In Germania, si sa, sono molto pratici. E lo sono anche nel campo del clubbing. Certo, sono aiutati da una legislazione molto più logica e di buon senso rispetto a quella italiana (lo ripeteremo all’infinito: fosse stato per le leggi italiane, posti come il Berghain non sarebbero mai nati), ma questo buon senso fa vedere i suoi frutti. Nella sola Berlino, secondo le ricerche della Clubcommission Berlin, in un anno ci sono state qualcosa come tre milioni di presenze per un turismo legato in qualche maniera al clubbing, generando un indotto complessivo di 1,5 miliardi di euro.
Ma non solo: si è parlato anche di indotto indiretto. Ovvero di come Berlino sia diventata una meta ambita e desiderabile per un certo tipo di figura sociale ad alto capitale intellettuale (rendendo la città tedesca la nuova Mecca per le start up), e se questo è successo è anche – e soprattutto? – grazie allo stile di vita e all’aura emanata dalla club culture locale. Tutte queste argomentazioni sono state portate davanti ad una commissione parlamentare del Bundestag tedesco. Infatti, da tempo sono state presentate delle istanze – appoggiate con alcuni atti parlamentari anche dai Verdi, dalla sinistra-sinistra di Die Linke, dai liberali della FDP, quindi con un appoggio politico potenzialmente ad ampio raggio – che mirano ad ottenere per i club lo status di “luogo di valore culturale”, esattamente come i teatri d’opera.
Il problema infatti è che, nel fenomeno della gentrificazione, i club giocano un ruolo abbastanza paradossale: prima fanno da attrattori, dando quindi il via alle dinamiche da gentrificazione, poi diventano le principali vittime, con interi quartieri e zone riqualificate che diventano una terra minata dal punto di vista degli affitti, rendendo l’attività dei club non più sostenibile. Non più sostenibile magari anche per le lamentele dei nuovi vicini, dei nuovi inquilini: che, essendo per l’appunto “nuovi”, molto facilmente si sono trasferiti in determinate zone perché percepite come più “chic”, più desiderabili. Una situazione veramente bizzarra.
Negli ultimi dieci anni, a Berlino hanno chiuso più o meno un centinaio di club: una cifra impressionante. Altri venticinque sono, al momento, a rischio chiusura (alcuni famosissimi, come ad esempio il Griessmühle, come vi raccontavamo). Se davvero i club e la club culture sono un patrimonio di Berlino – e tutti gli indicatori concorrono a dire che lo sono – è arrivato il momento di intervenire, ponendo sotto tutela questo ecosistema, esattamente come già fatto per teatri, opere liriche, eccetera. Nella legislazione attuale, i club hanno lo stesso tipo di inquadramento che possono avere i bordelli o i videopoker; difficile sostenere che abbiano lo stesso tipo di valore sociale e anche di potenzialità come volano economico e culturale. E’ ora di intervenire.
Parallelismi con Italia? Qua si potrebbe aprire un capitolo piuttosto lungo. E’ recentissima la notizia di come la giunta della Regione Sicilia abbia stanziato ben 1,2 milioni di euro per sostenere eventi musicali (bene), ma questi finiranno interamente a due festival neonati (male), lasciando a bocca asciutta – tanto per fare un esempio – una perla dal riconosciuto valore internazionale come Ypsigrock. E’ solo l’ultimo caso delle migliaia, milioni di situazioni in cui arbitrariamente viene privilegiata la lirica, soprattutto, e in minima parte il jazz, e di come non ci sia la minima capacità di comprendere, individuare e sostenere una cultura quando essa viene vista come “giovanile” (…che poi, ormai al Sónar e in altri posti ci vanno pure i cinquantenni, a breve inizierà a succedere regolarmente anche negli eventi di casa nostra). Qualcosa ogni tanto si muove (Torino, Puglia), ma siamo ancora ai casi isolati – criticati tra l’altro con grande miopia economica prima ancora che sociale da chi ha posizioni conservatrici destra o sinistra che sia – e non invece alla scelta di sistema, che sarebbe ora di cominciare a sperimentare. Non (solo) perché è giusto, ma perché conviene.
Intanto, vediamo cosa succederà in Germania.