Sauro Cosimetti è un dj vecchio stile, tanta sostanza e poca apparenza. Non aspettatevi un “bullo” da social network o il dj “modello”. Sauro è sano e genuino, un disc jockey vero, di quelli che i dischi li hanno sempre messi e non hanno mai prodotto, rimanendo comunque leggende viventi.
Nella storia della club culture il 1998 è un anno cruciale: apre il Red Zone di Perugia. Senza dubbio la realtà di provincia più longeva che è riuscita a mantenere la propria identità nel tempo. Ormai sono più di venti anni che il Red Zone è la tua casa, raccontaci il tuo rapporto con quel club e quanto credi che l’identità del club dipenda anche dalle tue scelte musicali.
Il Red Zone ha aperto nel 1989, prima si chiamava Palladium ed era una discoteca di musica commerciale. E’ grazie ad un genio inglese di nome Keith ed un paio di dj (Des Mitchell, e Bunny suo fratello) se uno spazio così grande ed anonimo è diventato quello che oggi tutti conoscono come uno dei locali più importanti della storia italiana della house. Ho lavorato al Red Zone per 21 anni (fino al 2010 come resident). Il Red Zone ed io siamo cresciuti assieme, era più di un lavoro, era la mia casa, il posto dove mi sono divertito con gli amici ed i colleghi (Ricky L, Hi Tech Robotz) dove ho avuto l’opportunità di collaborare con i più grandi dj internazionali di fatto ed emergenti. Non è stato sempre facile ma di certo non cambierei nulla di quella esperienza. Mi piace pensare che le mie scelte musicali abbiano dato una connotazione unica al contenitore.
Tempo fa mi sono imbattuto in una serata del Red Zone in cui vi esibivate te e Flavio Vecchi, con Frankie Hi-Nrg nel ruolo di vocalist. Avendo l’opportunità di intervistare Flavio Vecchi gli chiesi se vedeva quell’esperimento come una forma di contaminazione di due mondi underground possibile oggi. Tu che nel ’93 allo storico Norman di Perugia hai proposto una serata con sonorità soul e hip-hop cosa ne pensi, oggi sarebbe possibile far convivere questi due mondi che hanno radici così simili?
Flavio e Frankie sono due amici carissimi e che stimo moltissimo. La musica si evolve sopratutto grazie alle contaminazioni di genere, un tempo i generi musicali erano, a mio parere, meglio distinte. Oggi quando si parla di house come genere musicale ci puoi infilare davvero di tutto. Un esempio concreto sebbene contestatissimo è la partecipazione di Ralf alla serata meglio riuscita di Umbria Jazz.
Chi ti segue e conosce la tua arte, sa che il tuo nome è associabile senza dubbio alla house music, genere musicale che ha mille sfaccettature. Quale sotto genere della house music ti ha fatto appassionare,quale consideri il migliore per domare una pista? Quale genere, in generale, invece non gradisci?
Al momento mi sto riappassionando alla vecchia techno Detroit, ho avuto il piacere di risuonare con Frankie Valentine qualche giorno fa a Perugia e ho molto apprezzato quel sound. In genere ascolto tutta la musica, senza limiti ma non amo la musica commerciale di oggi (Guetta, Aoki ecc).
Un tempo raggiungere la fama e la stima del pubblico e degli addetti ai lavori bisognava essere un bravo dj. Oggi sembra che produrre sia più importante, te che sei della “vecchia scuola” cosa ne pensi?
Penso che lo sia per le nuove leve e per chi ha bisogno di farsi conoscere per lavorare all’estero. Ai miei tempi o eri un dj o un produttore, io sono nato dj e penso di non essere capace dunque di essere un buon produttore. Mi è stato proposto molte volte ma al momento quello che ho sentito non mi è piaciuto abbastanza.
Chi ti conosce ci ha detto che sei un feticista del vinile, ne hai una collezione infinita e li custodisci con cura. Ricordi quale è stato il tuo primo e ultimo disco acquistato e perché? Cosa ti trasmette il vinile? Hai pensato di aprire una label per poter dar spazio a ciò che ti piace di più?
Si ci tengo moltissimo, non ricordo quale è stato il mio primo disco e ultimamente mi trovo a ricomprare doppioni “mint” di vinili che non trovo ma che ho accatastato da qualche parte, da questo puoi capire che non li custodisco come dovrei o ne ho troppi. Continuo comunque a comprare vinili con regolarità. E’ difficile esprimere ciò che mi trasmette il vinile perché gli impianti di oggi sono settati per la musica “liquida” o digitale. Il suono del vinile è “sporco” ed imperfetto un po’ come me. Io ci sono cresciuto e probabilmente ci sono più affezionato rispetto al digitale che comunque uso largamente. Non credo che avrò mai una mia label e poi infondo ce ne sono già così tante in giro.
Negli anni hai girato l’Italia (e non solo) e hai avuto la fortuna di poter suonare in ogni dove: club piccoli, big room, provincia e grandi città. Dove hai trovato un pubblico a tuo parere preparato e attento alla selezione musicale e alla tecnica del dj?
Beh ovviamente al Red Zone ma anche al Sud sono dei grandi cultori della musica house, nord Europa.
Da circa 10 anni la figura del dj è cambiata. Prima era una figura ai margini del club (e forse anche della società), un non-mestiere… oggi le star mondiali fatturano come una multinazionale e basano molto del loro successo sull’immagine. Come vedi questo mestiere nel futuro? La forma ha realmente acquisito un valore maggiore rispetto alla sostanza?
Domanda difficile, che lo si faccia per passione o per lavoro è una malattia che prendi e non va più via. Si è spesso cercato di inquadrare questa figura nel mondo del lavoro e auguro a chi ci sta seriamente provando di riuscirci per il bene di tutti. Vent’anni fa le star mondiali erano i dj americani che venivano a fare serate per ingaggi stellari e che a casa si sognavano soltanto. Non so bene come evolverà il futuro per i dj e nemmeno mi impressionano eccessivamente questi personaggi del momento. Quello che mi preoccupa è la memoria della buona musica che pare annacquarsi, confusa nel bombardamento mediatico musicale mondiale. Francamente mi piacerebbe vedere un po’ meno esterofilia ed un po’ più di nomi italiani che lavorano, non abbiamo nulla meno degli stranieri, anzi.
A volte vedendo alcuni dj suonare, mi sembrano svogliati e poco appassionati, quasi suonassero con la stessa voglia di lavorare di un bancario allo sportello. Secondo te ci si può stufare di questo mestiere? Quale è stato il momento che ti ha fatto esclamare “cazzo io questo mestiere lo amo!”?
Ci si può logorare per molteplici cause come locali non idonei, impianti mal funzionanti, poca gente, organizzazione non preparata ecc. io amo il mio lavoro perché già dalla quarta elementare sapevo che avrei fatto il dj e francamente non so fare altro quindi… ma mentirei se ti dicessi che alle volte non ti stufi e non sempre puoi essere alla massima forma, ci si invecchia e ci si stanca. Siamo essere umani dopotutto. Io ad esempio sono una persona molto schiva e quando suono non trasmetto mai nulla “fisicamente” non è che mi vedrai mai ballare o incitare la pista a braccia tese (anche se apprezzo chi lo fa) preferisco trasmettere le mie emozioni attraverso le casse e anch’io ho avuto le mie serate mediocri da un punto di vista qualitativo.
Cosa fa Sauro nella vita di tutti i giorni, quale sono i tuoi hobby? Ma soprattutto quale musica ascolti per rilassarti?
In passato frequentavo molto gli eventi nei locali e vivevo di notte, adesso mi sono ritirato per scelta ad una vita più regolare (anche perché sennò mia moglie mi ammazza) ed essendo una cosa nuova la apprezzo parecchio. Ho sempre con me la musica su iPhone o iPod che io sia al bar o in casa e spazio da Domenico Modugno agli AC/DC da Vinicio De Moraes a Fela Kuti. Non ho mai preferenze specifiche, vado a orecchio.