Qui su Soundwall ne abbiamo già parlato abbondantemente di quanto la tecnologia stia rivoluzionando club e concerti: risale al marzo 2014 la nostra presa di coscienza del tipo: “Ok, ci siamo cascati tutti, ora piantiamola però. Gli smartphone che portiamo in tasca stanno avvelenando l’esperienza”. La situazione sembrava già fuori controllo allora e oggi, quasi quattro anni dopo, le cose non sono cambiate di molto: gli avventori dei club continuano a sventolare schermi luminosi e inondare i social media di selfie. Nel frattempo sono stati fatti studi ed esperimenti, molti artisti si sono schierati apertamente contro la pratica e anche gli stessi creatori delle varie piattaforme stanno iniziando a consigliarci la disintossicazione. Ci è sembrato un buon momento per rifare il punto della situazione.
Ad esempio, la lotta all’abuso di device mobili è diventata oggi un’opportunità di business: la start up Yondr ha iniziato a produrre sacchetti fatti apposta per rinchiuderci lo smartphone e tenerlo rinchiuso per tutta la durata del concerto, salvo appartarsi in una zona “phone-free”. Gli investitori risero dietro a Graham Dugoni, fondatore della società, quando era in cerca di fondi. Oggi Yondr sta vivendo un momento di grande crescita e il suo sistema viene utilizzato da personalità del calibro di Jack White, oltre che in tribunali e scuole. Gli artisti che l’hanno usato per le loro esibizioni ne sono entusiasti, parlano del ritorno dei “vecchi tempi” quando la gente si divertiva ”davvero”.
Altra soluzione creativa è quella adottata dal Berghain di Berlino, seguito poi via via anche dagli altri club della capitale tedesca: consiste nel far applicare un bollino colorato agli avventori del locale sul proprio telefono, inibendone la fotocamera. Come praticamente ogni cosa nel 2018, questo ha generato meme e tumblr ironici. Altro risultato curioso di questo esperimento è la collaborazione degli avventori che hanno iniziato loro stessi a fare le veci della sicurezza e a riprendere i trasgressori: si tratta sempre di Germania eh, ma è curioso come l’esplicitazione di una regola abbia in qualche modo legittimato i clienti a riprendere chi non la rispetta.
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Questi divieti pare siano stati preso bene un po’ da tutti, soprattutto dagli amanti del clubbing, felici di essere stati in qualche modo costretti ad abbandonare la propria dipendenza e tornare a ballare, anzi che passare la serata a far sapere a tutti che loro c’erano.
Ma c’è un ma: i telefoni cellulari hanno completamente rivoluzionato la struttura di potere, trasformando la società in un luogo dove ognuno di noi è in grado di registrare e diffondere autonomamente un evento, che si tratti di un concerto o di un pestaggio da parte della polizia. Proprio per questo motivo Adam Schwartz, membro della Electronic Frontier Foundation, associazione non-profit dedita a difendere i diritti civili nel mondo digitale, ha espresso la sua preoccupazione. Secondo Schwartz le persone concedono più di quello che sembra sigillando anche solo temporaneamente il telefono in un sacchetto e questa pratica, applicata all’ingresso di locali pubblici, potrebbe funzionare come silenziatore di massa rendere più difficile denunciare abusi e soprusi.
Oltre alla paura effettivamente fondata che si entri in una nuova era di oscurantismo e proibizionismo, c’è anche da considerare cosa significhi veramente “godersi” un evento. La prof. Alixandra Barasch è una delle personalità più attive nella ricerca in questo campo e i suoi studi hanno portato alla luce risultati interessanti, come il fatto che il processo mentale legato allo scatto di una fotografia funga da amplificatore dell’esperienza, che sia essa positiva o negativa, e che ci aiuti a ricordare meglio i dettagli visuali. Allo stesso tempo Barasch ha sottolineato come l’effetto amplificatore sia molto ridotto quando l’esperienza è già coinvolgente di per sè e che scattare una fotografia ci costringe a concentrarci solo sulla parte visuale, di fatto diminuendo la capacità di ricordarne altri aspetti, come quello uditivo. Infine, uno dei suoi ultimi studi mostra come, effettuando uno scatto con l’intento di condividerlo sui social media anziché preservare una memoria, si generino processi mentali in grado di ridurre sensibilmente il coinvolgimento con l’esperienza stessa.
Gli studi di Barasch sono solo il primo passo verso una discussione più sensata sugli effetti che questi dispositivi hanno sulle nostre vite. Se è vero che scattare foto sia una libertà innegabile, è altrettanto vero che una società come tale deve considerare i diritti collettivi rispetto a quelli del singolo.
Viviamo in un mondo dove il tempo è diventato uno dei beni più ambiti, diversi media competono per accaparrarsi qualche secondo della nostra attenzione (e sono molto bravi nel farlo). Oggi più che mai, la concentrazione è diventata estremamente ambiziosa quanto difficile da ottenere: il continuo formicolare di notifiche e schermi luminosi intorno a noi è un vero e proprio “inquinamento dell’attenzione”.
Per questo ci arrabbiamo quando durante un film qualcuno controlla le notifiche abbagliandoci con lo schermo o quando in treno il tizio seduto di fianco continua a ricevere notifiche con la suoneria sparata al massimo: ci distrae e ci impedisce di concentrarci. L’esperienza in un concerto o in un club non è diversa: vederci sventolare degli schermi luminosi sotto il naso mentre stiamo cercando di entrare in sintonia con la musica ci costringe a focalizzarci sui pixel luminosi anziché sulla performance dell’artista, in poche parole lede la nostra libertà.
Non sono lontani i tempi in cui l’utilizzo dello smartphone non sarà regolato solo da educazione e buon senso, ma da vere e proprie leggi, come successe per le sigarette cinquant’anni fa. In quel caso sappiamo tutti come sia andata a finire, chissà che tra qualche anno non saremo costretti a tenere immagini scioccanti di “social media dipendenti” come sfondo del nostro iPhone. Il divieto di fumo fu un grande incentivo per molti ad abbandonare il tabacco e fu imposto per un beneficio collettivo, quello di tentare di ridurre i casi di cancro ai polmoni e il loro impatto sulla spesa pubblica. Se la correlazione tra abuso di dispositivi digitali e patologie psichiatriche dovesse essere dimostrata e largamente accettata, lo “smartphone ban” ne sarebbe una conseguenza naturale. Sarà curioso vedere come questo inciderà sul numero di biglietti venduti, della serie: le persone accetteranno il divieto o preferiranno andare da altre parti dove sarà loro concesso di controllare le notifiche?
Non sappiamo bene se questo sentimento anti tecnologico sia solo il lamento di una generazione nostalgica dei party anni ‘90 e primi duemila o una vera e propria piaga sociale da combattere. Mentre la comunità scientifica dibatte sulla questione, noi ci allineiamo con DVS1 nel vedere la figura del DJ come un artista, non solo un “intrattenitore”. Portiamo il nostro buon vecchio bollino da casa, lo appiccichiamo sulla fotocamera ed entriamo con timore e rispetto in quel vortice di emozioni e sensazioni che solo il set di un mostro sacro riesce a regalarci. Ci sarà un motivo se nei club esista ancora una persona dietro i piatti, quando Spotify potrebbe sostituirne la selezione senza problemi: da migliaia di anni gli umani ballano in gruppo con altri umani, dalle tribù fino ai club del nuovo millennio, non lasciamo che la tecnologia ci porti via una delle parti migliori della nostra vita terrena.