Se c’è qualcuno nella scena techno che merita di essere definito un curatore più che semplicemente un produttore, quello è Juan Mendez. Meglio conosciuto come Silent Servant, ha sempre vissuto la musica con un approccio multidimensionale, dedicandosi con la stessa cura al suono e all’estetica visuale, non pensando mai l’uno come contorno dell’altro. Il suo esordio risale agli anni novanta – periodo in cui emerse nella scena minimal con il moniker Jasper e co-fondò Cytrax – ma lo si conosce soprattutto come uno dei fondatori di Sandwell District, insieme a Regis, Function e Female. La sua visione e la sua miscela sapiente di warehouse techno e sonorità eighties hanno poi dato vita all’ultimo progetto, Jealous God, piattaforma per un sound d’impronta EBM e post-industrial combinato ad un’iconografia assolutamente unica. Pur con un’interessantissima programmazione finale, Jealous God chiuderà i battenti: per tracciare il percorso dell’uomo che c’è dietro e provare ad immaginare il prossimo capitolo, abbiamo fatto qualche domanda a Mr. Mendez.
Vorrei iniziare dall’inizio del tuo percorso, ho letto che sei nato in America Centrale e poco dopo ti sei trasferito in California con la tua famiglia. Mi diresti com’è stato crescere a Los Angeles e vivere la città da ragazzo? Come pensi abbia influenzato la tua evoluzione personale e artistica?
Sono cresciuto a Orange County, nei sobborghi, e passavo il mio tempo in skateboard. Probabilmente è la stessa storia di tanta altra gente, la noia è sempre l’ingrediente base per la creatività e il desiderio di evasione.
Ricordi i primissimi contatti e le esperienze che hanno gettato le basi della tua identità musicale? Si trattava soprattutto di post-punk e new-wave? Quando ti sei sentito parte di una comunità musicale per la prima volta?
All’inizio i miei contatti furono principalmente con mio fratello e altri amici skater che erano dentro la scena death rock. Allora stavano venendo fuori delle ottime radio e c’era 120 Minutes su MTV. Questi sono stati gli spazi in cui ho assorbito e imparato davvero tanto sulla musica. Penso anche a vari magazine, NME, Trasher Mag, Spin, praticamente qualsiasi fonte di informazioni. Il liceo poi fu il primo posto in cui incontrai persone della mia età che amavano le stesse cose che amavo io. Fu lì che trovai per la prima volta un senso di comunità. Parlo di new wave e di ciò che all’epoca chiamavamo alternative music: comprendeva qualsiasi cosa che andasse dai Cure agli Smiths e tutta la prima ondata dello shoegaze. Mi dimentico sempre di dire quanto tutto questo sia stato importante per me. I My Bloody Valentine mi hanno cambiato la vita.
Quando sei entrato in contatto con l’elettronica per la prima volta? Hai incontrato una sorta di mentore o è stata piuttosto una scoperta personale? Quando hai iniziato a comprare dischi e mixarli?
Ancora una volta MTV, lì ho sentito Aphex Twin per la prima volta, fu con il video di “On“. Era l’epoca dei rave e delle crew che diedero il via a quel movimento. Conobbi un ragazzo, Markus Miller, che mi insegnò a suonare e mi introdusse nel mondo della techno e della musica sperimentale. In quel periodo iniziai a cercare dischi con più assiduità. Avevo più o meno 16-17 anni: avevo iniziato a comprare dischi già prima di allora ma avvicinandomi al djing me ne servivano sempre di nuovi.
Come venne percepito in California il fenomeno techno in arrivo da Detroit e Berlino? Ci fu una certa risonanza lì?
In realtà non ci fu praticamente alcuna risonanza, perlomeno tra la stragrande maggioranza della gente che frequentavo all’epoca. Markus Miller mi presentò delle persone che in quel periodo lavoravano per Planet E a Los Angeles: furono loro a darmi i primi dischi di vera Detroit techno e tra l’altro mi fecero scoprire Submerge. Iniziai a comprare tutto quello che potevo: Metroplex, KMS, Transmat, Red Planet, UR, Chain Reaction, Basic Channel, M-series (Maurizio).
Vorrei chiederti qual è la tua percezione da “insider” della scena underground a Los Angeles: sembra che dietro il cliché ci sia qualcosa di vero e vibrante, come se il volto più superficiale della città, tutto sole e ostentazione di benessere, nascondesse una rete di persone realmente accomunate da una passione e da una certa visione delle cose.
Credo che oggi ci sia una scena “di superficie” in qualunque città ma alla fine la gente trova quello di cui ha bisogno. Los Angeles ha molto da offrire, basta trovarlo.
Recentemente l’Atonal ha ospitato uno showcase di Jealous God. Prima di chiederti dello show, mi piacerebbe sapere come percepisci la scena berlinese. Credi che tutto quello che va sotto il nome di “underground” stia in realtà diventando un cliché lì? In qualche modo l’esatto contrario di quello che supponevo poco fa per LA…
In fondo quello che dai ti torna indietro, se ti prendi cura di qualcosa fai in modo che duri. Berlino fa questo secondo me. La techno è così indissolubilmente parte della cultura della città che va incontro a cicli, come ogni altra cosa, ha alti e bassi ma si rigenera sempre. Mi auguro che si possa imparare dagli errori, io so di aver imparato dai miei.
Tornando allo showcase, come lo hai curato? È stato pensato per suggellare la fine dell’etichetta? Sono curiosa soprattutto del titolo [Optimistic Decay], un altro ossimoro dopo ‘Negative Fascination‘: sembra tu sia affascinato dai contrasti interni, è vero? Pensi che stiamo vivendo una decadenza e se sì, in che modo sarebbe ottimistica?
Optimistic Decay, il ciclo della rigenerazione. Lasciare che le cose muoiano perché possano rigenerarsi in nuove forme. La vecchia guardia che lascia il posto alla nuova.
Jealous God è giunta al termine. Sentivi che stesse raggiungendo il suo culmine? Tutti i tuoi progetti, inclusa Sandwell District, sono stati tutto meno che “allungati”: pensi che non si debba far durare le cose troppo a lungo per preservarne l’identità o è semplicemente andata così?
Penso di sì, almeno per quanto riguarda me. Si tratta sempre del mio personalissimo modo di vedere e vivere le cose. Le idee forti rischiano di diventare una parodia di se stesse dopo un po’. Poi dipende, ci sono cose che possono continuare in eterno, probabilmente ho solo la sensazione di non aver raggiunto questo traguardo. Ma oggi qualunque cosa è praticamente resa immortale nel digital web, nel bene e nel male.
Jealous God ha pubblicato grande musica in una cornice estetica assolutamente unica. Non piacerà a tutti ma di certo c’è un’estrema cura del dettaglio che rende ogni disco un’opera d’arte. Dove trai ispirazione per questo immaginario? Dove nascono e cosa rappresentano gli elementi religiosi e l’accostamento di sacro e profano?
Chiunque trova ciò che cerca in quello che vede, l’osservatore completa l’immagine in modo determinante. Il punto fondamentale per me è stato mostrare elementi provenienti da un contesto completamente diverso: elimina il contesto, il condizionamento e allora sì, ognuno può creare la “propria” immagine.
A proposito di Sandwell District, puoi dirmi come nacque? E soprattutto, eravate consapevoli del ruolo cruciale della label nel dar forma alla techno di oggi mentre la portavate avanti? Sandwell District ha dettato legge, il suo sound e il suo impatto visivo (di cui sei ideatore) sono diventati standard di produzione: sentivate che stesse accadendo?
Non era previsto. Volevamo solo fare qualcosa che ci piacesse, che ci facesse sentire soddisfatti e in cui credessimo tutti. Quando le cose hanno iniziato a non funzionare più, ci siamo fermati…
La tua musica percorre il confine tra la techno e altri generi non nati per il dancefloor, come l’EBM, l’industrial, la new-wave e il post-punk. I tuoi set spesso propongono queste sonorità al pubblico dei club e hai sicuramente giocato un ruolo nella “riscoperta” di questi generi e nel presentarli ad una generazione più giovane. Ti senti mai un “educatore”? Come interpreti questa mania per le ristampe e il successo di etichette come Minimal Wave, Dark Entries, Acute o Mannequin?
Che sia musica recente o roba più “datata”, essenzialmente continuo ad essere entusiasta e appassionato. Se riesco a trasmettere a qualcuno anche solo un po’ di quello che sento, allora posso dirmi soddisfatto, l’obiettivo è raggiunto. Tutte le etichette che hai nominato hanno istruito me, quindi il cerchio si chiude. Minimal-Electronik Plus, lo show che Veronica [Vasicka] teneva [su East Village Radio], mi ha insegnato davvero tanto. Adesso la maggior parte di queste persone sono amici e quello che ho capito è che in fondo siamo tutti accomunati dall’entusiasmo per la musica: ha dato e dà forma e sostanza alle nostre vite, e in qualche caso posso dire le abbia anche salvate.
Un’ultima domanda su un disco che mi piace molto, l’EP “Violence And Divinity” che hai prodotto con Broken English Club per Cititrax. Adoro J. G. Ballard e appena ho visto la copertina di quel disco ho pensato subito al suo libro ‘La Mostra delle Atrocità’ e alla relazione tra come i mass-media rappresentino la violenza, il sesso e le superstar e come questo influenzi il subconscio collettivo. Sto andando troppo lontano o sei davvero interessato a questo tipo di temi e a svilupparli nei tuoi lavori?
No, quell’influenza è sicuramente presente, consciamente e inconsciamente… Quell’uscita è un lavoro principalmente di Oliver [Ho] e Veronica [Vasicka].
English Version
If there’s someone in the techno industry who deserves to be called a curator rather than simply a producer, that is Juan Mendez. Best known as Silent Servant, he has always approached music with a multidimensional take, equally caring about sound and visual aesthetics, never conceiving one as the side dish of the other. His debut dates back to the 90s – when he released minimal techno under the moniker of Jasper and co-founded Cytrax – but his name was brought to fame as one of the founders of Sandwell District, that he ran along with Regis, Function and Female. His vision and his wise mixture of warehouse techno and eighties sounds have then shaped his latest endeavor, the Jealous God label that has been an outlet for postindustrial and EBM-influenced music matched with a distinctive iconography. Even if with an impressive final schedule of releases, Jealous God is now set to close: trying to trace the path of the man behind it and maybe imagine the next chapter, we asked Mr. Mendez a few questions.
I’d like to start from the very beginning of your path. I’ve read you were born in Central America and then moved to California with your family at a very young age. Can you tell me about growing up in Los Angeles? What was it like to experience the city as a kid and how do you think it affected your personal and artistic development?
I grew up in the suburbs of Orange County. Skateboarding. Probably the same story that a lot of people have. Boredom is the classic ingredient for creativity and escapism.
Going further, can you recall some very early contacts and experiences that put the basis of your musical identity? Was it primarily about post-punk, new-wave stuff? When did you first feel part of a music community?
Mainly my brother and some of death rock skater friends early on. We also had great radio growing up and 120 Minutes on MTV. Those were the places I manly learned a lot about music. Also NME, Thrasher Mag, Spin. Really anywhere I could find info. High school was the first place I found people of my own age who were into the same stuff and found the first sense of community. New wave and what we called alternative music at the time. That included anything from the The Cure, The Smiths and the first wave of shoegaze stuff. I always forget to mention how important that was for me. My Bloody Valentine changed my life.
When did you first come in contact with electronic dance music? Did you meet some kind of guide or was it more a personal discovery? When did you start buying records and DJing?
Again MTV was the first place I heard Aphex Twin, It was the video for “On“. Raves and party crews were quite the thing at that time. I met a guy named Markus Miller. He showed me how to dj, introduced me to proper techno and experimental music. I started buying records at that time, a bit more at this time. I was about 16-17: I was already buying records but got interested more in djing so I needed more records.
How was the whole Detroit and Berlin techno thing perceived in California? Did it have some kind of resonance there?
It really did not have any resonance, at least with most people I knew at the time. Markus Miller introduced me to some people who were working for Planet E in LA at the time and they gave me my first proper Detroit records and they also clued me onto Submerge. I started buying everything I could: Metroplex, KMS, Transmat, Red Planet, UR, Chain Reaction, Basic Channel, M-series (Maurizio).
I’m really curious about the current underground scene in Los Angeles, it’s like there’s something real behind the cliché. The sunny, fancy, somehow fake surface of the city covers a network of like-minded people, doesn’t it? What is your insider’s view?
There is a surface party scene in every city at this point. People find what they need. LA has a lot to offer, you just have to find it.
A Jealous God showcase has recently been hosted at Berlin Atonal. Before asking you about the show, I’d like to know how you perceive the Berlin scene. Is it like the ‘underground’ thing is kind of becoming a cliché over there? Somehow oppositely to what I supposed before about LA…
Again you get what you give, if you take care of something it can last. Berlin does that i think. Techno is so embedded in the culture that it cycles. It has high points and low points but always cycles. Hopefully we learn from our mistakes. I know I certainly have.
Getting back to the showcase, how did you curate it? Was it conceived to seal the end of the label you announced? I’m particularly curious about the title [Optimistic Decay], I noticed it’s another oxymoron after ‘Negative Fascination‘, looks like you’re fascinated by inner contrasts, is it right? Do you think we’re living a decay and, if so, how would it be optimistic?
Optimistic decay. The cycle of regeneration. Letting things die so they can regenerate in some new form. Old Guard hands off to the new Guard.
So Jealous God has come to an end. Did you feel like it was going to reach its peak? All your projects, Sandwell District among them, have been everything but diluted: do you think that everything must not last too long to preserve its identity or is it more an occurrence?
I think so, at least for me. Again this is my personal take on things. Heavy ideas can become a parody of them selves after a while. It depends, some things can be timeless and continue, I guess I just feel I have not achieved that. But everything kinda lives on at this point immortalized in the digital web, good or bad.
Jealous God has provided amazing music in an unique aesthetic frame. It might be not for everyone but there’s an extreme care for details that makes every record an art piece. Can you tell me where you take inspiration for this imagery? What’s the source and the meaning of the religious element and the sacred-profane symbolism?
You take what you want from what you see, viewer completes the image. The main point was to show things from a different context. Strip away context and you can create your own image.
I’d like to ask you about Sandwell District. Can you tell me how it was born? And more than anything, were you actually aware of the crucial role of the label in shaping modern techno while you were running it? I mean, Sandwell District set the norm, its sound and its visual aesthetic (for which you are responsible) became production standards, did you feel this was happening?
This was not planned. We just wanted to do something that we felt good about and that we believed in. When it got weird we stopped…
Your music walks the line between techno and not-strictly-for-club genres, such as EBM, industrial, new wave and post-punk stuff. Your sets often present those sounds to a dancefloor audience and you have certainly been playing a role in ‘rediscovering’ that kind of stuff and presenting it to a younger generation. Do you ever feel an ‘educator’? How do you interpret this reissue enthusiasm and the success of labels like Minimal Wave, Dark Entries, Acute, Mannequin?
Basically I continue to be excited about new stuff and old stuff. If I can give even just a bit of that feeling to someone then the job is done. All the labels you mentioned above have educated me so there is a full cycle. Minimal-Electronik Plus, which was Veronica’s [Vasicka] radio show [on East Village Radio], it taught me so much. I am now friends with most of these people and the thing I realized is that we are all generally excited about music. It has shaped our lives, and in some instances saved them.
One last question about a record I really like, the ‘Violence And Divinity‘ EP you made with Broken English Club for Cititrax. I’m a huge fan of the work of J. G. Ballard and looking at the cover I immediately recalled his book ‘The Atrocity Exhibition’ and the relationship between how violence, sex and superstars are represented by mass-media and how it affects collective subconscious. Am I going too far or are you really interested in this kind of themes and developing them in your work?
No, the influence is definitely there in a conscious and unconscious way… That release was mainly all Oliver [Ho] and Veronica [Vasicka].