Sarà che non siamo più ragazzini e ormai pensare di imbarcarsi in una dodici ore in qualche big room del nord Europa è diventato difficilmente appetibile, sarà che più passano gli anni e più ci si rende conto che l’erba del vicino non sia necessariamente più verde e difficilmente ci si approccia ai grandi eventi con la stessa innocenza di un tempo, ma da qualche anno sono entrato in quella fase della vita da clubber in cui la magniloquenza del cartellone o degli spazi non hanno più il sopravvento su tutto il resto. Anzi, hanno lasciato spazio alla ricerca di una comfort zone costruita negli anni, che oggi vive dell’equilibrio fra le danze scatenate sul dancefloor e tutto quello che vi ruota attorno. Quest’ultimo un aspetto che d’improvviso è diventato molto importante, oserei quasi dire determinante nella scelta di quali esperienze vivere.
Per questo motivo i boutique festival – eventi a misura d’uomo atti a valorizzare l’inestimabile retaggio culturale nostrano di cui abbiamo già parlato mille altre volte su queste pagine – sono diventati un’irresistibile canto di sirene, proprio perché rispecchiano un’esperienza che non inizia e finisce davanti a un palco in un buco nero pieno di gente, ma che al contrario si intarsia in un contesto già di per se florido, ricamandoci sopra una componente musicale che possa arricchirne il valore senza svilirne i connotati. Lavorando simultaneamente a velocità alternate in modo da offrire una moltitudine di esperienze complementari fra loro – tutte squisitamente legittime – in base a ciò che ciascuno ricerca in un evento di questo tipo.
E qui arriviamo al parco termale del Negombo, nella celeberrima isola verde di Ischia, a un tiro di schioppo dal golfo di Napoli. Personalmente era la prima volta che visitavo l’isola, e nonostante il tempo non sia stato troppo clemente – come poi avremo modo di discutere nel merito dell’evento – mi è stato chiaro fin dal primo passo all’interno di questa location che non ci fosse tensostruttura o magazzino post-industriale che potesse pareggiare la bellezza di lasciarsi trasportare su e giù per le scale, dentro a una pineta quasi esotica, guardando all’orizzonte il sole che andava a dormire e ci dava il permesso di dare il via alle danze. Di per se, uno stabilimento che da anni è un punto di riferimento per il turismo dell’isola che si presta ad essere teatro ideale per il nostro mondo, carpendone il potenziale e accettandone alcuni eccessi, è già di per se una vittoria colossale. Perché dimostra che una fetta di imprenditoria legata alla musica è stata in grado – non senza una certa dose di testate al muro, ne sono sicuro – di abbattere (almeno in parte) quella cortina di ferro che divideva in maniera netta il mondo della musica elettronica dalla mappa culturale/turistica italiana. E da questa vittoria possiamo beneficiare tutti, sia come addetti ai lavori che come semplici utilizzatori.
Tutto questo preambolo per dirvi che Sensorama è stata l’ennesima bella sorpresa in un panorama in sempre maggior espansione nel nostro Paese. Ed esattamente come ci si potesse attendere, il più grande valore di questo evento sta nelle particolarità che lo rendono unico: dalla possibilità, come dicevamo, di “staccare” e immergersi in un ecosistema unico, fino all’enorme componente culinaria campana rappresentata da un’area food davvero di primissimo livello, sia per qualità delle materie prime che per la gestione dell’afflusso, cosa che spesso può diventare complessa in questo tipo di manifestazioni che non hanno necessariamente le spalle abbastanza larghe da gestire flussi importanti di persone nelle ore di punta. Anzi, la capacità da parte dei tanti ragazzi dello staff, anche in momenti abbastanza caotici, di mantenere sempre un atteggiamento cordiale e disponibile mi ha colpito molto. Altra questione molto interessante lo spettro anagrafico della clientela, che variava senza alcuna stonatura dai ragazzini di vent’anni fino anche a persone di una certa età, tutti dentro allo stesso calderone senza mai avere la sensazione di sentirsi fuori posto. Allo stesso tempo, so che sarebbe giusto soffermarsi anche sulle installazioni audio/video – sicuramente di livello altissimo – e su una line up dove spiccavano nomi come John Talabot, Mr. Scruff, Vale Budino, Brain De Palma e Craig Richards, ma trovo fondamentale mettere il focus su quelli che sono stati davvero i punti distintivi rispetto al panorama dei grandi festival. Sabato notte siamo usciti dal Negombo con la chiara sensazione di aver visto nascere qualcosa di interessante, ma soprattutto di autentico.
E come tutti i prodotti in fase di rodaggio e sperimentazione, è inevitabile che possano crearsi disguidi più o meno dipendenti da chi li mette a terra. Così come ci siano spunti di discussione necessari – e sono sicuro graditi – per rendere un evento sempre più a misura della propria clientela e del contesto in cui si inserisce. Ad esempio, il primo pensiero è stato che sarebbe davvero bello se Sensorama potesse diventare un evento a tutto tondo, includendo anche una componente diurna legata al centro termale, andando così a beneficiare al 100% della bellezza della location e allargando ancor di più il target di clientela. Un punto che, immaginiamo, sarà già certamente nei pensieri di chi organizza. Ci sarebbe poi forse da rivedere la differenza di volumi fra una sala e l’altra, visto che il rischio che la musica sembrasse bassa nel secondo stage dopo essere stati all’impianto sontuoso di quello centrale era oggettivamente un fattore. Per chiudere, come ormai è noto (e riportiamo sotto anche i termini per il rimborso), la pioggia ha reso impossibile l’organizzazione della seconda sera, e anche il piano B di appoggiarsi a un piccolo club dell’isola si è rivelata, a poche ore dall’inizio, una via non più percorribile. E’ chiaro che per quanto un’organizzazione non sia in grado di controllare la furia degli elementi, quando si sceglie un periodo dell’anno che è storicamente instabile col meteo, è molto importante tutelare se stessi e soprattutto le persone che hanno investito tempo e denaro per esserci, con alternative solide e percorribili. Questo è un assunto fondamentale che prescinde dalle complessità di lavorare in certi contesti geografici e sono sicuro che sarà un aspetto centrale del decision making nelle prossime edizioni. Perché sì, mi auguro ce ne siano molte altre e che non basti un piccolo inciampo a far perdere l’equilibrio a chi ha lavorato duramente perché questo bell’evento potesse diventare realtà.