Una folla immensa, oceanica già dal tardo pomeriggio. Tanta, tanta gente: giovani, certo. In un range d’età abbastanza definito. Qualche over 30, magari, e qualche under 14, pronto per lo svezzamento uditivo soprattutto tra le prime file, in un magma di pubblico tendenzialmente di suo sui vent’anni o giù di lì che affolla, riempie, satura l’apertura del Social Music City: rassegna ormai consolidata di musica techno che – partita come evento legato ad Expo – si riconferma solidissima e con una programmazione nel suo di altissimo livello anche per il 2017.
Del resto il pienone la line up di questo primo appuntamento milanese poteva anche lasciarlo immaginare: Somne, Recondite, Richie Hawtin e, a chiudere, i Tale Of Us. Al netto di uno spazio congestionato (seppur grandissimo), di qualche ambulanza partita a sirene spiegate, di mascelle qua e là alla deriva, di un privé lato e retro palco ibizenco e traboccante di modelle, volti mondani e botox (vera tendenza giovanile della primavera 2017) ma composto comunque e divertito, ci sentiamo di promuovere a pieni di voti questa prima.
Ci siamo andati con aria cirospetta a questo SMC, dobbiamo dirlo. Ne avevamo sentito parlare in toni ironici, epici, talvolta spesso dissacranti, e su questo andrebbe fatto un ragionamento che per ora riportiamo in sintesi ma che meriterebbe un approfondimento. Ovvero: la techno e i suoi party in Italia vanno di moda e non si può più parlare, crediamo, di “movimento in crescita” quanto piuttosto di uno status modaiolo, consolidato, affermato. Un fenomeno popolare da grande evento insomma, secondo solo a produzioni immense tipo Vasco, Ligabue e gente da arena estiva. Una medaglia luccicante che ovviamente porta con sé anche il suo lato meno luminoso, fatto di contraddizioni, hating, purismo e ovviamente ironia. È normale ritrovarsi a sfottere ed essere sfottuti: tanto quanto si sfotte il pubblico dei Modà, del concertone a San Giovanni o delle canzoni con un accordo in re di Ligabue.
Parlare di “club culture” in un evento da 10/15000 persone ci sembra obiettivamente anacronistico. Siamo davanti ad un raduno dai connotati popolari. Per anni con fare snob abbiamo affermato: “Sono tutti qui per moda, cosa ne sanno loro di che sono davvero di Bar 25, Minus e Plastikman…”. Ecco oggi a queste affermazioni possiamo rispondere con un bel “In realtà, chissenefrega”. Perché davvero ti viene da dire: ognuno si goda la cassa in quattro come meglio preferisce e sia libero di scoprire prima, dopo o mai come Richie Hawtin sia arrivato a conquistare folle del genere o come i Tale Of Us abbiano recentemente dominato Miami, partendo da un suono che non è certo pop e ritornelli facili.
Tornando alla cronaca della giornata: tocca a Somne aprire le danze e scaldare i bracieri di un inferno in musica. La sua è una techno ruvida e dritta, senza fronzoli, con qualche pausa cortissima e dentro subito la cassa, senza soluzione di continuità. A seguire Recondite: dritto, pulito, qualche melodia e pulsazioni inaspettate per il live del producer bavarese. Non serve “Levo” per ingraziarsi i favori di un pubblico già totalmente in delirio grazie a un esercizio stilistico di “pause and reprise” a salire, ben fatto, che a nostro giudizio gli fa vincere l’MVP della serata. Sta per toccare ad Hawtin e lo spazio ribolle, mentre il dj/producer canadese defilato sul palco si prepara con qualche esercizio di stretching mirato.
Ore 19:00, vespro di un giorno di festa: Richie Hawtin sale in mezzo al palco e viene accolto da un boato da stadio. Sopra, il privè è letteralmente impazzito, mentre sotto manca davvero solo la ola, tra cori fortissimi e mani al cielo. Da lì in poi, arrivano due ore indiavolate e devastanti: chi scrive aveva visto l’ultima volta Hawtin al Sónar nel 2014, in un set bello e divertente ma tiepido in confronto a quello di quanto fatto in questo esordio di SMC 2017. De-va-sta-nte ci sembra il termine più appropriato. Tecnicamente si potrebbe obiettare che non c’è molto in realtà: è tutto un “togli il basso, metti il basso”, va bene. La differenza però sta in come lo metti, come lo togli e soprattutto che giro di basso metti: fatto in un certo modo, diventa un tritacarne a battere il tempo di un rito collettivo. Ballano tutti, saltano tutti e per due ore si va avanti così, nessuno cede, sono tutti incollati ai propri centimetri di spazio vitale. Gli ultimi due pezzi sono memorabili e non stiamo assolutamente parlando né da fan né da teatranti: è andata così, punto.
Quando tocca ai Tale of Us non solo il retropalco ma pure il palco stesso si riempie di “figuranti” (amici, PR, per un’ atmosfera da vera festa). Alla cassa si aggiungono qualche melodia in più, un synth e morbidezze soltanto accennate, il tutto condito dai giochi di luce firmati Pfadfinderei (già curatori tra le tante cose del live dei Moderat, come molti sanno). Atmosfera e suggestioni aumentano se possibile ancor di più, il duo nostrano lascia a casa le USB con dentro gli esperimenti classici dell’interessante album uscito poco fa su Deutsche Grammophon e si prende col calibro grosso il pubblico che da ore balla instancabile, per accompagnarlo verso una chiusura che sa semplicemente di tripudio e trionfo.
In conclusione: critiche al SMC ce ne saranno tantissime, ne siamo certi. Tanta gente vuol dire anche tante opinioni diverse, senza contare che in effetti Realh Clebbers II avrà materiale “antropologico” per i prossimi due mesi a venire. Vero. Ma ci sta: gli eventi son belli (anche) quando se ne parla poi per giorni, con gli amici, con chi non c’era, con chi li critica. Promuoviamo quindi a pieni voti l’apertura, anche al netto di obiezioni organizzative (in molti si sono lamentati per le file ai bar, ed in effetti il problema è reale). Diciamo che per SMC si è trattato di un ottimo esordio annuale. Un esordio che ha convinto anche chi, come noi, non è certo un habitué e un aficionado.