Negli ultimi tempi non è difficile imbattersi nella sua faccia apparentemente assorta in mille e più pensieri, basti guardare la cover della compilation della serie Dj Kicks che porta la sua firma, o anche la top cento stilata da RA per i migliori dj del 2011. In venticinquesima posizione ve lo ritrovare in primo piano con lo sguardo volto, ovviamente, altrove. Venticinquesima posizione? Sicuramente sarà un nome di grande impatto per stare in una posizione così alta, tenendo conto del fatto che quest classifiche sono in un certo senso “monopolizzate”, uno di quelli che fa più show che musica. Purtroppo per voi siete fuoristrada, il nome, e la faccia, tirata in ballo è quella di Paul Rose aka Scuba. Devo ammettere che fa un certo effetto vederlo lì, a districarsi in mezzo ai leoni del clubbing mondiale, fra Dubfire e Dyed Soundorom, attaccato a nomi come Chris Liebing, Magda e tanti altri… Astraendo questo risultato in termini di gusti musicali potremmo dire che la domanda non è più così standardizzata, in termini prettamente musicali direi, invece, che ci si è stufati di sonorità scontate.
Tornando alla faccia, sicuramente più concreta dei ragionamenti, di Rose c’è da soffermarsi su un paio di cose. In particolare, la prima è che, oltre ad essere un gran produttore, è a capo della Hotflush Records, label di cui parecchi si ricorderanno per le uscite di Mount Kimbie, Joy Orbison, Sepalcure ed altri geniacci della dubstep; la seconda riguarda proprio la sua musica, in particolar modo l’evoluzione e la maturazione dell’artista Scuba. “Personality” è il suo terzo album, successivo a “Triangulation”, in cui le sonorità fluide e le atmosfere industriali fanno spazio ad un sound più concreto; le melodie assumono un ruolo chiave, i beat meno evanescenti e, l’uso di voci diviene più significativo rispetto al penultimo lavoro. Tutto nel segno di una dubstep mista a tech-house intelligente, che caratterizza quest’ultimo stadio evolutivo dell’artista inglese.
Questo disco ci offre undici tracce, undici storie a sé e una varietà di emozioni che è difficile anche descrivere, ma per quanto intima sia la musica, proverò a dire due parole su alcuni brani di quest’album. “Ignition Key”, traccia d’apertura, incarna la fusione fra suoni e atmosfere dub (vedi l’intro di un minuto circa), per poi svoltare verso sonorità da club, tipicamente dance/house. C’è di meglio, ma innegabile è la funzione di questa traccia, ovvero, raggiungere un pubblico quanto più vasto, e vario, possibile. “Underbelly”, è l’esempio di una più che buona techno che volge sul finale a sonorità astratte e melodiche. “Hope”, invece, rappresenta la nostalgia: acid anni ’90, alla maniera del primo Josh Wink, e big beat… synth coi controcazzi e cassa pompata al limite.
Per “Dsy Chn” bisognerebbe scrivere un paragrafo a sé, è in assoluto la mia traccia preferita in questo LP. Metti insieme lead-synth magico, uno string profondo, una ritmica leggera e un buon vocale (nemmeno troppo impegnativo) e sentirai il piacere diffondersi in tutte le ramificazioni del cervello. Quando parlavo di melodie mi riferivo, in parte, anche a “Tulips” la cui struttura valorizza al massimo gli eleganti synth spensierati. Soave e leggera ci introduce verso giornate più temperate, nelle quali riappare un timido Sole primaverile, con la gioia in corpo.
A questo punto pare abbastanza evidente il concetto che c’è dietro la concezione di quest’album, e per quanto possa sembrare poco nobile e votato alla ricerca del facile successo, il fatto che “Personality” riesca ad accontentare i fanatici dell’underground, i clubber che ballerebbero con solo una cassa in quattro e gli “ascoltatori domestici”, lo rende un album incredibilmente ben strutturato e di piacevole consumo. Adesso puoi anche sorridere, Paul.