“Accettare l’imperfezione è la vera ricchezza”, è questa l’ultima riflessione che Matsby ci ha condiviso in questa intervista. Intervista che fa da cornice, a due anni dall’uscita di “Post-Teenager”, alla presentazione di un nuovo progetto musicale. L’EP “Agrodolce”, disponibile dal 20 settembre, sarà diviso in due parti: “Quella appena uscita sarà la parte più vitale, ‘più presa bene’ e più leggera all’apparenza. La seconda parte, più cupa e amara vedrà la luce a dicembre”. Il gusto agrodolce rappresenta l’equilibrio tra due sapori contrastanti che, una volta uniti, creano un giusto mix rinunciando, però, ciascuno all’espressione intera di sé. Un analogo contrasto che l’uomo contemporaneo vive tra lo smarrimento dato dalle mille occasioni che ci offre la realtà e tra la necessità di accontentarsi dell’unica scelta possibile. Tema caro a Kierkegaard che ha definito questo impasse come “Punto Zero”, omonimo titolo del primo album dell’artista. Matsby, invece, ha trovato nella musica la possibilità di identificarsi con la realtà al di fuori di sé. Le sue strofe affondano le mani nel cantautorato italiano per riemergere nell’epoca dell’intelligenza artificiale. È come se la musica fosse per Matsby un vecchio album fotografico, dove l’obiettivo è saldamente puntato sulla consapevolezza con cui vive gli istanti che ci vuole raccontare.
Nell’età del jazz, Scott Fitzgerald scriveva “Il Grande Gatsby”. Il romanzo è incentrato sulla figura di Jay Gatsby, ricco contrabbandiere e nobile gangster. Gatsby riesce a cambiare classe sociale grazie alla sua incrollabile fiducia nel futuro. È questo che vuoi trasmettere con il tuo nome d’arte? Come si fa oggi ad avere speranza nel futuro?
In realtà il mio nome d’arte non è stato scelto consapevolmente. Intorno al 2014 mi ero iscritto a Instagram e il nome utente con il mio nome e cognome era già stato preso. In quel momento, adoravo i film in cui figurava Leonardo Di Caprio e mi avevano colpito particolarmente “Shutter Island” e “Il Grande Gatsby”. Mi faceva ridere “thegreatmatsby” come nome da adattare ai social e così ho scelto questo username. Solo con il tempo poi ho cambiato in Matsby. Se dovessi ripensarci, mi hanno stupito successivamente tante cose di Gatsby. Mi colpiva la sua tenacia nel rincorrere un amore contorto e palesemente non corrisposto. Nel film poi traspare la fiducia nella luce verde in cui lui crede fermamente, anche se poi la realtà gli rivelerà l’opposto perché succederanno eventi sgradevolissimi. Col senno di poi ti dico che questa è stata forse la cosa che adesso mi accomuna al personaggio di Gatsby. La fiducia nei valori mi tiene aggrappato a una vita dove quello in cui credo coincide con le azioni che compio e le scelte che faccio. Credo fermamente che questo valga anche per la musica, dove, con lavoro e tenacia si possono cambiare le condizioni di partenza, proprio come ha fatto Gatsby. Questa, secondo me, è anche l’essenza del romanzo di Fitzgerald.
Gatsby amava la buona musica e nelle sue grandi feste ospitava i più illustri artisti del tempo. Che musica si ascolta in casa di Matsby e che cosa ha accompagnato la tua crescita?
La mia playlist è veramente una giungla, nel senso che si trovano i generi più diversi. Una volta Spotify mi aveva scritto: “Sei l’unico che potrebbe ascoltare Luigi Tenco e subito dopo 21Savage”. Ascolto tanto cantautorato italiano. Soprattutto nei momenti di disillusione nel presente mi vado a rispulciare Gaber, Tenco e De Andrè, anche se devo dirti che il mio preferito di sempre è Lucio Dalla. Per me lui è al primo posto ed è stato davvero qualcosa di indescrivibile, sia come umanità che come musicista. Lui per me rappresenta la musica impersonificata, era un jazzista incredibile e imparo ancora tanto dalla sua figura. In casa, mia sorella mi ha allevato a pane e Red Hot Chili Peppers, Green Day, Avril Lavigne e Blink-182. Crescendo poi anche con il rap, alle medie e al liceo mi sentivo molto estraneo ai miei compagni di classe e anche un po’ emarginato. Ricordo diverse tracce che hanno significato tanto per me, anche in momenti molto concreti della mia vita, come quando un gruppo di ragazzi ti bullizza. Lì ricordo che ascoltavo “Nevermind” di Mezzosangue, era il 2012. Quello è stato un modo terapeutico di identificarmi in qualcos’altro, che non esisteva, dato che a scuola non avevo esempi di personalità che mi piacessero. Partendo poi da una matrice italiana del rap sono arrivato a Kaos One, Colle der Fomento e i Sangue Misto, che mi hanno portato a fare, addirittura, una tesina di maturità sul rap. Da lì in poi ho sempre ascoltato musica senza pensare al genere di appartenenza. Forse lo spartiacque è stato il 2019 quando ho iniziato a suonare live con la band. Ho avuto modo di vedere come si suonano gli strumenti e di conseguenza ho migliorato la sensibilità del mio ascolto. Da lì ho iniziato ad ascoltare musicisti veri e propri e ho iniziato a godere maggiormente della musica a 360°, spaziando dal cantautorato, al rap, dall’indie, all’R&B e alla musica classica. Tutto dipende da cosa sto vivendo in quel preciso momento.
Lo stesso autore dipinge un altro personaggio cult della letteratura come Benjamin Button. Il tuo ultimo album “Post-Teenager” porta l’ascoltatore a riflettere sul tempo che passa, oltre a molto altro. Come vive lo scorrere del tempo Matsby e come è cambiato?
Questa è davvero una bellissima domanda e un bel collegamento. Tra l’altro quando ho visto il film “Il curioso caso di Benjamin Button” ho sofferto molto, mi ha lasciato parecchio l’amaro in gola dal punto di vista emotivo. Secondo me, la grande truffa che ignoriamo quando siamo piccoli è che in un battibaleno siamo chiamati ad essere adulti. Di questo me ne sono reso conto a 23 anni quando ho scritto “Post-Teenager”. Mi dicevo: “Ho appena compiuto 23 anni, ma in che senso?!”. Negli anni tante volte ho avuto rimpianti per il passato, nel senso che non ho vissuto con piena consapevolezza la mia età. Quindi, bramare di diventare grande, diventarlo e sentirsi, però… un post-adolescente. Personalmente ci sono occasioni in cui mi sento molto maturo, altre in cui mi sento un adolescente che ha bisogno della manina dell’adulto per aiutarlo a capire come si faccia a vivere. In passato ho vissuto lo scorrere del tempo con rimorso, dovuto anche al fatto che siamo passati attraverso la pandemia ed è come se avessimo perso 2 anni della nostra vita. Ora devo dire che vivo davvero concentrato sul presente. Ho 25 anni, 26 a novembre, e ti confesso che mi sento giovanissimo. Sono molto proiettato sul presente, penso tanto ad ascoltare me stesso e a conoscermi un pochino meglio rispetto al giorno precedente. Però è un doppio lavoro: cerco di lavorare su me stesso e sui traumi del passato, mentre vivo il momento presente e cerco di metabolizzare le cose che mi accadono. Proprio per questo guardo al futuro con un raggio d’azione sul breve-medio termine. Mi fa stare bene a livello di salute mentale guardare le cose nell’arco di 4/5 mesi al massimo. Oltre non ha proprio senso andare, soprattutto in questa società dove tutto è così veloce.
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Matsby canta anche l’amore. Ivano Fossati ne “Il bacio sulla bocca” scrive: “Inciampa piuttosto che tacere e domanda piuttosto che aspettare”. Senti di aver fatto tuo questo consiglio? Quali considerazioni fai su questo tema?
L’amore è un tema incredibile, universale! Ci ragioniamo tutti da secoli e forse nessuno ci ha mai capito niente, almeno per quanto mi riguarda sono sicurissimo. Sono onorato di questa citazione: ho avuto la fortuna di conoscere Ivano Fossati a un laboratorio universitario sulla canzone italiana. Ho fatto suo questo consiglio e lo trovo giusto non solo in amore, ma in generale per la vita. Ultimamente ho capito l’importanza del fare al posto del pensare. Il pensiero è interiore e non ha niente a che vedere con l’esterno e, di conseguenza, crea un mondo fittizio e distorto. Quindi sì, è un concetto che faccio mio a tuttotondo. Sull’amore ho vissuto questo consiglio di Ivano più alla lettera in età adolescenziale e anche con la mia ultima relazione. Attualmente non saprei proprio cosa dire sull’amore… credo tanto nell’amore come energia vitale che non ha eguali o competitors, ma l’amore relazionale è un grande investimento e dispendio di energie. In questo momento della mia vita non sono predisposto a fare mio questo consiglio sull’amore nello specifico: bisogna comunque essere sintonizzati sulle giuste frequenze per poter recepire questo tipo di energia.
L’angoscia paralizzante porta Kierkegaard ad un punto zero.“Punto Zero” è anche il titolo del tuo primo album uscito nel 2018. Riprendendo il tema del filosofo danese, che vive il malessere di fronte a tante possibilità e alla limitazione di una realtà che non le può comprendere tutte, quali scelte ha fatto Matsby a partire dal suo punto zero?
Sono contentissimo che tu abbia fatto questa citazione. Ti confesso che alle superiori mi aveva colpito veramente tanto Kierkegaard con questo concetto: l’incapacità di scegliere che quasi porta ad immobilizzarsi. Lo sentivo molto mio come tema, perché questa è un’epoca dove si sono aperte infinite possibilità e se ce la fai è esclusivamente merito tuo perché hai fatto le scelte giuste. Si proietta tanto l’ansia della scelta. È così che nasce l’ansia da prestazione, è una società performativa. Io mi sono sentito tanto al punto zero, tanto che ci ho scritto un disco. Oggi penso che sia un tema attuale: se tu puoi scegliere mille cose, il fatto che tu ne stia scegliendo una ti preclude le altre 999. Al tempo stesso, maturata un po’ di esperienza, il feedback esterno mi conduce a ridurre, come ti dicevo prima, il mio raggio d’azione. Oggi ho deciso che testimoniare quello che vivo attraverso la musica mi fa stare bene. Quando penso a questa cosa mi viene in mente l’importanza delle foto di famiglia. Prima, ad esempio, in casa avevamo gli album con le fotografie dei genitori, dei nonni che ti raccontavano il loro matrimonio e, secondo me, oggi non esiste più questo rito, o meglio, è più raro. In me il ruolo delle fotografie è stato sostituito dal fare musica. Penso che il mio obiettivo sia quello di arrivare a 70 anni e guardare alla mia carriera e vedere tanti album fotografici, che in realtà sono i miei dischi. Penserò che nel 2018 io ero al liceo e stavo studiando il punto zero e la pensavo così, poi finita l’università è uscito “Post-Teenager” ed effettivamente ero quel tipo di persona che descrivo. È come se la musica fosse per me un nuovo album di fotografie di un tempo. Anche tutti gli aspetti extra-musicali li vivo così: i videoclip, le foto, il merchandising. L’insieme di questi fattori crea identità ed un mondo diverso rispetto a quello reale. Per me è anche un modo per alleggerire le pressioni della vita di cui ti parlavo. Ora il punto zero non lo vivo più, mi sento più vivo che mai!
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“Immagine e somiglianza” sono due termini che rievocano la Genesi biblica. Questo brano è dedicato alla tua figura materna. Perché hai deciso di chiudere il tuo album con questa traccia? Cosa è uguale a te e cosa è diverso da te?
Ho deciso di metterla come outro perché in questa traccia dico una cosa importante: è fondamentale staccare il cordone materno. Una cosa che differenzia un adolescente da un adulto è che il primo ha bisogno dello sguardo del secondo, mentre il secondo cammina sulle sue gambe senza l’aiuto di nessuno. Simbolicamente era un modo per dire che il post-teenager è proiettato per vivere da adulto. Da mia madre ho ereditato una grande energia nel fare tutto. Lei dopo il lavoro ha un gruppo con cui fa volontariato, quindi è come se lavorasse 20 ore al giorno. In questo momento sento di avere anch’io questa energia perché sto lavorando per investire tutto nella musica e sto lavorando tantissimo. È un valore di cui sono grato. Per quanto riguarda il titolo ho estrapolato questo concetto che si rifà alla Genesi per dire che ero uguale a lei, diciamo che si vede che sono suo figlio!
“Provo a gestire emozioni in modo adulto, costruire una storia non è easy come scrivere una strofa” canti in “Prima di tutto”. La storia quotidiana che ognuno di noi costruisce confluisce nella grande storia di tutti. Quali pagine strapperesti della contemporaneità che viviamo?
A livello storico penso che questi anni verranno ricordati come anni di cui non poter andare fieri. Banalmente, mentre noi stiamo chiacchierando, si vivono più guerre in maniera nascosta, come se non ci fossero. Ci sono poi guerre sul campo, (a seconda delle diverse aree geografiche), e altre tipologie di guerre, come quella dell’informazione. Oggi è veramente difficile informarsi: c’è troppa confusione, poca autorevolezza e un’arma di distrazione di massa che è il cellulare che abbiamo in tasca. Per me oggi è veramente una sfida trovare una fonte attendibile e autorevole dove informarmi. Al tempo stesso tutta questa tecnologia ha portato grande smarrimento, tanti danni alla salute mentale e perdita di senso critico nell’essere umano. Ho il timore che la nostra società stia vivendo un grande impoverimento intellettuale. È in atto un grande circolo vizioso di dopamina, di gratificazione immediata e di conseguenza siamo meno abituati a ricevere una gratificazione a lungo termine. Penso banalmente alla lettura, non so te ma io leggo sempre di meno, purtroppo. Ma aldilà di questo, questi anni verranno ricordati forse come una rivoluzione tecnologica perché l’intelligenza artificiale incombe e prenderà sempre più piede e potrebbe rivoluzionare il mondo. Secondo me non abbiamo bene idea di come cambierà il mondo. Mi viene da citare il film “Her”.
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Il tuo nuovo EP “Agrodolce” è uscito il 20 settembre. Questo titolo evoca l’equilibrio tra due sapori contrastanti, creando un giusto mix. Con chi hai lavorato per questo Ep? Cosa hai sacrificato per trovare questo giusto equilibrio?
Bel punto di vista, non avevo mai pensato al sacrificio dei sapori quando ho concepito questo titolo. Ho scritto questo EP dopo essere partito nel febbraio 2023 per Amburgo, dove ho fatto per sei mesi il ragazzo alla pari perché avevo bisogno di fare un’esperienza nuova. Non avevo mai studiato il tedesco e l’ho imparato online su Babbel. In tre mesi sono diventato un livello B1. Quel momento lì stava fotografando effettivamente un momento di vita agrodolce perché io stavo lasciando la mia città, la mia famiglia, i miei amici, la mia zona di comfort e soprattutto una relazione molto importante. Di conseguenza era molto amaro il boccone da ingerire. Al tempo stesso, però, c’era un pasto dolce da consumare perché mi trasferivo in una nuova città, lontana dall’Italia, con una nuova lingua, un nuovo modo di vedere le cose lontano da tutto e da tutti. Un potenziale di crescita incredibile! Mi sentivo proprio agrodolce, non riuscivo né ad essere felice né ad essere triste. Un mese prima di partire ho scritto tantissime canzoni ed è nato un progetto che era quasi un disco. In fase di rifinitura ho notato che c’erano delle tracce più energiche, che restituivano l’idea di essere dolce, e delle tracce più cupe, ma qui stiamo entrando in uno spoiler che costituirà poi la seconda parte dell’EP, una parte più amara. Quella che è uscita il 20 settembre sarà la parte più vitale, “più presa bene” e più leggera all’apparenza. Devo dirti che alla fine non penso di aver sacrificato dei gusti perché penso che agrodolce restituisca la pienezza del piatto. Ecco, forse ho sacrificato le emozioni più piatte. Se fossi un fonico ti direi che ho tagliato le medie e ho tenuto solo le alte e le basse. Ma ti direi che non ho sacrificato nulla. Per questo EP ho avuto la possibilità di creare e sviluppare un team, che è davvero stupendo e con cui sto avendo la fortuna di lavorare. Il regista dei videoclip e del trailer è Alessandro Puncuh, un ragazzo in cui credo tanto e con un talento incredibile. Tra l’altro la storia di come ci siamo conosciuti è assurda: durante il tour che mi sono autoprodotto quest’estate, mi sono esibito in piazza a Genova Nervi, e lui abita in un palazzo che dà sulla piazza. Lui mi ha visto dalla finestra di casa sua e dopo la serata mi ha scritto dicendomi che avrebbe voluto lavorare al mio immaginario visuale. Vedendo i lavori che aveva già fatto non ho esitato a rispondergli e abbiamo iniziato a collaborare dall’indomani. Insieme a lui c’è la sua squadra: Thomas Noonan, Stefan Stechel e Sofia Baldioli. Tania Zama è l’art director, con lei ho lavorato alle cover e al merch. La foto della copertina è stata scattata da Filippo Castagnola e post-prodotta da Blodsym. Non posso non citare ovviamente i produttori: Sic, Simone Panero e Macs, Massimo Barberis che hanno lavorato a tutte le prime quattro tracce. L’ultima (“una vita che non voglio vivere”) è stata prodotta da Daniele Celli, in arte Dab, con le chitarre di Musi, Francesco Musante. Devo tanto al mio team, senza non si va da nessuna parte.
Istinto e disciplina sono due dimensioni con cui ci confrontiamo quotidianamente. Ognuno porta i segni delle proprie battaglie: “Istinto e disciplina chi vincerà il big match”?
Ho imparato a capire che vincono tutti e non vince mai nessuno: a volte vince l’istinto, a volte la disciplina, l’importante è non scoraggiarsi mai. I giorni in cui la sveglia non suona e la giornata va malissimo si contrappongono a giorni in cui sei ultra-disciplinato e affronti le tue responsabilità. Con questa traccia non voglio sembrare uno di quei fuffa-guru che spingono sulla performance e sulla disciplina estrema. Comprendo che nella vita di una persona coesistano queste dimensioni e va bene così. Ho scritto questo pezzo per me stesso e per far sì che diventasse un reminder. Il ritornello penso che sia la soluzione: “Sei la persona che tu oggi sei per le scelte e le azioni che fai, il resto all’aria, solo belle parole, ma poi che casino!”.
Quest’estate sei stato parecchio in giro a portare la tua musica live. Che rapporto hai con l’esibirti dal vivo?
È un rapporto molto arricchente per me. Mi connette con le persone e, in un momento storico in cui citiamo tanto i TikTok e gli algoritmi, è l’unica cosa che ti salva. In più ti da lì opportunità di presentare un tuo progetto davanti ad un pubblico che in quel momento lì ti regala il suo tempo e il suo ascolto. Personalmente è la dimensione che preferisco perché esula da tutte quelle dinamiche social a cui siamo costretti ad interfacciarci. È bellissimo vedere persone che ti seguono e poterci fare due chiacchiere. Nell’ultimo live c’erano in prima fila persone con il mio merch e questa è davvero una sensazione indescrivibile. Vedere che si crea una sorta di famiglia e vedere che tutto quello che fai ha un impatto con la realtà è, secondo me, la cosa più importante. Tornando al discorso di prima sull’intelligenza artificiale, potrà sicuramente sostituire tante cose ma non l’emozione dei concerti e di una performance live. Sicuramente i concerti saranno un punto su cui vorrò investire sempre di più.
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“Costruire è sapere, è poter rinunciare alla perfezione” canta Niccolò Fabi. Condividi questo pensiero? Per un giovane cantautore che sta costruendo il suo percorso, che cosa genera un’affermazione di questo tipo nelle tue prossime scelte?
È una frase verissima, Niccolò Fabi ha scritto dei pezzi incredibili e alcuni suoi testi mi hanno toccato nel profondo. È la ciliegina sulla torta e la summa di ciò che abbiamo detto finora. Una cosa fatta è di per sé già una cosa perfetta e ti aggiungo che io sono stato intrappolato nel concetto opposto in passato. Quante volte ho aspettato l’occasione perfetta, il tempo giusto. Quello che mi muove in questo momento della mia vita è l’agire e il costruire sulla base dei valori che ho, che devono essere in linea con le mie azioni. Mando tanti input all’universo e pian piano i pianeti si allineano e creano le giuste condizioni. Cerco di abbassare l’ansia da prestazione figlia dei nostri tempi, pensando che nella carriera di un creativo non esistono tappe preimpostate e ognuno ha il suo percorso. Accettare l’imperfezione è la vera ricchezza, secondo me. Devi darti il tempo di sbagliare, il tempo di capire te stesso.