E’ possibile che un concept sia talmente bello e contestualizzato così bene da essere più forte dei singoli attori coinvolti nell’operazione? La risposta, passato un weekend a Venezia per la terza edizione di Set Up!, è: assolutamente sì. Lo si era capito fin dall’inizio, quando a fronte di una line up senza troppi scintillii “facili” si era arrivati al sold out molto prima dell’inizio della due giorni (con una rapidità ancora maggiore rispetto a due anni fa, quando i nomi di peso erano probabilmetne di più). Ma poi, una volta abbandonatisi al flusso andato in scena alla Punta della Dogana veneziana il 7 e l’8 febbraio, la conferma è arrivata ancora più chiara e nitida.
Venezia è strana. Venezia è complessa. Venezia è preziosa. Sulla preziosità, non serve nemmeno dilungarsi molto: è una delle città più belle, atipiche ed incredibili al mondo, se non la più bella, atipica, incredibile. Chi ci è stato almeno una volta, lo sa. Il problema è che questa sua atipicità ha varie declinazioni: da quella logistica, che può rendere più difficile organizzare le cose (o anche solo arrivare al luogo dell’evento e tornarsene, se abiti all’altro capo della città o sulla terraferma – mica ti puoi muovere autonomamente in macchina), a quella sociale, perché continua a non esserci chiaro come sia possibile che con tutti i turisti (ok) ma soprattutto con tutti gli studenti (soprattutto) Venezia di sera sia lettera morta, un corpaccione quasi del tutto inerte ostaggio dei suoi silenzi e delle sue calli deserte, con le uniche forme di vita che arrivano da qualche festa in case private. Ci sono state tane notturne storiche (il Paradiso Perduto ad esempio, che tra alti e bassi e cambi di gestione resiste in parte), ci sono state fiammate estemporanee (per lo più nella zona di Rialto o Santa Margherita, per una brevissima stagione perfino in Piazza San Marco), ma in generale se uno arriva a Venezia dopo le nove e mezza di sera trova una città vuota, chiusa, piena solo di personale locandiero che sta pulendo i tavoli per prepararsi alla chiusura. Dove diavolo sono, le persone? Dove diavolo sono gli abitanti, residenti o studenti che siano?
Domanda che diventa ancora più stringente, dopo un evento come Set Up!. Che – già lo avevamo notato nell’edizione scorsa – ha un pubblico bellissimo. Non solo numeroso, no, anche se già questo pare un miracolo: ma anche intergenerazionale, curioso, aperto, bello da vedere, preparato, educato, sorridente. Nel resto dell’anno, dove diavolo è questa gente? Possibile che esca solo poche volte all’anno, e non abbastanza in continuità invece per creare un circuito di loisir serale/notturno vivo e contemporaneo nella Serenissima? Chiaramente questa situazione amplifica i meriti del lavoro di Palazzo Grassi e di tutto il team di Set Up! nel creare quello che hanno creato, raggiungendo il pubblico che hanno raggiunto. Certo. Ma fa rabbia pensare che sia un’eccezione, e non la regola: rabbia che nasce dall’amore verso Venezia, una Venezia che non deve diventare un luna park aperto a giorni alterni per soli turisti più o meno di livello, ma che può salvare se stessa e la sua anima solo se torna ad essere “città” invece di continuare ineluttabilmente a svuotarsi, come demografia e come contenuti.
(Kelly Lee Owens in azione a Set Up! 2020, Punta della Dogana; continua sotto)
Si può fare. Si deve fare. Anche perché le cose, quando fatte a Venezia, diventano ancora più magiche. Persino Omar Souleyman, che allegramente piglia tutti per il culo da anni arrivando nelle date europee in assetto da piano bar, lui semi-imbalsamato e il tastierista pacioccone al fianco con tre quarti di basi preregistrate, una volta che lo ascolti a Venezia, in una location pazzesca che solo a Venezia puoi trovare con anche i sapori della storie e dei viaggi e dei commerci verso Oriente, assume più senso. Ma è sempre a Venezia che, più che da altri, parti che puoi proporre l’azzardo di Set Up!, ovvero il creare quasi solo “palchi orizzontali”, che creano un vero e proprio flusso più che una successione schematica e rigida di act; flusso in cui si mescolano musica, danza, rifrazioni politiche, provocazione, poesia, delicatezza, urla, sorrisi, vertigini, a Set Up! in soli due giorni abbiamo visto e vissuto tutto questo (o è sempre a Venezia che, anni fa, abbiamo assistito a una delle serate più incredibili e affascinanti della nostra vita, quando la Biennale Musica requisì l’intero palazzo del Conservatorio per fare decine di micro-concerti da inseguire piano per piano, stanza per stanza: come essere un po’ al Wilde Renate, un po’ nel Don Giovanni di Mozart). La magia di una città che vive sull’acqua, respira silenzi, si sviluppa in labirinti e si abbellisce con un’architettura unica, “trasuda” poi anche in quello che puoi fruire come spettatore.
Certo. Devi farlo bene. Perché ci sono i concerti farlocchi delle “Quattro stagioni” vivaldiane confezionate per turisti et similia, le parruccate; e poi invece c’è la reale cultura, l’avanguardia, l’innovazione, la competenza. E anche la capacità di saperla comunicare, come dicevamo già in sede di presentazione di Set Up!, e di “toccare” le corde giuste con le persone giuste. Quindi pazienza se Sama’ – su cui riponevamo molte aspettative – ha un po’ deluso, partendo con un dj set da calci-in-culo-techno-trance al luna park francamente mal calibrato; ma per lei che non ha “capito” il contesto, c’è Kelly Lee Owens che invece l’ha capito alla grande e suonato benissimo, le Greener Grass che sono state una deliziosa apertura di aereo pop polifonico, Moor Mother tra hip hop, apocalissi tascabili ed estenuato sarcasmo, soprattutto lo strepitoso gruppo MK che capitanato da Michele Di Stefano ha creato una performance di danza vertiginosa, ipnotica, capace davvero di rappresentare il caos e l’auto-generazione con soluzioni semplici ma efficacissime. Ätna hanno fatto il loro senza stupire, Awesome Tapes From Africa ha fatto il suo elettro-afro-rallegrando la sala, WOWAWIWA carinissimi nel loro hip hop acustico da buskers, Nora Chipaumire un po’ a metà del guado (molto mc per esser efficace come ballerina, troppo ballerina per essere efficace come mc).
Il punto è che il risultato finale è molto di più della somma degli elementi e delle singole performance. Esci fuori, dal weekend di Set Up!, con un senso di benessere, di stimolo sensoriale e di armonia. Perché tutti gli elementi concorrono a fare bene l’uno all’altro (il pubblico, la location, la città che ti circonda e seduce, gli artisti in scena), e il fatto che non ci sia stata – forse tolta Kelly Lee Owens e MK – qualcosa che veramente ti abbia rapito in modo entusiasmante è paradossalmente quasi meglio: perché in questa maniera invece di concentrarti solo sull’act in sé, hai potuto “vivere” il festival e il weekend nel suo insieme. Con anche la sensazione di aver vissuto una vera esperienza da clubbing, pur con pochissima musica da club: ovvero quel non so che di accogliente, innovativo, alternativo, speciale. I quattro pilastri con cui la club culture è diventata la forza che è, prima che prendessero il comando le grandi corporation, le isole baleariche, i plotoni di PR e smazzatori di riduzioni, i giga-festival. Che vanno benissimo, sia chiaro. Sono risorse e declinazioni potenzialmente fertili ed emozionanti pure quelle. Ma i pilastri originari non vanno dimenticati, no. Vanno tenuti in vita. Con intelligenza. Come andrebbe tenuta in vita con intelligenza, e non spirito bottegaio, Venezia.
Set Up!: ci vediamo alla prossima edizione, tra due anni. Ci contiamo.
Foto di Matteo De Fina