C’è ancora posto per il dubstep “classico”, nel 2013? Quasi tutti quelli che si sono fatti un nome quando le ritmiche spezzate e le bassate profonde hanno iniziato a farla da padrone ora si sono spostati verso altri lidi, in quello sconfinato calderone che chiamiamo, per l’appunto, “post-dubstep”: c’è chi si è messo a fare cose con la cassa in quattro ma con fortissimi richiami alla scena UK Garage, chi fa techno dai suoni cristallini e dalla violenza non indifferente, chi fa cose più simili al versante jungle/d’n’b della questione, chi addirittura è passato dall’essere uno degli alfieri del genere al mandare tutti a quel paese dicendo “ma a me che mi frega, io mi metto a suonare disco”.
In sostanza, un po’ tutti sembrano essere “andati avanti”, lasciandosi alle spalle delle sonorità che, per quanto fresche e rivoluzionarie, iniziavano a mostrare il fianco ai detrattori secondo i quali “in questa musica non succede niente” e “sì bello ma non ci si può ballare sopra”. Pinch, invece, rimane fedele alla sua linea, dimostrando una coerenza ammirevole, e unisce le forze con uno che di dub e affini ne sa giusto un tantinello, avendo collaborato, tra le altre cose, con Lee “Scratch” Perry nell’ottantasei e avendo remixato in chiave dub gente come i Depeche Mode, i Coldcut e i Primal Scream: Adrian Sherwood. Il risultato, come prevedibile, è un dubbone di quelli “vecchia scuola” nella prima delle due tracce, col basso lentissimo e profondissimo, il synth in levare che fa tanto Giamaica (e forse già il titolo poteva lasciarcelo intendere) e in generale un’atmosfera scura, fumosa e appiccicosa, rallentata, dilatata.
Il “Weed Psychosis Mix”, invece, la butta più sul percussivo e, forse per questo, suona un po’ più nuovo e meno canonico: le voci della versione originale lasciano il posto a incomprensibili rantoli meccanici e tutto quello che c’era di analogico e umano in precedenza si fa digitale e meccanico, rendendo il mood della traccia molto più angosciante e senza via d’uscita, al limite della psicosi (appunto).
In definitiva, un disco che farà sicuramente felici gli amanti del dub, del sound engineering spintissimo e delle atmosfere lente e cupe, siano esse rilassate o ricolme d’ansia.