Allora. La questione è molto semplice. Una delle cose più belle del Sónar è l’errore, o l’inaccuratezza: ma non della crew del festival (che in tutti questi anni abbiamo sempre visto efficiente e rodatissima, capace di lasciare al minimo sindacale il numero di intoppi e contrattempi), bensì l’errore o l’inaccuratezza vostri. Ovvero: arrivare in ritardo, essersi fatti sfuggire degli artisti che si voleva assolutamente vedere, attardarsi troppo a bere una birretta al bar, dimenticare completamente la lista di cose-da-vedere che ci si era fatti in testa prima di partire e/o ritrovarsi per forza di cose a vedere ben altro. Cose che in altre situazioni potrebbero seccarvi, ma al Sónar sono manna dal cielo. Davvero.
Quindi sì, noi qui proveremo a farvi una “nostra” guida di cose davvero da non mancare al Sónar (per qualità della proposta, ma anche come set emblematici per capire l’attitudine del festival catalano); ma se non la rispettate non sarà per nulla grave, se non vedrete un singolo act di quelli che consigliamo ma ne vedrete completamente altri facile che il vostro festival sarà comunque molto interessante e coinvolgente. Del resto noi stessi abbiamo provato a fare una lista non troppo lunga (sennò è una lista della spesa, non un “itinerario consigliato”); ma a guardare l’elenco di ciò che abbiamo escluso ci vien male. Come quando dici di una squadra fortissima “Vincerebbero il titolo con venti punti di vantaggio anche schierando solo i giocatori quasi sempre in panchina”, no? Ecco.
Partiamo, insomma. Partiamo dagli headliner, dai nomi più mediatici anche per chi l’elettronica la segue poco e distrattamente. Lì, un consiglio: non snobbateli. Di solito, se si vuole fare i “saputi” nei festival con un profilo (anche) di intellettualità, per fare i fighi si tende a snobbare gli headliner lasciandoli a chi si ritiene un frequentatore più dozzinale e superficiale dell’evento. Ecco, non fate i fighi. Date una chance a tutti quanti, almeno un dieci minuti. Poi ci sta che non vi convincano comunque; ci sta che i Duran Duran risultino bolsi e senza senso (il Sónar ha sempre, ogni anno, almeno un headliner “strano”, al limite del recupero trash e comunque non legato all’elettronica ma molto più al pop di consumo: spesso però sono scelte talmente assurde che funzionano), ci sta che Skrillex sia un baraccone, che FKA Twigs non meriti tutto l’hype, che A$ap Rocky non convinca del tutto, che i Chemical ormai siano una messa cantata per quanto spettacolare. Ci sta. Ma vedere tutti questi artisti alla prova del pubblico del Sónar (e degli spazi enormi del Sónar) è un test sempre avvincente, un test che qualche volta sovverte i pronostici.
Detto questo, uno slot che non dovete perdervi è quello che chiude le sessioni diurne del festival. Parliamo cioè di quello che succede dalle 20:30 in poi. Quando il caldo si fa meno intenso, la luce diventa bellissima e la gente è completamente entrata nell’”onda” del festival (sì, perché si entra in una specie di “onda” emotiva, rilassata, felice, se ci si “abbandona” al festival: chi frequenta da anni il Sónar lo sa). Fra tutti i palchi, in questa finestra temporale l’offerta è ricchissima in tutti e tre i giorni: noi vi consigliamo cose diverse fra loro, la spigolosità feroce degli Autechre il giovedì (col loro nuovo live), la presa-a-bene-modello-Theo-Parrish di Floating Points il venerdì, mentre per il sabato potete decidere se abbandonarvi alla house di classe (ma ultimamente un po’ appannata: si riprenderà?) di Henrik Schwarz o alle apocalissi senza fine di The Bug.
Ah ecco: il fatto che lo slot più bello del Sónar Dia sia quello finale che non vi porti però ad arrivare solo in tempo per quello, eh! Perché ad esempio in orari da giorno pieno ci sono comunque cose imperdibili: ad esempio il sabato, alle 15:30, potete dividervi fra Mika Vainio (uno dei due Pan Sonic) e quei BADBADNOTGOOD che sono una delle cose più coinvolgenti e interessanti del jazz moderno, quando il jazz in formato trio acustico confina però più col funk che con Keith Jarrett. Giusto per dire.
Proseguiamo. Nella vastità infinita del programma, i set che abbiamo selezionato per voi come “consiglio soundwalliano” sono quello di Arca, per vederlo all’opera con l’accompagnamento dei visual di Jesse Kanda ma soprattutto per avere la conferma che l’hype che lo circonda è meritato (Kanye West e Bjork, personaggi distantissimi fra loro, dicono di sì); quello di Holly Herndon (la sua elettronica è tanto complessa quanto di una bellezza cristallina, la ragazza è un talento vero); quello di Vessel (quando la sperimentazione diventa più trascinante, punk e coinvolgente di qualsiasi cosa possiate immaginare); quello di Powell (una delle novità più scintillanti nella techno odierna); quello di Klara Lewis (perché il suo sperimentalismo è interessante ma anche perché – lo ammettiamo – è curioso vedere cosa dal vivo la figlia del leggendario Graham Lewis, uno dei fondatori delle leggende post punk Wire); quello dei redivivi Jimi Tenor e Jori Hulkkonen, che propongono la sonorizzazione di un film che non esiste su supporto, non esiste nel web (niente YouTube, amici), esiste solo nei loro live congiunti.
Non mancano poi gli italiani e sì, insomma, alla fine vien sempre voglia di sostenere gli eroi di casa nostra, lo ammettiamo, un po’ di campanilismo resta accettabile. Occhio quindi a Lorenzo Senni (ormai un habitué del festival, e se lo merita tutto), a Donato Dozzy presente col socio Neel in Voices From The Lake, al buon Dj Tennis, ma anche all’italiano-a-metà (greco, ma residente a Milano) Larry Gus, uno che davvero sa come far divertire con follia ed intelligenza. Però ecco, sul campanilismo si può discutere, sugli headliner pure, sul perché abbiamo escluso Siriusmodeselektor o Jamie XX pure, ma una cosa che non dovete assolutamente perdervi è qualcosa che arriva alla fine, ma proprio alla fine, per “alla fine” intendiamo proprio la chiusura del festival: il dj set finale, quello che termina tutto. Ce n’è sempre più d’uno (uno per ciascuna sala del Sónar Noche), ma quest’anno – esattamente come gli altri anni in cui lui c’è – se non siete lì dove sta suonando Laurent Garnier siete pazzi. Perché lui è probabilmente oggi il più bravo di tutti, perché conosce il Sónar tantissimissimo (anche per motivi personali), perché l’intensità emotiva che riesce a ricreare lui quando ha questo compito è qualcosa di indescrivibile, qualcosa di lacrime di commozione. Qualcosa che vi resterà dentro per sempre.
Leggi anche la guida urbana al Sónar 2015 di Soundwall e UH! – Urban Hints