La discussione è spinosa, complessa, talora caotica, e dura ormai da anni: quella che, diciamo, ruota attorno alle “quota rosa” ed alla gender equality, anche se la questione in sé sarebbe molto più vasta. In sintesi: è giusto che vengano fatte delle “politiche attive” per portare più donne nelle line up e nelle playlist, nei credits e nell’elenco di chi conta nell’industria? E per “politiche attive” intendiamo: favorirle. Prevedendo magari delle quote fisse. O degli incentivi, rispetto ai colleghi/competitor maschi. Quella cosa lì. E’ una domanda molto meno semplice di quello che si potrebbe pensare: per qualcuno potrebbe essere semplice dire “Sì, è giusto”, dimenticando che in questa si mette in atto un processo di discriminazione; per qualcuno potrebbe essere semplice affermare “No, è una discriminazione”, dimenticando che numeri alla mano le donne in Italia anche nel mondo della musica (oltre che in quello a trecentosessanta gradi dell’imprendotoria) sono sottorappresentate e sottopagate, e non c’è nessuna giustificazione pratica o peggio ancora biologica che possa giustificare tutto ciò.
Noi vorremmo per un attimo spostare l’obiettivo. Almeno in parte. Spostarlo un poco: per far capire quanto bene farebbe alla musica italiana tutta se alle ragazze venisse dato più spazio e più potere, a partire dal palco. L’ispirazione per “mettere a terra” questo discorso ci è arrivata ieri, dalla primissima data live post-Sanremo di Ditonellapiaga, artista su cui già avevamo messo i nostri radar in tempi non sospetti (…e, beh, non ne siamo per nulla pentiti, anzi). Un concerto notevolissimo. Dove lei ha dimostrato di saper “coprire” con carisma vero il palco, nonostante la giovane età e la limitata esperienza, e dove ha anche dimostrato di poterlo fare a modo suo, portando cioè avanti le sue caratteristiche più autentiche ed originarie e senza piegarsi a modelli pre-confezionati.
Ecco, proprio qui sta uno dei problemi. Succede già coi maschi – quanti maledetti dischi “piallati” sul suono del produttore à la page di turno e sul suono del momento, quanti – ma con le femmine è davvero una strage, nella discografia italiana, e forse non solo in quella. Sì: praticamente la stragrande maggioranza dei talenti che vengono fuori sono obbligati a “normalizzarsi”, a standardizzarsi, a seguire delle formule “rassicuranti” e collaudate. E’ come se in Italia si fosse spaventati, tranne rare eccezioni, dalla “donna forte”, in musica: quella cioè che si sa imporre, che è quella che decide, che vuole fare le cose al diamine di modo suo. Col risultato che talenti enormi come Giorgia, Malika Ayane o la Michielin – giusto per fare qualche nome – ad oggi non si è ancora capito bene che direzione musicale abbiano preso (…o detto meglio: “abbiano fatto loro prendere”). Ma facciamo il nome di loro tre quando invece gli esempi potrebbero essere decine.
Esiste in filigrana ancora questa visione molto maschilista (o tradizionalista, se preferite la versione edulcorata) per cui la donna è un’interprete, stop. Un’interprete che deve, metaforicamente e non solo, cambiare vestito a seconda delle canzone e del ruolo che le viene assegnato: perché in fondo è un ornamento, più che una personalità artistica. A qualche ragazza magari fa comodo, essere ornamento (nel campo del clubbing negli ultimi anni soprattutto: molte hanno arraffato ingaggi proprio partendo dal presupposto di essere prima di tutto ornamento, più che sostanza musicale. Non nascondiamolo. Ma non nascondiamo che molti maschi si spacciano per bravi quando invece hanno solo un management molto attivo, molto denaroso e molto cinico. A loro nessuno però dice un cazzo, di solito). Sarebbe però veramente ora di smetterla.
Già il fatto che che alla maggioranza delle ragazze che si avventurano nel pop (o nella dance) i testi siano scritti da altri, e questi altri siano nel 98% dei casi maschi, dovrebbe far riflettere. Nel suo piccolo, Ditonellapiaga trasuda invece personalità già dai testi: sono “suoi”, lo si vede, lo si sente, lo si avverte. Li “vive” e – di conseguenza – li comunica in una maniera diversa, sul palco. Più intensa, più interessante, più originale. Negli ultimi trent’anni (…trenta!) ci sono riuscite veramente in poche, ad essere così spiccate a livello di personalità, ad essere leader prima ancora che interpreti. Poche. Ad alti livelli ci viene in mente solo la Consoli, che ha sempre fatto come diavolo le pareva, e ha sempre dato l’impressione di essere lei a decidere su tutto (…o, alla peggio, di decidere quando era il caso di far decidere altri), anche a costo di autosabotarsi la carriera.
Ma lei arriva ancora da un periodo storico in cui, quando una donna saliva su palco, partiva facilmente il coretto “Faccela vede’, faccela tocca’” (visto e sentito coi nostri occhi, metà anni ’90, proprio con la Consoli, che ha zittito tutti in maniera strepitosa); ora, che dovremmo esserci un po’ più evoluti e meno trogloditi (o con più stigma sociale per i trogloditi), la situazione dovrebbe essere molto migliore. In parte, lo è. Ma l’impronta a predominanza maschile sulla musica continua ad essere pesante, pesantissima. La donna leader e con personalità è ancora vista come una stranezza, sì, una stranezza; la norma è invece la bella voce, la bella interpretazione, la classe, l’eleganza, la portata emotiva, nei casi più frizzantini la panterona assertiva, come se fosse chissà quale conquista.
Che due palle.
Abbiamo invece assolutamente bisogno di voci nuove&interessanti nel pop italiano, e per “voci” intendiamo visione e sensibilità artistica a trecentosessanta gradi. E le cose migliori, quelle più nuove e più saporite, potrebbero arrivare proprio dalle ragazze: che nel momento in cui diventano leader – pensiamo ad esempio anche ad Emma Nolde, o allo spazio da co-leader che ha Veronica Lucchesi ne La Rappresentante Di Lista – portano in modo “naturale” un tocco diverso, un’ironia diversa, un’incisività diversa, una visione estetica diversa. Non per forza migliore, ma diversa sì: e questo significa un liberarsi di inedite ed insolite energie e polifonie creative che ad oggi, nel musica business, sono state per decenni e decenni insabbiate, tutti quanti nascosti come si era simbolicamente dietro le sottane di Mina, un personaggio enorme sì, ma pur sempre una interprete, come percezione nell’immaginario. Ovvero l’eterno ghetto in cui una ragazza/donna deve stare nel pop italiano mainstream – e in realtà non solo in quello.
Ditonellapiaga è un talento enorme (…diceva probabilmente bene l’immortale Rettore, lei sì una felice “irregolare” nel music biz italiano, almeno in parte, ieri sul palco del Magnolia parlando di lei di fronte a un pubblico in delirio: “E’ nata una stella”). E il talento non ha sesso, è talento e basta. Ma il suo modo di sviluppare narrativamente i testi e di occupare fisicamente il palco e l’attenzione delle persone era femminile al 100%, pur essendo diverso da quello a cui siamo abituati a vedere. Questa “evoluzione del pop” poteva portarla avanti Levante (notevole, l’ultima volta che l’abbiamo vista dal vivo), ma ad un certo punto – in maniera sia chiaro lecita – pare essersi più preoccupata di essere un’influencer di successo che una musicista, pur essendo una brava musicista. Scelta che probabilmente l’ha aiutata a raggiungere meglio e con più solidità il benessere economico, e chi siamo noi per criticarla, ma ecco, è un po’ un peccato. Per il resto guardiamo Elodie, Gaia, Noemi, Joan Thiele, Emma Marrone, Alessandra Amoroso, Nina Zilli e vediamo, ciascuna a suo modo, soprattutto delle grandi occasioni perse: la personalità di tutte queste artiste viene infatti sistematicamente messa in secondo piano o infilata in cliché “per il loro bene”, “per farle funzionare meglio”, “per vincere nel pop”. Col risultato che sono tutte molto più omologate ed appiattite rispetto a quello che potrebbero essere, rispetto a quello che avrebbero da dire. Attenzione: non gliene facciamo una colpa diretta, no, perché la pressione del sistema dell’industria discografica pop è talmente forte che ribellarsi significa subito diventare una causa persa, un artista ingestibile e da non supportare più. Lettera scarlatta.
(già due anni fa, in tempi non sospetti, un’atipica; continua sotto)
Non stiamo chiedendo che la musica italiana diventi un gineceo, occhio. La stessa Ditonellapiaga si affida tanto e bene a un team di producer fatto di maschi (i bravissimi BBprod). Ma sul palco e nel progetto in sé la percezione da comunicare è che sì, è lei a dare la direzione, è lei il capo. Ed essendo raro che una ragazza più che ventenne dia così tanto e così esplicitamente la direzione e l’impressione di essere capo, il risultato è anche che salta fuori un tipo di pubblico nuovo, inedito, felicemente misto come segmentazione di mercato, comunque parecchio appassionato (…e con la classica mente moderna di chi non crea steccati fra mondi musicali: il bis al concerto milanese è stato chiesto col coretto “Se non metti l’ultima, noi non ce ne andiamo”, fino a solo pochi anni fa mischiare liturgie da concerto live e da dancefloor per dj sarebbe stato assurdo e sacrilego). Un pubblico molto bello. Per una proposta artistica che è effettivamente fresca, nuova.
Quello che abbiamo visto negli ultimi anni è come sia l’hip hop che l’indie da un lato abbiano conquistato il mainstream (evviva!) dall’altro però, appena l’hanno fatto, invece di mantenere orgogliosamente il loro alfabeto e il loro modus operandi hanno fatto di tutto per prendere subito la navigata astuzia da major vecchio stile (rapper coi ritornelli e coi featuring furbi, produttori del momento assoldati, banalizzazione paraculizzante dei testi: chi più ne ha più ne metta). Pochissime le eccezioni. E’ stata persa una occasione, si poteva fare molto di più. La carta indie al potere e hip hop al potere ce la siamo giocata, o comunque ce la siamo giocata così così. Il prossimo grande cambiamento che potrebbe accadere è il moltiplicarsi di leader donna, sia sul palco che anche nei team produttivi alle spalle dell’artista. Se accade, non sprechiamo pure questa occasione per rinnovare, più e meglio, la musica pop italiana. E in realtà, lo stesso dovrebbe accadere nell’elettronica, nel clubbing: dove negli interstizi tra “Bella ragazza che suona techno” e “La fidanzata di” ci sono millemila slot ancora disponibili, e potrebbero portare un clubbing molto più saporito e policromatico.
Non sappiamo se saranno le donne a salvare il mondo, o la musica. Di sicuro però possono migliorare parecchio entrambi. Provare per credere (…perché finora non lo si è provato quasi mai).
Foto di Chiara Mirelli