Ora, che Venezia sia meravigliosa è una delle affermazioni più banali del mondo. Ma è anche vero che sotto certi punti di vista Venezia è anche prigioniera della sua bellezza: condannata ad essere museo, spesso, troppo spesso. Sempre più svuotata di cittadini veri, sempre più preda del turismo mordi-e-fuggi. Per fortuna però che c’è la cultura: ciò che riempie Venezia almeno per metà anno di un turismo di qualità (e quindi di vita, di iniziative, di stimoli) sono le iniziative della Biennale: Arte e Architettura si alternano di anno in anno, poi ci sono Musica, Danze e Teatro, poi c’è pure il Festival del Cinema. Ok. Ma fuori dalla Biennale? Che, per mille motivi, è una entità molto particolare e tarata su un determinato genere di pubblico, meno legato alla quotidianità di Venezia?
Nel passato, ci sono state delle belle, piccole eccezioni: come il Teatro Fondamenta Nuove, ad esempio. Proprio una delle persone protagoniste di quella esperienza, Enrico Bettinello, è andato ad unire le forze con Palazzo Grassi, polo culturale che vuole riprendere in mano un certo tipo di propositività e dinamicità “contemporanea”, e già lo ha fatto in più di una occasione con iniziative notevoli.
Perché notevole davvero è la line up di questa seconda edizione di Set Up, festival di due giorni site-specific. E occhio, questa annotazione è importante: perché il “site” in questione è Punta della Dogana, uno dei luoghi più affascinanti di Venezia, che per due giorni (il 23 e 24 febbraio) ospiterà dalle 20 fino alle 2 di notte una serie di set pensati appositamente per la particolarità della venue, scardinando le abituali logiche dinamico-logistiche palco/pubblico. Cartellone notevole, dicevamo: e non lo diciamo solo noi, perché la serata di sabato 24 febbraio è già andata sold out e restano pochi biglietti per quella del 23.
Arrivando alle cose più vicine a noi: il dj set di Matthew Herbert, il live di Laurel Halo e quello dei Mouse On Mars, hai detto nulla già così. Arrivando poi a una band che, per chi scrive, è un culto assoluto: gli sloveni Laibach, dagli anni ’80 fra i più intelligenti e provocatori performer in chiave industrial-politico-avanguardista su scala globale. Ma non solo: c’è un monumento del jazz europeo più “libero”, Ernst Reijseger, così come una delle migliori giovani promesse italiane tra indie e sperimentazione (Sequoyah Tiger). Scavando però nel programma emergono altre cose, potenzialmente molto interessanti, tra arte, musica, danza e performance.
Avremo modo di raccontarvi com’è andata. Ma quello che possiamo dire già, è che è con questi appuntamenti che Venezia torna una città “viva”, protagonista del dialogo culturale contemporaneo, anche al di là delle liturgie canoniche della Biennale (che il cielo ce la conservi a lungo). Perché una Venezia che diventa un mero turistodromo uso-e-getta sarebbe una sconfitta per tutti, e l’ennesima dimostrazione che l’Italia non ha la più pallida idea di come gestire e valorizzare in modo intelligente l’immenso patrimonio (di luoghi ed idee) che ha.