Sasha Carassi è un veterano della techno italiana-partenopea, proprietario della Globox e della Phobiq Records, nonché producer assai prolifico e detentore delle migliori piste da ballo del genere. Si è fatto strada a mozzichi in questo mondo così difficile e ormai screditato. Si è guadagnato il posto tra le migliori line-up, facendo parte dei migliori festival insieme ai migliori djs. Nonostante la sua schiettezza e genuinità, alla consolle non è così “tenero” come può sembrare, non ha peli sulla lingua e paura di nessuno, fiero di quello che è stato ed è diventato!
Cos’è che ha fatto scattare veramente la scintilla tra te e la musica? Quand’è che hai sentito il bisogno di fare parte di questo mondo?
Salve ragazzi, innanzitutto è un piacere chiacchierare un po’ con voi, vi seguo sempre! Beh, credo che non esista una vera e propria scintilla tra l’uomo e la musica, è un regalo che riceviamo appena nati e che per ognuno di noi si trasforma nella colonna sonora della propria vita. Sette note che riescono a creare tanti stati d’animo diversi: la musica può gasare, commuovere, divertire, ballare, dormire e guarire. Non finirà mai di stupirmi! Ho sentito il bisogno di far parte di questo mondo quando ho realizzato che era la prima cosa alla quale pensavo al mattino appena sveglio e l’ultima alla sera prima di dormire.
Ma è vero che hai sacrificato la tua paghetta per acquistare vinili e attrezzature da dj a soli 14 anni?
Verissimo! Purtroppo i miei genitori non tolleravano il fatto che io dedicassi le mie giornate alla musica e non allo studio, non era concepibile per la mia famiglia che avessi le idee chiare sul mio futuro e un sogno nel cassetto che non fosse una laurea in ingegneria e quindi ero penalizzato. Non potevo contare su di loro e mi è toccato fare tutto da solo! Con la canonica paghetta che un 14enne poteva avere cercavo di ottenere qualsiasi cosa mi servisse che fosse un vinile, una cuffia, un giradischi usato, mercanteggiando, barattando, scommettendo e altro…
La scena napoletana è sempre stata culla di grandi artisti, di qualsiasi stile; si organizzano eventi che di quel genere e organizzazione non se ne propongono dalle altre parti dello Stivale. Penso sia un grande orgoglio far parte di questa dimensione. Quanto devi a questa città?
Si è vero, Napoli è una fucina d’arte. Eventi e one nights di gusto devo dire, ma anche molta “mafia” e compromessi e non so se a causa del mio carattere riservato e poco calcolatore non ho mai fatto parte nè dell’una né dell’altro. Se poi non c’è nessuno che ti prende in simpatia, che ti fa conoscere un po’ di gente giusta e chi investe su di te è davvero difficile, ma non impossibile; semplicemente ci metti più tempo ma puoi dire di aver fatto tutto da solo! Sono riuscito a calcare un palco qui a Napoli solo quando ho deciso di produrre un party da me. Questo step sarebbe anche potuto accadere prima, ma il compromesso era quello di vendere i tickets ed attaccare le locandine delle feste per strada per anni, leccare un po’ qui e un po’ lì ed invece io volevo solo fare il dj. La cosa certa e positiva è che sicuramente il pubblico napoletano è il più caloroso e critico che ci sia al mondo e sono davvero soddisfatto del rapporto che oggi ho con loro e dell’affetto che finora mi hanno dimostrato. Attualmente in Italia io e mia moglie Rosa collaboriamo con il leggendario gruppo partenopeo Angels Of Love che mi sta dando grandi soddisfazioni e spero glie ne stia dando anch’io allo stesso modo. Con Enzino, il leader del gruppo, ho stabilito un legame forte che va al di là del lavoro e sento che questa cosa ha aumentato la sinergia tra me e la voglia di fare sempre meglio.
Parlaci un po’ di Phobiq e Globox, della loro nascita, dei concept che vuoi trasferire tramite esse. Le due facce della medaglia.
Globox mi ha portato al primo approccio con la discografia intesa come business e mi ha dato grosse soddisfazioni. Ai tempi era un po’ uno dei manifesti della, fortunatamente, defunta minimal. Ora Globox e’ ancora una etichetta di tutto rispetto. Phobiq invece è realmente ciò che sono: è lo specchio di quello che è il mio gusto musicale, è tutto ciò che anche io suonerei e ne sono troppo affezionato. E’ nata in un periodo topico della mia vita ed e’ stata terapeutica per me.
Una cosa che noto nei set degli altri performer è che non tutti seguono una “linea guida”. Mi spiego meglio: se inizi con la dark techno, non si può finire con un ritmo più delicato, diciamo. Bisogna sempre seguire il filo da dove si è partiti. Tu come ti comporti?
Io non la penso proprio così. Tendiamo ad identificare il dj in un genere musicale ben preciso ma non dimentichiamo che la musica è uno stato d’animo, un’emozione, una lettura molto personale della pista. La musica non ha regole, è un linguaggio capace di interpretazioni infinite e seguire a tutti i costi una linea guida mi pare un po’ una forzatura. Di certo bisognerebbe avere un certo gusto e una certa maestria nel guidare il pubblico nel proprio viaggio personale e l’elemento che fa la differenza è il carisma che non hanno tutti e invece tutti sanno mettere 2 dischi in battuta bene o male, poi oggi con il sync… Figuriamoci! Il mio set è sempre un punto interrogativo fino a quando non salgo in stage ed inizio ad emozionarmi, a percepire l’energia della pista, il mood, l’atmosfera che respiro. So che potrei essere frainteso e criticato, ma ti dico ciò che sento. Solo colui che ha speso la propria vita arricchendosi di musica a 360 gradi e lo fa tutt’ora e che prima di presenziare la console e ha vissuto davvero la pista provando quelle che a Napoli si chiamano “capate” con gli amici può fare la differenza e azzardare anche con la poliedricità.
Qual è il set-up che preferisci in consolle?
3 cdj Pioneer 2000, Allen & Heat Xone 92, poi uso un delay esterno ed ovviamente Traktor!
Qual è quel disco che porti sempre con te?
Loco Dice “Seeing Through Shadows”. Ogni volta che la suono ho i brividi.
La techno ha ottenuto tanto e ha perso troppo in questi ultimi anni. Secondo la mia ipotesi ci sono varie persone, organizzazioni, etichette e altri che stanno rovinando il mondo della musica (sì, è proprio un mondo a sé). Ho visto però molti esperti nel business e nel far girare soldi! Non ti sembra così strano che nonostante questo genere sia vastissimo e dentro di esso ci siano così tanti sottogeneri, sembra tutto così uguale e anche troppo semplice?
Concordo con la tua ipotesi. Oggi c’è una facilità nel dire e fare che è assurda. Tutti possono aprire una label per la felicità di Beatport ad ogni trimestre, tutti fanno i produttori… ma di musica? Tutti fanno gli organizzatori senza la cultura del club e qui starei a parlarne delle ore. E’ un po’ di tempo che mi chiudo in studio senza l’ispirazione giusta, troppe cose non vanno a vantaggio di un progetto serio e onestamente quello che ormai butto giù con Ableton e che sto apprezzando e suonando assomiglia sempre più ad una tech-house sicuramente più grintosa e onestamente ne sono contento. Non mi piacciono i club di soli uomini, non mi piacciono quelle originals che sanno di bootleg, quei remix dei remix dei stra-remix che sento in giro, copie senza fantasia, non mi piacciono più quei club scuri e senza aria di festa.
Continuando il discorso, pensi che ci sia così tanto sovraccarico di “artisti” perché è molto più facile fare soldi con la techno e produrla piuttosto che con altri generi o perché…? Non mi viene un’altra ipotesi. Capisco che ci possa essere una passione, ma come si spiega allora tutta questa torma di djs?
Credo che con l’avvento della tecnologia sia diventato tutto alla portata di tutti. Stando poi spesso per strada, ascolto i discorsi che fanno molti ragazzi e mi rendo conto che viviamo in un’ignoranza dilagante. Molti giovani hanno idolizzato e frainteso il lavoro del dj, all’oscuro di tutto quel lavoro che c’è dietro, credono che sia il modo più semplice di godersi la vita guadagnando tanti soldi, tante fighe e essere qualcuno. Forse c’è troppa presunzione e poca cultura? Forse c’è chi glie lo fa credere? Un ringraziamento va anche ai portali di musica.
Pensi che l’Italia abbia ancora qualche chance di riprendersi e di ritornare un po’ verso l’underground o ormai è tutto perduto?
Sono molto pessimista a tal proposito. L’Italia è commerciale e di underground non ha proprio più nulla. C’è chi dice di essere fiero di essere italiano ma poi va a vivere all’estero chissà perché. Questa è una contraddizione, questa è ipocrisia, questi sono gli italiani. A me invece va troppo stretta e lo dico da sempre!
Lasciaci un’ultima ‘chicca’ prima di salutarci!
Spero di non avervi annoiato e di essermi fatto conoscere per ciò che sono. Vorrei dire grazie a tutti coloro che mi hanno da sempre sostenuto e che hanno creduto in me incondizionatamente, e quelli che stanno credendo in me e che se non ci fossero noi dj non saremmo proprio nessuno! Respekt!