, non penso sia proprio cool. Conta che secondo me qui entra quella dinamica che si crea tra chi l’ha creato e chi lo va poi ad ascoltare: una volta che ci sei dentro secondo me lo trovi un obbrobrio. Se invece la domanda è riferita a come possa essere visto fuori, è difficile – perché i feedback sono diversissimi, ne abbiamo già sentite di tutti i colori.
Parliamo delle tante collaborazioni? La cosa che secondo me salta all’orecchio è la fusione d’intenti tra voi e i vari featuring, che non mi sembrano le classiche ospitate piazzate lì un po’ a caso…
Torniamo alle ragioni di cui parlavamo prima rispetto al cambio. Sapevamo molto bene cosa volevamo per questo disco. Volevamo innanzitutto che ci fosse un guest in ogni traccia, non volevamo assolutamente chiamare nomi ultra conosciuti giusto a favore di streaming. Sono tutti feat nati via Facebook. Inviavo ad artisti che comunque ascoltavo spesso dei file da 15 sec, dicendo “Fai quello che vuoi”: una volta che tornavano indietro, ci lavoravamo molto in sede di produzione.
In realtà sembrate quasi un band.
Anche! È vero! L’idea è che vi fossero dei personaggi complementari che agiscono all’interno di una storia. See vuoi è una forma di band, in un modo però molto vocale. È un album che, nonostante la disperazione per portarlo a compimento, ci ha divertito molto.
Che poi la disperazione, se fissata verso un preciso obbiettivo, non è detto sia sempre un male. Si tramuta sempre comunque in gioia.
Dal punto di vista del lavoro che facciamo e della musica che produciamo è una cosa sicuramente positiva, però riconosco sia un elemento abbastanza ossessivo, disturbante. Come ogni musicista, alla fine il disco non ti soddisfa mai perché ci hai lavorato talmente tanto che quella poi è la sensazione finale.
Quando si rilassa secondo voi un musicista e si mette l’anima in pace rispetto all’album che ha fatto?
Gli altri non sappiamo, in realtà per come viviamo noi la cosa è come se fosse divisa a pezzetti. Ogni disco è una parte di un qualcosa che non sono riuscito a dire prima e che cerco di completare e a sua volta ci aiuta a cercare di capire.
Fa sicuramente da stimolo al processo creativo, torniamo a quell’ossessione per la ricerca della formula per la canzone perfetta…
Qui mi sento di chiarire una cosa: non vorrei che il nostro essere ossessivi passasse come l’idea di cercare il pezzo perfetto per un discorso di fama o in attesa del responso del pubblico. Una volta era così, quando eravamo M+A era così; ora a prescindere non crediamo che esista la canzone perfetta. Per noi questa, invece, è sopravvivenza. È come quello che prova a mettere in ordine qualcosa quando sa che tutta la sua vita è totalmente disordinata.
È un disco con un forte respiro internazionale, che forse appunto verrà recepito più all’estero che in Italia. Secondo voi cosa manca a questo genere di musica per finire nelle radio italiane?
Mi piace questa domanda perché di solito ce la rivolgono al contrario, ci chiedono cosa manchi al territorio per capire questa musica. C’è un po’ questa ossessione per cui le canzoni devono per forza andare in radio o devono per forza piacere a settecentomila persone; non pensiamo sia di reale importanza questo, nel senso che se riescono a vivere e ad avere un pubblico si tratta comunque di entità viventi. Crediamo che il processo di attenzione alla soluzione e al dettaglio artistico debba sempre ricordarsi dell’aspetto empatico e comunicativo che, paradossalmente, alcuni pezzi radio hanno molto e in forma molto diretta.
Come porterete in tour un disco fatto di così tanti featuring?
All’inizio eravamo abbastanza spaventati da questa cosa, perché non avevamo chiaramente pensato ad un aspetto live. Adesso è solo un altro stimolo a fare bene a nostra musica. I featuring partiranno con la strumentale e ci canteremo sopra con altre cose, facendo ancora più performance. Rispetto ad M+A sarà molto meno “boom boom baracca”.
Anche perché c’è tutto un discorso legato all’estetica molto presente nei Santii…
Non ci abbiamo pensato tanto sai? In realtà secondo noi l’idea più giusta è quella di avere un live proporzionato alla posizione occupata nel mercato, non ci è richiesto di fare il live di Madonna (ride NdI).
Viene fuori da questa intervista una forte umiltà. Partendo da questa umiltà, cosa vi è consentito sognare?
Sai che più che umiltà credo sia realismo? Bisogna ricordare che per fare bene questo lavoro, non a livello di marketing, crediamo sia necessario pensare molto meno: se pensi davvero in profondità a quello che stai facendo, non penserai altro se non che sia tutto sbagliato. È un progetto talmente aperto, il nostro, che davvero potrebbe capitare qualsiasi cosa.
(foto di Mattia Guolo)