“Tu vorresti lavorare con della gente sveglia, che magari su alcune cose ne sa anche più di te perché è giovane e ha un approccio fresco, o con della gente che ne sa tanto quanto te ed esattamente sulle cose tue? Non so tu, ma io la prima!”, tutto questo detto col sorriso e con un’umiltà ed un entusiasmo che non sono di facciata, no, lo respiri proprio che sono reali: ecco, questo è parlare con Stefano Fontana. Una ventata di buone vibrazioni. Di entusiasmo. Senza che questo impedisca, a Stefano, di avere delle prese di posizione anche nette, se necessario, se ritiene che sia il caso; e senza che questo gli impedisca – ma siamo noi che glielo abbiamo tirato fuori un po’ a forza – di ricordare ogni tanto che, insomma, lui non è l’ultimo degli arrivati. Anche se si comporta sempre come tale. Perché l’entusiasmo è quello del giorno uno. La scusa per la nostra chiacchierata è l’uscita di “Boom”, un album molto particolare, stracolmo di collaborazioni non-dance (Raf, Irene Grandi, Giuliano Sangiorgi, Malika Ayane, Pau dei Negrita, vari rapper, gli Amari…), ma le digressioni sono diventate tante ed interessanti.
Insomma, dicevi: anche i ragazzi giovani possono essere in gamba. Non solo gente superficiale e senza background.
Eccome. Soprattutto: hanno un approccio diverso alle cose, e questa è una figata. Lo scambio generazionale sta in questo. Io magari per background, età e quant’altro ho esperienze di un certo tipo, esperienze che loro non sono possono avere, ok, ma di sicuro voglio confrontarmi con loro: finché ci riesco voglio sincronizzarmi col mondo, con ciò che è nuovo, con ciò che è fresco. Bisogna pensare veloce. Bisogna anche pensare vario: non sto dicendo infatti che devi frequentare solo i ragazzi di vent’anni, il segreto sta nel essere ricettivo su tutti i fronti. Da un fonico o un musicista di sessant’anni puoi imparare tantissimo e stai sicuro che su molte cose ti fa un mazzo così a livello di conoscenze, mentre da un ragazzo di vent’anni è molto più facile che tu venga a contatto con nozioni nuove, sorprendenti. Ecco: “sorprendenti”… Riuscire ancora a sorprendere credo che sia un dono. Io, con “Boom”, volevo appunto sorprendere. Spiazzare.
“Cosa succede se provo a fare un disco che non sia prettamente house, che non sia prettamente da dancefloor?“
Mi ricordo che del progetto di questo disco io e te parlammo ancora anni fa… era una cosa che avevi in testa già da mo’.
Assolutamente. L’idea era: cosa succede se provo a fare un disco che non sia prettamente house, che non sia prettamente da dancefloor? Cosa che ho pensato proprio negli anni in cui quello ero – un personaggio house, un personaggio da dancefloor, essenzialmente quello ero e per certi versi quello ancora adesso sono, come indole principale. Il tutto riassumibile con questo principii: evitiamo i luoghi comuni, evitiamo la soluzione più facile. E così è stato. Un luogo comune e una soluzione facile sarebbe stata oggi fare un disco EDM, no? Utilizzare quelle soluzioni lì? Bene, in “Boom” non accade. Mi rendo conto che, messo a confronto coi miei due album precedenti, questo può lasciare un po’ perplessi. E’ differente. E’ un disco che nasce dal concetto di scambio: non sono solo io, è uno scambio continuo fra me ed altri artisti, con quel che ne consegue.
Scambio che ha funzionato?
Di sicuro, io mi sono arricchito. Tanto. Lo scambio è stato con tutti semplice e naturale. Uno legge la lista di collaborazioni e penserà “Eh, sarà stato un casino mettere su un progetto del genere”, invece no, invece è stato vero il contrario. E’ partito tutto da Giuliano Sangiorgi dei Negramaro: siamo amici, ad un certo punto mi era venuto in mente uno scheletro di brano in cui lui sarebbe stato perfetto come aggiunta, gli ho proposto la cosa e lui ha subito risposto con grande entusiasmo. La title track è nata così. Poi è stato il turno di un altri amico, Samuel dei Subsonica, con cui avevo lavorato ai tempi della produzione di un album dei Motel Connection: pure lui si è subito gettato con entusiasmo nell’avventura e abbiamo completato un pezzo. Mi sono ritrovato così con due brani pronti con delle voci di spessore. Avendo quelli, è stato molto più facile guadagnare subito la fiducia anche di persone che magari conoscevo meno o non conoscevo, ma che mi sarebbe piaciuto finissero in un progetto del genere. Un progetto che per la canzone italiana è molto atipico, però è appunto un progetto incentrato sulla canzone italiana, non un disco house. Non è un disco da dancefloor, ok; ma l’atteggiamento, l’attitudine è la stessa di quando facevo i tools per quando suonavo al Plastic a Milano – ovvero buttarsi, prendersi dei rischi.
Anche perché eri e sei conscio che fare un disco come “Boom” può essere un rischio: Fontana si è messa a fare pop, vuole fare il disco coi nomi famosi, non fa più le cose incisive di un tempo, è invecchiato…
Certo che ne ero e sono conscio. Che ti devo dire, gli hater non mancano mai. Vuoi che non ci siano quelli che diranno che mi sono bevuto il cervello, a fare un disco così? Ma anche quelli che ti fanno troppi complimenti sono pericolosi, attenzione… Oltre al fatto che un complimento eccessivo ed acritico non ti aiuta minimamente, va anche detto che spesso i primi a sperticarsi in lodi di fronte a te, in modo che ti sembra perfino eccessivo (e lo è, eccessivo), poi sono proprio quelli che appena ti volti cominciano a parlare malissimo di te. Io dico solo una cosa: anche nella mia “vita da dj” house, sono sempre stato uno che si prendeva dei rischi. Suonavo in locali totalmente house e spezzavo all’improvviso i miei set con delle robe di, che so, Chemical Brothers, che di house non hanno proprio nulla. “Te sei scemo”, mi dicevano; io però facevo notare che la gente mica smetteva di ballare, anzi. E quindi? Come la mettiamo?
“Te sei scemo, mi dicevano; io però facevo notare che la gente mica smetteva di ballare, anzi.“
Spesso qua si dimentica che fare un lavoro artistico significa fare delle scelte, e fare delle scelte in modo dignitoso significa non fare sempre e comunque le scelte di comodo. Ad ogni modo, sto già lavorando al prossimo album, e sarà un album completamente dance. Un album che rispecchierà di più quello che sono come dj, con ospiti cento per cento da dancefloor come MiniCoolBoyz (già soci di Ali Dubfire), Fire Flowerz, Doomwork (che ha fatto robe con Cocoon), forse anche qualcosa con i Reset!…
Vabbé: diranno che c’hai provato a fare il disco pop per diventare una star, ti è andata buca, mo’ provi a buttarti fuori tempo massimo sul dancefloor e no, noi non ci si fa infinocchiare…
Sono cose che può dire che non conosce il mio percorso. “Buttarmi sul dancefloor”… certo, come no, sono un turista della club culture, non sanno invece quale sia il mio ruolo e la mia posizione in certe faccende, non sanno le persone con cui negli hanno collaborato e che ancora oggi mi manifestano una stima totale. Ma non voglio mettermi a fare nomi, è triste.
Ma facciamolo, invece. Perché molti secondo me non li sanno.
Dovrei parlare delle collaborazioni con, che so, Radio Slave, Kevin Saunderson, King Britt. O dell’amicizia vera con Tom dei Chemical Brothers, con cui ci scambiamo di continuo mail, musica ed informazioni. O i rapporti di lunga data con Masters At Work, Roger Sanchez, Todd Terry, Van Helden… però dai, basta, non è il caso.
Mi pare in effetti una lista già abbastanza corposa.
Di un artista, bisognerebbe sempre considerare tutta la sua carriera. Prendi “Random Access Memories” dei Daft: può piacere o non piacere come disco, ma se uno analizza tutta la loro carriera non può non capire che quell’album – con quel tipo di approccio e di impostazione – assolutamente ci stava, non è un tradimento o qualcosa del genere come invece ho letto da qualche parte. Tanto più che evidentemente hanno avuto, per l’ennesima volta, un impatto devastante, spingendo la gente a riscoprire certe cose e a riprendere a campionare. Ne parlavo giusto con Bob Rifo: “Sembra di essere tornati negli anni ’90, la gente ha ripreso a campionare…”, lui per primo stava notando questa cosa. Infatti, nel disco di taglio più internazionale che sto preparando per il 2014 (perché sì, oltre al disco “da dancefloor” ne sto preparando anche un altro!) già so che ci saranno molti campionamenti. Però fammi tornare su un concetto importante…
Vai.
Le nuove generazioni forse non lo sanno e fanno fatica a concepirlo, ma il dj nasce come uno che butta all’aria tutte le regole prestabilite. Un tempo c’era la chitarra, poi all’improvviso arriva ‘sto tizio col campionatore: “E che è? E’ musica? Come si permette?”. Questo è il punto.
“Le nuove generazioni forse non lo sanno e fanno fatica a concepirlo, ma il dj nasce come uno che butta all’aria tutte le regole prestabilite.“
Bisogna avere il coraggio di fare le cose che si sentono, di essere se stessi. E’ molto più coraggioso ed è molto più “dj” uno che si mette a fare anche musica diversa, colonne sonore, robe strane, di uno che sta lì con Traktor, due Cdj e stop. La scena dance per tanti anni è stata il terreno privilegiato delle sperimentazioni: la modernizzazione del funk, il recupero dell’afro, l’estremizzazione delle visioni electro…
Ma la scena dance, soprattutto oggi, è prima di tutto il terreno del sistema industriale del clubbing. Qualcosa da cui tu ti sei apparentemente tirato fuori, o almeno la percezione è stata questa. Eri ovunque, Ibiza, club italiani ed europei, poi però ad un certo punto l’impressione era che la cosa non ti interessasse più, che te ne fossi tirato fuori.
No, non me ne sono tirato fuori. Percezione errata. Quello che molti non sanno è che ad un certo punto ho avuto un problema fisico, del tutto fuori dal mio controllo ma di sicuro una cosa seria. Sai, sono in effetti molti a dirmi “Ma che è successo, nel 2007 eri il dj italiano più famoso al mondo assieme a Benny Benassi…”: beh, non sanno che per qualche anno facevo anche fatica a camminare, non potevo quasi alzarmi da un letto. Anni in cui comunque ho fatto le produzioni per Meg e Bugo, non sono stato con le mani in mano. E’ che, vista la situazione, non avevo voglia di lavorare su cose che fossero mie, mi sembrava ovviamente che non fosse il momento giusto perché non avrei potuto “sostenerle” al cento per cento. Ma lavorare per altri come produttore è stata un’esperienza che mi ha arricchito moltissimo, tanto più – come nel caso di Bugo – quando era gente che arrivava da un background completamente diverso. Però sì, sono stati anni un po’ così. Quando è successo quello che è successo avevo il mio appuntamento fisso a Miami, giusto per dire una delle cose che mi stavano capitando come dj… Ma pazienza: è il destino.
E’ il destino, ma soprattutto tu ora sei in perfetta forma.
Massì. Tanto più che guarda come funziona: basta che riparti facendo uscire una cosa che abbia i “codici” giusti e che venga spinta da quei dj che la gente ritiene importante…
E tu hai voglia di ripartire.
Ma certo! Ho quarant’anni, mica sessanta! E in più ho una voglia matta di lavorare – sono stato fermo per cause di forza maggiore per qualche anno, ora basta. Fammi anche aggiungere: credo anche di essere abbastanza capace in quel campo lì, quello del clubbing. Tanto più che i dj importanti di cui parlavamo prima sono loro che vengono a cercare me, “Come va? Tutto a posto? Riprendi a fare cose? Dai, mandaci le tracce”, e ti prego non chiedermi di star qua a fare nomi; però ecco, penso che sia significativo. Chi lavora nel campo artistico lo sa: spesso le cose vanno avanti in modo sinusoidale, ci sono alti e poi ci sono i bassi nel feedback che hai dal mercato e dal pubblico, la cosa fondamentale è che a te siano chiari i tuoi obiettivi e i percorso che stai facendo, solo questo conta e solo questo ti può far star sereno. La discriminante non è il successo. Né tantomeno lo è essere o non essere nelle grazie di qualche promoter. La discriminante è essere sereni, è essere presi bene: perché dal punto di vista dell’artista posso dire che solo se sei preso bene artisticamente puoi fare delle cose belle, e dal punto di vista del pubblico solo se sei preso bene puoi vivere delle emozioni belle.