Skream è uno di noi, ma non è uno come gli altri.
È uno di noi perché anche se ha avuto non una ma praticamente due carriere che qualunque dj alle prime armi si sognerebbe, il modo in cui gli si illuminano gli occhi quando ti dice “I’m a raver” o quando ti parla di musica è lo stesso nostro, quello di uno che è così appassionato di quello che fa che non avrebbe davvero mai potuto fare altro che il dj.
Non è uno come gli altri, però, perché ha qualcosa che in pochissimi al mondo hanno: una conoscenza musicale sterminata, inevitabile per uno che ha passato gli ultimi vent’anni dentro negozi di dischi e il talento per scegliere, tra tutti quelli del suo repertorio, il disco giusto per ciascun momento.
È uno di noi anche perché la sua non è un’intervista come le altre, con le domande e le risposte: l’entusiasmo con cui parla a ruota libera di qualunque cosa, seguendo il proprio personalissimo flusso di coscienza, è quello che abbiamo visto mille altre volte tra le persone abituate a seguire la musica, a essere “quello strano nella stanza” che si entusiasma di più per aver scoperto un disco nuovo, o per aver sentito un disco conosciuto in un contesto inaspettato, che per qualunque altra cosa.
Non è uno come gli altri perché se vuoi sentirlo al meglio devi dedicargli tempo: nei set da un’ora scarsa dei festival estivi non rende quanto potrebbe, ed è forse anche per questo che ha deciso di fare un tour, intitolato “Open To Close”, in cui si prende tutta la serata di un club, dall’apertura alla chiusura, per dare sfogo a tutto l’eclettismo che lo rende un dj imperdibile per chi è disposto a seguirlo.
Allora, iniziamo prima di tutto parlando del tuo nuovo tour, “Open To Close”: perché questo concept, perché adesso, insomma, raccontami.
È un’idea che mi è venuta in origine andando a suonare in America: è tanto che vado a suonare là, fin da quando suonavo dubstep, ma a un certo punto nessuno aveva idea di cosa avrei suonato, tipo che c’era gente che era sicurissima che avrei suonato disco e sai, amo la disco, ho suonato disco, però i dj prima di me suonavano in base a quello che pensavano avrei suonato, e…non c’entrava niente, col risultato che non aiutava affatto a costruire la vibe per quello che sarebbe succcesso dopo.
Lo sai anche tu, sei un raver, è tutta questione di dinamica, di saliscendi, e se il dj prima di me suona questa merda super aggressiva, “future house” credo la chiamino, beh…hai presente no? Ho detto al mio agente che volevo suonare tutta la notte, volevo fare io il mio stesso warm up, voglio decidere io dove portare la gente.
Chiaro, è una questione di avere tu il controllo di tutto il party.
Esatto, e poi aggiungi che suonare in America non è per niente come suonare in Europa: la cosa assurda è che in America i ragazzi non avevano mai visto nessuno suonare più di un’ora! Ok, salvo forse nei posti storici tipo Chicago o Detroit. E io invece ho così tanta musica da suonare, ho iniziato a lavorare in un negozio di dischi che avevo undici anni, c’è così tanta musica che mi piace che preferisco fare set più lunghi. Tra l’altro mi sento un po’ in colpa, perché in effetti stasera non suono tutta la sera (suonerà dalle 2 alle 5, ndr).
Già, io ci speravo di sentirti fare apertura, ero curiosissimo sai? Ti ho visto fare sia set lunghi che set da un’ora, e non ti nascondo che a me sono piaciuti molto di più i primi, credo che tu sia assolutamente uno da set lunghi.
“I’m a music player”! Sono ancora il ragazzo del negozio di dischi, alla fine, e mi piace, mi piace un sacco: io stesso preferisco fare set lunghi, è per questo che ho avuto l’idea per questo tour. Soprattutto dopo l’estate, in cui ci sono i festival, magari ho gli slot nel peaktime, ho solo novanta minuti e praticamente appena iniziato, “aaaah”, passa un minuto e ed è subito finito tutto. A me invece piace la dinamica, il creare un discorso, suonare qualcosa di molto forte e poi invece fare un passo indietro…alla fine lo vedi tu stesso, sono un raver! È solo questa, in fondo, l’idea alla base di tutto il tour.
Ci sta, capisco quanto possa essere noioso per un appassionato di musica dover fare set corti.
Mah, sai, non direi proprio noioso…è comunque un periodo dell’anno, l’estate, in cui va così, è…non è neanche un problema solo di quando sei headliner, è proprio che non fa alcuna differenza chi suoni prima o dopo di te, sali sul palco, hai un’ora e bam! devi fare il tuo. È qualcosa che non mi piace neanche ascoltare, in fondo, perché fa sì che i tuoi set diventino prevedibili. A me invece piace suonare magari qualcosa di assurdo, e poi subito dopo affiancarci qualcosa che la gente conosca. Ho questa nuova regola che mi sono dato, suono una traccia che sai che tutti conoscono, o che sai per certo che avrà un impatto forte sulla pista, e subito dopo invece suono qualcosa che funzioni su di me, che mi intrighi. Uno ciascuno. Fa in modo che la gente si fidi di te.
Figo! È anche un modo per sfidare, in un certo senso, sia il pubblico che te stesso, per metterli e metterti alla prova.
Esatto, e credo sia anche una questione di essere onesti con se’ stessi e con loro. Credo sia facilissimo non essere onesti, ormai è abbastanza facile sapere cosa va di moda e andare sul sicuro, suonare della techouse che sai che piacerà a tutti.
Mi hai fatto venire in mente una frase che ho letto una volta, in un’intervista a Satoshi Tomiie, in cui lui dice che fare il dj è una questione di trovare il giusto equilibrio tra l’intrattenimento e l’educazione del pubblico.
È verissimo, ed è una cosa che è cambiata molto ultimamente, perché…non voglio fare sempre quello che parla male dell’America, però…i dj sono, o almeno erano, persone che sembrano un po’ strane agli occhi del mondo reale, sai tipo a scuola tutti sono appassionati di sport, o di macchine, e a te invece non frega niente di tutto ciò, ti piace la musica e basta. Credo che negli ultimi tempi però il mercato sia dominato da persone che sono più dei performers che dei veri cazzo di DJ, che non pensano a vestirsi bene ma ai dischi, a mettere dei dischi che non hai mai sentito, o che magari hai già sentito!
Ma in un momento in cui non te lo saresti aspettato.
Esatto! Sta tutto nel timing. Arrivo giusto da un party a Glasgow, ieri, in cui ho suonato con Jackmaster, e lui è un maestro del timing. Io lo chiamo Jackie Sequencer, perché le sue scelte di tempo sono impeccabili, sceglie sempre il disco perfetto per quel momento.
C’è stato un momento però, nella tua carriera, quando eri all’apice della popolarità coi Magnetic Man, in cui avevi la possibilità di diventare uno di quei performer, di quelli che non suonano altro che quello che la gente si aspetta da loro, eppure non l’hai fatto.
Siamo stati in tour con l’album dei Magnetic Man per tre anni, e non mi è piaciuto per niente. Ho sempre cercato di fare musica nuova a un ritmo molto rapido, perché altrimenti mi annoio, e stare in tour me lo impediva. Poi ok, la vita cambia, soprattutto quando hai un figlio.
Però, io capisco il motivo per cui tu abbia deciso di abbandonare il progetto Magnetic Man e di tornare al djing, che è fondamentalmente quello che ci siamo detti finora, ma immagino che tu abbia ricevuto diverse critiche per questo.
Sì, ma da gente che non capisce niente! Da una nuova generazione di….non voglio nemmeno chiamarli “fans”.
Che probabilmente è la stessa gente che si lamenta e pretende che tu suoni ancora solo dubstep.
Per fortuna non succede quasi più, perché…ho veramente detto “nuova generazione”? Oddio, odio questa parola! Comunque, in quel periodo i Modeselektor, che sono miei cari amici da tanto tempo, sapevano che mi piaceva anche la techno, e avevano un party con anche gli Autechre e Four Tet e mi hanno chiesto “Oli, ce lo fai un set techno?”
E come fai a dirgli di no?
Infatti, ma ero terrorizzato! Cioè, era il 2011, Skream che fa un set techno era una cosa mai sentita…ok, so di avere le tracce giuste, non voglio sembrare arrogante, ma ascolto un sacco di musica, ho prodotto cose con delle band, però sai com’è…all’inizio mi hanno chiesto di fare chiusura, dopo gli Autechre, e la mia prima reazione è stata “no no no no no no no no…..la chiusura la può fare Four Tet. Io vengo, posso farcela a suonare, ma fatemi suonare presto”. E ho suonato, e mi sono divertito un sacco! In quel periodo stavo lavorando con Boddika, sai Boddika, no? Lui aveva appena concluso la sua esperienza con gli Instra:mental, ha saputo che avrei suonato a questo party e mi ha dato delle tracce che…..”Yeeeeeeah!” E mi ha ridato l’entusiasmo in un momento in cui ero piuttosto annoiato da quello che facevo, sentivo di non essere più me stesso.
Sei uno che si annoia facilmente?
In realtà non tanto…vediamo se riesco a dirtelo senza suonare cheesy, ma amo quello che faccio, e nel momento in cui inizio a percepirlo come un lavoro, faccio qualcos’altro, non ho mai iniziato niente con l’intento preciso di fare dei soldi. Quando ho smesso di suonare dubstep c’era gente che diceva che l’avessi fatto per soldi, e in realtà facevo delle date gratis! Per Jamie Jones, ad esempio…solo perché avevo voglia di suonare. Sono in un momento della mia vita in cui ok, i soldi servono sempre, ma quello che mi interessa è essere ancora qui tra quindici, vent’anni. Insomma in quel periodo ho fatto un set per il Warehouse Project, che poi è stato pubblicato online ed è stato votato tra i migliori mix dell’anno, e praticamente ho trovato di nuovo la passione che avevo un po’ perso, e mi è tornata la voglia di chiudermi in studio e di andare in giro a suonare. Voglio chiarire questa cosa perché in tanti pensano che cerchi un po’ di nascondere il mio passato, ma è esattamente il contrario: ne sono orgoglioso, voglio dire, ho inventato un genere! Però ho bisogno di tenermi sempre sul chi vive, di tenere vivo il mio entusiasmo, la passione, il fuoco, e invece è pieno di idioti – idioti! – online che pensano sia una questione di soldi, quando, se avessi continuato a fare quello che facevo e a prendere la quantità spropositata di soldi che prendevo, a quest’ora sarei un cazzo di multimilionario! Ma non me ne frega niente – o meglio – mi interessa, soprattutto adesso che ho un figlio, se non avessi un figlio sarei tipo un cazzo di hippie che vive libero nella giungla. Alla fine, però, quello che mi interessa più di tutto è Skream, non c’è nessuna differenza ormai tra Skream e Oliver: sono sotto gli occhi del pubblico da quando avevo quattordici anni e sono orgoglioso di praticamente tutto quello che ho fatto come persona, sono orgoglioso di come sono. Non mi piace la musica di merda, è questo il punto, e la musica che suonavo quando ho deciso di cambiare genere era…beh, la produzione era eccellente, ok, ma le tracce in sé, beh ecco…e mi sono detto “questo non sono io” e sono entrato in questo mondo tutto nuovo. Mi considero molto fortunato, perché fondamentalmente ho iniziato due carriere diverse, due vite diverse, ho potuto iniziare di nuovo, ed è la parte migliore, mi piace un sacco.
Ti capisco, e probabilmente è così bello perché hai la sensazione di imparare un sacco di cose nuove, ed è qualcosa che dà un sacco di soddisfazione.
Sì, ma non solo. Ad esempio, Seth Troxler, è un mio caro amico, lo conosco da molti anni e mi diverto un sacco con lui, adoro suonare back to back con lui, e quando suoniamo insieme, tipo un paio di settimane fa, capita spesso che magari suono qualcosa che la gente non si aspetta, e vengono da me a chiedermi cosa sia che sto suonando: mi piace, non direi proprio impressionare chi mi ascolta, ma mi piace intrattenerli, incuriosirli. Se mi vedi suonare a un afterparty ti rendi conto che sono un intrattenitore, certo, ma conosco anche bene i dischi. Voglio dire, spesso mi vedono principalmente come un produttore, ma ci si dimentica che compro dischi da quando avevo undici anni e ora ne ho trenta, quindi…qualche traccia da suonare ce l’ho.
Cosa compravi quando avevi undici anni, a proposito?
Garage. House e garage. Quando ho smesso di suonare dubstep e mi dicevano che avevo scoperto la house, in realtà sono tornato a fare quello che facevo quando a scuola facevo i mixtape per le ragazze, per salire in macchina con loro, sai quando hai sedici anni e inizi ad avere gli amici con la macchina, io ero quello che “ho questo cd, mettilo su”. Quindi, tutti quelli che mi conoscevano da molto non sono stati per niente sorpresi, mentre altri, più ignoranti…per dirti, è assurdo da raccontare, ma c’erano articoli sulla stampa inglese che dicevano “Skream dice”, e cito letteralmente, “che la dubstep è morta”, e io pensavo “ma che cazzo? Vaffanculo, è sangue del mio sangue, ci ho messo tutto il cuore e l’anima, che cazzo dici?” È come dire che ti piace solo un tipo di bistecca, a nessuno piace solo un tipo di bistecca, e se sei così, sei strano.
A proposito, come curiosità personale visto che sto per diventare padre anch’io, mi dicevi che hai un bambino: diventare padre ha cambiato qualcosa nel tuo gusto musicale o nel tuo approccio alla musica?
No, no, per niente…l’unica cosa che cambia è che ti fa vedere tutto sotto una prospettiva diversa. Le cose che ti stressavano prima smettono di essere problemi, sai tipo una volta se non trovavo qualcosa in casa mi incazzavo, adesso invece chi se ne frega! Musicalmente non ha cambiato niente, ma ti cambia un sacco mentalmente, ti mostra cos’è davvero importante e cosa no, di cosa ha senso veramente preoccuparsi e di cosa no.
Il che probabilmente è d’aiuto quando su Internet è pieno di gente che ti urla di tutto perché non suoni più dubstep.
Sì, vedi, il mio problema è che io sono della generazione di Internet. I social media, per me, sono come la stanza di fianco, in cui senti tutti parlare di te, e sta a te decidere se ascoltare o no. Immagina che nella stanza qui di fianco ci sia qualcuno che parla di te, e sta dicendo che sei uno stronzo, e tu lo senti, e puoi entrare nella stanza urlando “che cazzo dici?”, e coi social media per me è esattamente la stessa cosa, è facile, se vuoi, mettersi a litigare con la gente, però, soprattutto quando hai un figlio, ti rendi conto che non è così importante. Nel mio caso, poi, mio figlio è nato con un parto piuttosto complicato, tanto che a un certo punto pensavo che l’avrei perso, e quando passi attraverso un momento del genere cominci a pensare a tutto il tempo che hai perso a incazzarti per cose che non sono neanche lontanamente importanti. Questo è il cambiamento principale che ti porta diventare padre, quindi sì, in qualche modo è anche per questo che riesco a suonare il cazzo che voglio, perché alla fine chi se ne frega di quelli che si lamentano?
Ci sta, ti capisco pienamente, è una cosa di cui mi sto rendendo conto già ora anch’io.
È una figata, guarda. Sii solo preparato a essere completamente inutile almeno per il primo anno. Completamente inutile. Incassa tutti gli abusi – tua moglie ti urlerà addosso per i motivi più assurdi, o del tutto senza motivo, ma dal secondo anno in poi è bellissimo.
Quanti anni ha tuo figlio ora?
Cinque, va a scuola. Che figata questa cosa, stiamo facendo “essere genitori con Skream”!
Ascolta musica?
Uhm, sì….ogni tanto viene nel mio studio e ascolta quello che faccio, ma più che altro gli piace la roba in tv per bambini, quella roba agghiacciante…fondamentalmente gli piace la musica che lo diverte, gli piace il pop di adesso che è tipo la peggior musica pop di sempre, non è neanche musica pop, dai, però mi fa riderissimo perché vede i video, mi chiama e balla.
E se tipo, a un certo punto, viene da te e ti dice “papà, senti questa roba, mi piace un sacco, voglio fare il dj e suonare questo” ed è musica di merda, che ne so, tipo del reggaeton, o il genere che odi di più al mondo?
Oh, sarebbe fantastico! Non odio nessun tipo di musica, in realtà. Oh no, in effetti sì. Odio la merda pop generica, ma mi pare ovvio. I miei genitori ascoltavano dell’ottimo pop, il pop in sé non è affatto una cosa negativa, anzi! I Beach Boys erano pop, ed erano fantastici! Mio figlio può fare quello che vuole, ovviamente, l’unico problema se mi dicesse che vuole fare musica, è che quest’industria è cambiata tanto negli ultimi tempi. C’è sempre meno gente che entra in questo settore solo perché ama la musica, e sempre di più che lo fa per soldi, e non è così che dovrebbe andare. Ne parlavo con Jamie Jones al compleanno di Seth Troxler, di come entrambi abbiamo iniziato a fare i dj nelle nostre camerette e non avessimo nessun’altra aspirazione se non mettere della musica, e poi, forse, eventualmente, guadagnarci dei soldi, in una progressione naturale: adesso invece il processo è l’opposto, vedi ragazzi che hanno un logo disegnato da professionisti prima ancora di aver mai messo dei dischi! Quindi, fondamentalmente, se mio figlio volesse fare il dj perché è qualcosa che gli viene dal cuore, sarei contentissimo, anche se può essere un settore davvero stronzo a volte.
Beh, se non altro avrebbe una collezione di dischi piuttosto fornita in partenza e un buon consigliere, dai. Tra l’altro, l’infanzia è un argomento di cui mi piace sempre parlare coi dj, perché ho notato che in tanti si portano dietro, nella propria musica, quello che ascoltavano da bambini.
Ah sì è vero, io compravo un sacco di cd da piccolo, anche di pop orribile, tipo gli East 17.
Avevo l’album anch’io. Adesso si riuniscono, tra l’altro.
No, in realtà non si riuniscono. Quello che scriveva le canzoni, Tony Mortimer, ha trovato Dio o qualcosa del genere, mentre Brian Harvey, quello che cantava, si è investito da solo in macchina…
…..Scusa? Come si fa a investirsi da soli?
Sì sì, è una storia assurda! Praticamente, stava guidando, è caduto dalla macchina e si è investito da solo (è successo veramente, ndr). È una mossa che io e Jackmaster chiamiamo “FINISHED”.
A proposito di Jack: c’è questa…non so se chiamarla “generazione” di dj inglesi che include te e lui, ma anche Ben UFO, o Joy Orbison, che ha iniziato, o è diventata famosa nel periodo del dubstep, e ora fa tutt’altro.
Beh, nel caso di Jack credo sia stato più…sai, lui è sempre stato un dj ed è sempre stato in grado di suonare tutto, è uno dei miei migliori amici, siamo stati in tour in America insieme, e in quel periodo A-trak e Calvin Harris avevano un sacco di seguito, mentre lui era praticamente sconosciuto e suonavamo back to back, e però io e lui siamo fatti della stessa pasta, arriviamo dalla stessa scuola nell’approccio alla musica. Credo che lui sia stato davvero una ventata di freschezza in una scena che era diventata piuttosto statica nella scelta degli headliners, ha scosso un bel po’ le cose, ha questo modo di suonare delle cose che non conosce nessuno e poi magari della disco o del garage invece conoscono tutti. Ha costretto un po’ tutti gli altri dj a pensare di più ai propri set, a pensare a modi nuovi per mettere insieme i dischi, a concentrarsi di più sul timing.
Parlando di garage, tra l’altro: perché secondo te è sempre stato un fenomeno solo inglese? Tipo, qui in Italia quasi nessuno suona garage.
Neanche solo inglese, ma solo di Londra: tipo, a Glasgow a nessuno frega niente del garage, ma non ho idea del motivo! E ora però tutte le persone più influenti sono straappassionate di garage….ma che cazzo, io ho tipo diecimila dischi garage a casa! Non so che dirti, forse è una questione di cicli di dieci anni. Qualche tempo fa leggevo questa cosa secondo cui la musica dance ha dei cicli in cui le cose si ripetono ogni dieci anni. Tipo, ora la trance è tornata, quasi tutta la techno di adesso suona come la trance.