In un evento inedito di questo genere, gli scorsi venerdì 7 e sabato 8 febbraio la Filarmonica di Berlino ha aperto le porte per la primissima volta alla musica elettronica con Strom, festival di musica e arti multimediali. Curato da Stefan Goldmann e diviso in 3 diversi ambienti – la sala principale della Philharmonie per l’ascolto e i set audiovisivi, il foyer per i dj set “da ballare” e una sala con una installazione di Robert Henke – il festival da un lato annuncia ufficialmente di “portare artisti visionari il cui lavoro è basato sulla ripetitiva musica elettronica ma va ben oltre la struttura musicale del club, fino alla singolare cornice spaziale della Philharmonie”, e dall’altro intende avvicinare un pubblico più giovane all’istituzione, ottenendo però forse alla resa dei conti l’effetto opposto, agendo cioè su quella parte del pubblico più agée capitata lì un po’ per caso, un po’ perché “…abbiamo l’abbonamento e allora andiamo a vedere” e finita per ballare scatenata sotto cassa a un dj set techno.
La curiosa combinazione di elettronica, cultori dell’elettronica, Philharmonie e cultori della Philharmonie ha sicuramente conferito un’aria un po’ rigida alla prima parte del venerdì, dove era evidente che nessuno dei convenuti sapesse bene cosa fare, dove andare e come comportarsi. Il tutto aiutato dal fatto che, se si arrivava a concerto nella sala grande iniziato, nel foyer non restava più nessuno e chi arrivava in ritardo aveva la sensazione di essere capitato in un teatro vuoto. Le maschere, impassibili, facevano entrare solo nel corretto settore del posto assegnato, rendendo l’ingresso al già confuso avventore una caccia al tesoro tra porte sbarrate per trovare il set di Stefan Goldmann, lo stesso curatore summenzionato.
Il tutto è durato comunque poco: mentre la musica rilassava gli animi e l’alcool scioglieva le spine dorsali, pure le maschere a un certo punto hanno gettato la spugna aprendo porte a caso all’andirivieni di gente che godeva ora di un set techno di Voiski nel foyer (e come se lo godeva, soprattuto le sessantenni scatenate a fronte console…) e ora di un buon dj set di Kruder&Dorfmeister nella Großer Saal, certo non indimenticabili ma ineccepibili come sempre nel fare il loro, set terminato tra l’entusiasmo generale del pubblico che aveva abbandonato i seggiolini per ballare sulle scalinate. A chiudere la prima serata un KiNK scatenatissimo – come sempre – che con il suo live e i suoi adorabili giocattoli interattivi ha messo a ferro e fuoco un foyer ormai abitato solo da technoheads, vista l’ora tarda.
(KiNK; continua sotto)
Il mood della seconda serata è stato senza dubbio più rilassato: ormai tutti sapevano che cosa aspettarsi, molti dei curiosi&occasionali si erano accontentati della serata precedente lasciando spazio agli appassionati. Se un Christian Vogel deludente ha portato un set interattivo tra musica ambient che era più un sottofondo per una performance che si svolgeva parte in pellicola e parte dal vivo sul palco (esibizione che ha lasciato i più molto dubbiosi sul significato di quanto avevano assistito), nel foyer un’ottima Deena Abdelwahed ha dato un tocco tunisino e arabeggiante ma senza esagerare grazie alla sua techno di gran gusto.
(Deena Abdelwahed; continua sotto)
Di nuovo dentro alla Großer Saal per Ryoji Ikeda poi, Ikeda che non occorre nemmeno commentare, grande e perfetto come sempre: un viaggio extrasensoriale in una dimensione a cui si accede solo grazie agli impulsi elettronici sonori e visivi che il giapponese riesce ad elaborare al solito in maniera davvero unica. Arriviamo così alla fine: nel foyer chiude una Nina Kraviz in gran forma – ma quando mai quella non lo è? – che manda tutti a casa con un gran bel ricordo di questa due giorni un po’ assurda e un po’ distopica, ma comunque una grande prima prova di un connubio tra istituzionale e underground, connubio che speriamo si ripeta molto più spesso.
(Nina Kraviz; continua sotto)
La parte visiva è stata una componente primaria del festival; e se nella Großer Saal ognuno degli artisti ha portato la propria personale componente visiva allo spettacolo, i visual del foyer sono stati creati appositamente per Strom dal media artist italiano Marco C., già collaboratore di Pfandfinderei, chiamato opportunamente a curare la direzione artistica di questa parte del festival. “È stato molto interessante curare i visuals per un evento di musica elettronica inserito in un contesto così istituzionale e dentro l’incredibile architettura della Philharmonie. Strom si é spinto oltre i confini degli spazi dove si trova questa musica ed ha attratto un’audience differente rispetto a quella che si trova ai live di questi artisti. Sono molto contento di aver ricevuto commenti sul mio lavoro da persone con una sensibilità diversa rispetto a quella a cui sono abituato”, ci ha raccontato Marco, interrogato sulla sua personale esperienza a Strom.
Foto di Alejandra Garcìa Sanchez, fotografa spagnola di base a Berlino