Quando venerdì pomeriggio, partiamo alla volta di Bologna, le nostre sensazioni sono strane: sarà la mancanza di una vera e propria trasferta (non prendere l’aereo per andare ad un festival è una cosa a cui non siamo abituati), sarà che Bologna, per noi, è una seconda casa (letteralmente) e ci fa strano andarci per un evento così particolare, fatto sta che per tutta la durata del viaggio, l’atmosfera è più simile a quella di una normale gita fuori porta. Le cose iniziano a cambiare una volta arrivati in città, quando vediamo i primi completi bianchi in giro per le strade del centro, che ci ricordano il vero motivo della nostra visita. Rispettato alla lettera lo statement “Be part of the night, dress in white!”, con risultati discutibili al confine con l’esilarante, ci dirigiamo verso la venue. Nel parcheggio dell’Unipol Arena si respira aria da sagra e profumo di piadina, se non fosse per le migliaia di persone vestite completamente in bianco, sembrerebbe una festa di paese. Espletate velocemente le operazioni di accredito, ci viene consegnata una quantità industriale di bracciali, compreso quello fluorescente comandato in remoto, e facciamo il nostro ingresso nell’arena con un sottofondo di chillout.
Qualche minuto dopo, la sigla dell’evento cattura l’attenzione di un parterre già piuttosto affollato (sono circa le 22), che segue con i flash degli smartphone la sequenza di fiammate, giochi pirotecnici ed effetti speciali che fa da intro: “Welcome to Sensation”. L’impatto è assolutamente maestoso, anche su chi, come noi, sapeva già bene o male cosa aspettarsi. Mr. White, come da tradizione, fa gli onori di casa con un set di bella house energica, con inserti electro e tribal, e dopo un’ora passa il testimone al giovanissimo Oliver Heldens, che continua sulla linea tracciata dall’uomo in bianco, svoltando di tanto in tanto su sentieri un po’ più deep e tech, in un set che sembra costruito intorno alla sua hit “Gecko”.
L’età media, sorprendentemente, è piuttosto alta, con punte di insospettabili over 40, ciononostante non mancano tristi scene di ubriachezza molesta. Si fa mezzanotte, ora di uno dei momenti più attesi dell’intera serata: l’esibizione di Hardwell. La superstar olandese si fa attendere, introdotto da una decina di minuti in cui il Sensation fa bella mostra delle coreografie e degli effetti speciali che gli hanno procurato, a ragione, la fama di evento tra i più spettacolari del genere: i laser, i braccialetti, che si illuminano seguendo le colorazioni e il ritmo delle luci creando effetti strabilianti, le liane di led che pendono dal soffitto, un’enorme struttura gonfiabile a forma di serpente che sovrasta la pista e spalanca le fauci sulla consolle, al centro dell’arena, posta su una piattaforma rotante per permettere al pubblico di vedere il dj da qualsiasi punto della sala e degli spalti. E poi le fiammate, i fuochi d’artificio, le fontane, i palloni gonfiabili, rigorosamente bianchi, che piovono dal cielo, il corpo di ballo che esegue coreografie basate sul tema “Into The Wild”: tutto decisamente d’impatto. Proviamo un profondo senso di vergogna quando, sul ritornello di Animals e in un paio di altre occasioni, in pista si scatenano dei poghi, e per un attimo ci viene da pensare che forse, una fetta del pubblico italiano non è ancora pronta per meritarsi spettacoli del genere. Hardwell ci illude per un quarto d’ora, suonando della buona electro, tirata e decisamente ballabile, poi il set cambia volto, e dopo accenni di Melbourne bounce e anthem melodici conditi con acapelle pop, da Rihanna ai Linkin Park, diventa la solita, piatta e banale sequenza di drop big room, proseguita da uno svogliato Dyro, e in buona parte anche dalle Nervo, le uniche ad azzardare, di tanto in tanto, qualche traccia un po più groovy, ma che rimane solo una goccia nell’oceano. Leit motiv, le chiusure di set con versioni hardstyle di dischi electro (“Spaceman” per Hardwell, “Hero” dei Pegboard Nerds per Dyro), e lo speech di “Eat Sleep Rave Repeat” (presente almeno una volta in tutti, ma proprio tutti i set).
Sul piano strettamente musicale, dunque, molto da rivedere, ma probabilmente è qualcosa che deve partire da più in alto, e andare più a fondo: la necessità di un cambiamento di rotta c’è, ma di certo non lo potevamo pretendere qui ed ora. Voti alti, altissimi, invece, per tutti gli altri aspetti della produzione, dalla scenografia (tra le migliori al mondo, e non ci stancheremo mai di ribadirlo), alla logistica, ai servizi offerti e all’atmosfera creatasi, capace di mandare a casa con il sorriso quasi tutte le oltre dodicimila persone presenti. Ci auguriamo, quindi, che Sensation Italia possa diventare una realtà sempre più consolidata, che continui a stupirci di anno in anno!