Non dev’essere mica facile, essere Sasha.
Non dev’esserlo stato allora, negli anni a cavallo del millennio, quando la stampa di settore ti piazzava in copertina con la scritta a caratteri cubitali “The son of God”, quando di fatto sei diventato, intenzionalmente o no, il primo dei superstar djs, il primo a causare manifestazioni di isteria collettiva all’epoca mai viste per uno che metteva i dischi. Non lo è probabilmente nemmeno adesso, quando il concetto di “superstar dj” è esploso in maniera totalmente fuori controllo e tu hai alle spalle una trentina buona di anni di carriera durante i quali hai visto molti dei tuoi partner in crime sparire o diventare irrilevanti, molti ragazzini che potrebbero quasi essere tuoi figli assumere atteggiamenti da divi peggio dei tuoi e, soprattutto, quando hai visto una quantità spropositata di mode, alcune delle quali inventate da te, arrivare e andarsene una dopo l’altra.
Riesco a immaginare un solo modo possibile per riuscire a resistere alla pressione enorme che “essere Sasha” credo comporti, ed è avere un talento musicale sconfinato, che ti permetta di ribadire ogni volta che lo desideri che sì, ok, gli atteggiamenti da divo, il caratteraccio, le tue richieste folli, la storia di “The son of God” forse sono esagerazioni, ma hanno un fondo di verità, ed è che quando ti ci metti non ce n’è per nessuno. Mi è capitato di vedere Sasha in giornata “no” ed è un dj come tanti altri, forse solo più svogliato e più antipatico, con quel fare distaccatissimo, quasi annoiato dall’entusiasmo del pubblico che va in visibilio solo vedendolo e con la schiera di assistenti che gli fa quasi tutto, dalla preparazione della console alla rimozione dei bicchieri incautamente appoggiati troppo vicini al mixer; quando però, sempre più raramente purtroppo, decide che ci si mette, è in grado come forse nessun altro al mondo di incarnare la figura del dj come sciamano delle anime, di prendere in mano le emozioni di un’intera platea e portarle dove gli pare e piace con una naturalezza senza pari.
“Involv3r” è solo (si fa per dire) l’ennesima manifestazione di superiorità di Sasha in giornata di grazia.
Annunciato, cancellato, rimandato varie volte come lo status di “superstar dj dei superstar dj” impone, finalmente ce l’abbiamo e il risultato è sopra le aspettative più rosee: da un mixcd composto interamente di remix confezionati per l’occasione da Sasha in persona è lecito aspettarsi meraviglie, ma qui il buon Alexander ha davvero deciso di mostrare i muscoli. Sembra quasi una risposta piccata alla riscoperta della melodia operata da molti produttori saliti alla ribalta nell’ultimo paio d’anni, il messaggio che si legge tra le righe è “caro Jamie XX, cari Little Dragon, cari giovani d’oggi, avete fatto cose carine, ma ora vi mostro io come si fa davvero, come si costringono gli ascoltatori ai lacrimoni, alle mani al cielo e all’estasi suprema come si faceva ai miei tempi”, e il tocco del grande maestro sta lì.
Non nell’aver confezionato il solito mixcd perfetto, coi passaggi tra un disco e l’altro sulle armoniche vero marchio di fabbrica di Sasha (che ricordiamolo, è stato il primissimo a rendere sistematica l’attenzione alla tonalità dei dischi in fase di mixing), ma nell’aver preso tracce di oggi e averle trasformate in dischi fuori dal tempo, che potrebbero essere usciti nel 1999 come oggi e non farebbe nessuna differenza, perchè lo stile di Sasha e la sua bravura nel costruire le tracce e i set sono qualcosa di completamente avulso dalle logiche della moda del momento. Il suono del momento può essere la progressive trance di allora o quello che c’è adesso (in qualunque modo si chiami), ma una progressione come quella di “Moment before dreaming”, studiata alla perfezione nel dare e nel togliere quello che ci si aspetta, è in grado di emozionare l’ascoltatore praticamente in qualunque momento, in qualunque contesto: puoi incastrarlo in mezzo a un set techno incattivito o in mezzo a della soulful house, in un open air o in un piccolo club buio, ma l’effetto “lacrimoni e mani al cielo” è garantito e inevitabile, e non è affatto da tutti riuscirci.
Come se non bastasse, poi, Sasha rifila uno schiaffo morale anche ai tanti produttori che recentemente cercano di costruire vere e proprie canzoni anzichè tool da pista, con una “beatless version” di quasi tutti i remix e un intero mixato completamente “beatless” che dice, fondamentalmente, che un grande musicista non ha bisogno della classica struttura buildup-pausa-ripartenza ma è in grado di costruire qualcosa di splendido e, a tratti, di molto più danzabile di tanti tool che affollano il mercato, anche senza la cassa in quattro.
Non dev’essere facile essere Sasha, immagino, ma è vero anche che quando sei Sasha puoi permetterti di complicarti la vita in mille modi diversi giusto perchè si può anzichè poltrire sul tuo status di “son of God” e di uscirne comunque più che brillantemente, alla faccia di tutti i giovani con pretese da superstar.