Come si valuta la bontà di un festival? Questa domanda ricorre spesso nella testa degli addetti ai lavori e di chi scrive di musica, ma crediamo che valga lo stesso anche per il pubblico che frequenta, più o meno assiduamente, le rassegne sonore in giro per l’Italia e fuori confine. Per chi scrive la risposta sta sopratutto nell’aria che si respira durante le esibizioni, quel sentimento di spensieratezza festosa – i romani la chiamerebbero “presa bene” – che rende l’ambiente stimolante e fa apprezzare ancora di più gli artisti in cartellone. Naturalmente, il calendario artistico conta, eccome, però non sempre la line-up dei sogni è sinonimo di buona riuscita; non basta essere perfetti sulla carta, sopratutto perché la bellezza di un festival sta pure nella possibilità di intercettare, in modo più o meno conscio, nomi nuovi o artisti su cui si nutrivano dei dubbi – l’esibizione dal vivo può limare i pregiudizi o anche abbattere preconcetti di sorta e quando succede è una vittoria, senza se e senza ma.
Ecco, da questo punto di vista il Siren Festival teme pochi confronti, non solo in terra italiana. Certo, si tratta di una realtà medio-piccola, seppur in crescita costante – quest’anno, quarta edizione, abbiamo stimato una presenza complessiva di circa quindicimila partecipanti – però la combinazione tra l’atmosfera generale (Vasto città e suoi palchi da cui si respira aria il mare e la controparte in spiaggia “Siren Beach” sempre più integrata nella proposta della quattro giorni festivaliera), la qualità delle esibizioni (è stata alta e ce n’era per tutti i gusti) e la macchina organizzativa ben rodata (nonostante i maggiori controlli dopo i fatti di Torino era comunque possibile saltare da un palco all’altro senza troppe difficoltà; volumi sempre perfetti; nessuna nota stonata legata alla cosiddetta logistica festivaliera) rende l’offerta gustosissima.
Nel recente passato vi abbiamo parlato di festa e di scommessa vinta ma per dell’edizione 2017 non si può non raccontare sopratutto di un ventaglio incredibilmente allargato di suoni, ancora di più che in passato: pop, indie, elettronica da ascolto e da club, hip-hop e cumbia in un unico festival che rimane, comunque, credibile e fedele a sé stesso. Tutto ciò è specchio della contemporaneità, verrebbe da pensare, eppure non è scontato puntare in tale misura all’abbattimento degli steccati tra generi e ricevere indietro dal pubblico un riscontro così positivo.
Fatte queste lunghe premesse, a cui tenevamo in modo particolare, vi diciamo che i nomi più “nostri” non hanno tradito le aspettative: Cortile d’Avalos pieno come non si era mai visto per Apparat che, nei panni del dj, è una garanzia di intrattenimento intelligente – un set magari didascalico sulla musica contemporanea più o meno elettronica, con la proposta di pezzi di Aphex Twin; The Knife; Radiohead e naturalmente Moderat, ma tutto così bene a fuoco che è impossibile lamentarsi; i Cabaret Voltaire, ormai da tempo in mano al solo Richard H. Kirk, hanno stupito con un collage sonoro rumoroso quanto seducente, riuscendo a modernizzare una formula storica senza renderla una caricatura di quello che fu grazie anche agli ottimi visual (spalmati su tre schermi) dal forte contenuto politico; Trentemøller accompagnato dalla sua band ha trovato una quadra perfetta tra il suono degli anni ’80 e quello della modernità – il suo show rimane uno dei migliori dell’intera rassegna, sempre in bilico tra elettronica suonata e deviazioni pericolose verso il rock; Populous (menzione d’onore per il produttore leccese) ha fatto ballare tutti con il suo ultimo album “Azulejos” inframmezzato da remix (compreso un edit di Brothersport degli Animal Collective che andrebbe pubblicato seduta stante) e pezzi della sua discografia recente – al clou c’è stato anche un trenino in mezzo alla folla al ritmo di cumbia elettronica; Daniel Miller con il suo set techno-oriented scurissimo che ha trasformato il Cortile D’Avalos in un club londinese (sarà rimasto deluso chi si aspettava da lui una selezione sonora con maggiori sfumature, ma chi ha familiarità con il Daniel Miller dj sa che questo è il suo territorio prediletto).
Poi, sul frangente più d’ascolto, ci sono state alcune graditissime sorprese: dopo la nostra lecture dedicata al trentennale dei Casino Royale con un Alioscia in grande spolvero, è arrivato il momento di Emidio Clementi e Corrado Nuccini – i Quattro Quartetti di T.S. Elliot reinterpretati con maestria dal duo, per uno spettacolo perfetto nella cornice dei Giardini D’Avalos; Ghostpoet con la band che ha presentato in anteprima il suo disco di prossima uscita “Dark Days + Canapés” proponendo un’esibizione di classe tra spoken word e trip-hop; gli Arab Strap in formissima anche dopo dieci anni dalla separazione, e che hanno proposto una sorta di greatest hits della loro discografia compreso il gran finale di The First Big Weekend (l’unica hit che abbiano mai avuto, l’unico brano di cui Aidan Moffat legge il testo da un foglio); grande sorpresa Andrea Laszlo De Simone e band che sembravano essere stati teletrasportati in Abruzzo direttamente dagli anni ’70 – da molto tempo non assistevamo ad un concerto così psichedelico e genuinamente folle, con i membri del gruppo tutti in costume da bagno, e i brani di “Uomo Donna” riproposti in chiave più tirata ed elettrica. Discorso simile per il power-trio (sezione ritmica da sballo) che fa capo a Giorgio Poi, sempre più sospeso tra Battisti e i Tame Impala. L’impianto di Porta San Pietro non ha mai suonato così bene.
Abbiamo lasciato da parte tre nomi caldi attorno ai quali ci sono stati parecchi occhi puntati: Ghali che dal vivo riesce sempre a creare l’effetto “messa cantata” da un pubblico composto non solo da giovanissimi – c’era tutta la sua fanbase, ma il colpo d’occhio sulla folla mostrava anche tanti genitori con in braccio i figli che ondeggiavano al ritmo della musica, un’immagine bella e (purtroppo) insolita, che ricorderemo – per uno show con dj che metteva le basi comprensive della voce in autotune del rapper, che Ghali doppiava con voce naturale, salvo tirare giù il volume e far cantare solo la platea – in altri tempi uno show del genere sarebbe finito con il lancio della frutta, invece nel 2017 sembra funzionare, e anche bene; i romani Carl Brave x Franco 126 che sono saliti sul palco chiedendo “due vodkini” alla regia, ricevendo una boccia intera bevuta a canna durante un’esibizione che ha convinto appieno – ok l’effetto generale era “da sfascio” con l’autotune delle voci che rimaneva acceso per sbaglio anche quando i ragazzi semplicemente salutavano la platea, ma nulla da eccepire sulla musica, con una band di supporto basso-chitarra-batteria-sax solida, il flow del duo efficace e i pezzi dell’album di debutto “Polaroid” che funzionano e coinvolgono – nulla di rivoluzionario ma il loro hip-hop spiegato a chi ama l’indie è fresco e godibile; la giovanissima musicista israeliana Noga Erez che ha una voce bellissima e i suoni giusti – un misto di trap, wonky e soluzioni arty – oltre che una presenza sul palco già invidiabile, è stata la vera sorpresa delle sorprese (tenetela d’occhio, noi ve l’abbiamo detto).
Il finale perfetto è stato proposto in spiaggia nella giornata di domenica dal supergruppo composto da Davide Toffolo (Tre Allegri Ragazzi Mori), Stefano Iascone e David Kit Ramos (Cacao Menatl), Frannn, Eleonora e Claudia (Los3Saltos) e FiloQ (Malagiunta) ovvero l’Istituto Italiano di Cumbia All Stars con i suoni della cumbia – di per sé genere meticcio – che diventano ancora più cosmopoliti grazie ai musicisti-multistrumentisti coinvolti che hanno ammiccato alle sonorità sudamericane, europee ed africane. Ottimo contraltare di quello che, invece, alla stessa ora stava succedendo in paese, con il concerto di Jens Lekman in una chiesa di Maria Santissima del Carmine gremitissima. Il songwriter svedese, probabilmente uno dei migliori scrittori di testi della sua generazione, si è esibito accompagnato solo dalla chitarra acustica e una drum machine, ma è stato divertente vedere il contrasto tra la sacralità del logo scelto per il concerto e la sua ironica timidezza.
La bellezza del Siren Festival passa proprio per i momenti del genere, come i set acustici in spiaggia che hanno accompagnato i bagni a mare di venerdì e sabato pomeriggio e che hanno trasportato i vari Andrea Laszlo De Simone, Colombre e Gomma (tra gli altri), in una dimensione diversa da quella che poi si è vista sul palco di Porta San Pietro. Oppure i dj set festaioli del “nostro” Alioscia e dei Demonology Hi.Fi di Max Casacci e Ninja dei Subsonica, o i live a sorpresa sul balcone della piazza.
Tutti imprevisti-previsti che hanno reso l’esperienza vastese ancora più particolare.
All’anno prossimo, quindi, Siren Festival, non smettere di essere coraggioso!