Vi abbiamo già raccontato com’è stato il Sónar Festival 2017, vale a dire l’edizione migliore da anni a questa parte, ma l’analisi ha riguardato sostanzialmente l’aria generale che abbiamo respirato durante la tre giorni e due notti in quel di Barcellona, senza entrate nel merito delle esibizioni a cui abbiamo assistito.
Siamo quindi voluti tornare sul “luogo del delitto”, con in testa ancora le nostre impressioni a caldo, per fissare su carta un po’ di giudizi sui nomi che più ci hanno emozionato. Sono state emozioni più che positive quelle che ci hanno portato ad identificare alcuni show “top”, di quelli che ricorderemo per molto, molto tempo; poi ci sono state le sorprese, ovvero quei musicisti/dj più o meno noti che hanno tirato fuori l’esibizione buonissima e inaspettata; e, infine, le delusioni, legate a coloro dai quali semplicemente ci si aspettava di più.
Potrebbe stupire il fatto che ciascuno di noi abbia individuato – senza mettersi troppo d’accordo – nomi differenti, ma quando in cartellone ci sono più di 120 musicisti e dj, il gioco viene fuori facile.
Tra le menzioni d’onore – fuori sacco – ci sentiamo di annoverare il set sotto il sole del Sónar Village di Bawrut (esibizione divisa in due parti per problemi di line up indipendenti dal nostro, che però ha tenuto alta la bandiera italiana), un’incredibile RP Boo tutto sorrisi e ritmo, da primo della classe, Amnesia Scanner neri ed ipnotici come poche altre volte ci è capitato di vedere, Nosaj Thing b2b Daito Manabe che hanno esplorato nuove possibilità audio-video e l’improbabile coppia Daphni & Hunee che ha fatto ballare tutti mentre albeggiava.
Soulwax (top)
Semplicemente una delle migliori esibizioni a cui abbiamo assistito durante la tre giorni festivaliera, se non migliore in assoluto. La band attiva dal 1995 – da cui sono fuoriusciti David e Stephen Dewaele in arte 2 Many DJ’s – è tornata quest’anno con un disco gustosissimo “From Deewee” che dal vivo mostra i muscoli e trasforma la miscela di electro, synth-pop, disco, in uno spettacolo dall’impatto clamoroso: tre batterie che circondano le macchine a scandire una danza che non lascia scampo. Si balla sulle macerie del rock.
Matmos (top)
Diciamo la verità, le nostre aspettative nei confronti dei due musicisti americani – M.C. Schmidt e Drew Daniel – era alta. Eppure, sono riusciti non solo a confermare le attese ma addirittura a sorprendere, presentandosi sul palco diurno del Sónar in formazione allargata, coinvolgendo un terzo componente in carne e ossa e uno invece in ferro e alluminio, ossia una lavatrice. L’esibizione, che sta girando il mondo da un annetto, è centrata sulla lavabiancheria “Ultimate Care II” che viene utilizzata direttamente – lavando alcuni indumenti della platea – e indirettamente – battendo su di essa con le mani o altri strumenti. Il tutto viene amplificato e processato/rielaborato dal vivo, per un risultato incredibile. Che bella la “brain-dance” contemporanea!
Dj Bus Replacement Service (sorpresa)
Lo abbiamo detto in occasione delle passate edizioni e lo confermiamo pure qui: il Sónar è anche il festival delle sorprese. Capita quindi di ritrovarsi sotto al palco di Dj Bus Replacement Service ed assistere ad uno dei set più bizzarri degli ultimi anni: musica/non musica che frulla assieme elettronica, canzoni pop, suoni per bambini, world e country con una naturalezza disarmante. Si balla, si sorride, si ammira una piccola figura esile con la maschera di Kim Jong-un che si appropria degli ultimi dieci anni di musica contemporanea per restituirla al pubblico completamente trasfigurata e perfettamente adatta alla pista. Un atto politico forse, sicuramente una dj da non perdere di vista.
Arca & Jesse Kanda (delusione)
Premessa: il terzo album sulla lunga distanza di Arca, quello omonimo, sempre confezionato in collaborazione con il talento visivo di Jesse Kanda (dal vivo cura la sezione video) è un capolavoro. Ma non lo è nei modi che ci si aspettava, perché in primo piano c’è la voce del giovane produttore venezuelano Alejandro Ghersi, che si mette a nudo completamente. Ecco, probabilmente, perché l’esibizione non ci ha convinto appieno, perché sembrava tutto troppo esplicito, spietatamente in posa, come spiare un ragazzo mentre racconta la parte più fragile di sé. Questa esperienza di intima condivisione è assai impegnativa su disco, immaginate quanto lo sia dal vivo.
Maurizio Narciso
DJ Shadow (top)
Come per i migliori monumenti, il passare degli anni ha reso DJ Shadow ancora più emozionante da vedere e sentire dal vivo (eh sì, sono già passati quasi 21 anni da Endtroducing….). Un one-man live intenso tra campioni, scratch e video, reso ancora più intimo dall’intervista rilasciata in pubblico qualche ora prima al Sónar+D, dove un introverso Joshua si è messo letteralmente a nudo raccontando l’amore per il suo lavoro così come le insicurezze legate specialmente alla dimensione dal vivo.
Anderson.Paak and The Free Nationals (sorpresa)
Così, inaspettatamente, ci si è ritrovati in uno show irresistibile e travolgente di quello che forse poteva essere visto come l’ospite più “pop” di questa edizione del Sónar. Dopo 24 ore dall’aver aperto il concerto di Bruno Mars a Milano, Anderson.Paak con i The Free Nationals ha letteralmente infuocato la platea del Sónar Pub. Una vera festa nella festa.
Craig Richards (delusione)
Craig Richards ha suonato una pseudo minimal/tech/house un po’ piatta per il mood gioioso che contraddistingue il Sónar de Dia, soprattutto se consideriamo che il giovedì rimane l’unica chiusura diurna dove buona parte dei partecipanti non decide di scappare al de Noche prima della chiusura del de Dia. Meno geometria e più emozione sarebbero sicuramente state gradite.
Massimiliano Gra(ss)i
Prins Thomas (top)
Non c’è niente da fare: se la parte notturna rimane (per numeri, strutture e proposta musicale) la più maestosa del weekend, le emozioni che si possono provare al tramonto dalle parti di Plaça de Espana rimangono senza dubbio fra le più intense che una vita di clubbing possa regalare. E se all’equazione si aggiunge un set ai limiti della perfezione come quello di Prins Thomas (che già all’edizione di Istanbul aveva regalato non poche gioie) non resta altro che levare la propria pinta al cielo e ringraziare. Alla salute!
Stooki Sound (sorpresa)
Un altro grande minimo comun denominatore del Sónar è quello della nicchia musicale inglese, specialmente quella più grassa e “from the hood”. Se per la parte notturna una sicura menzione la meriterebbero TQD e Giggs, nel Dia la miglior sorpresa è stato il duo di North London che ha da subito preso per mano il Sónar Village con una sequela di schiaffoni a cavallo fra UK bass e trap che hanno persino causato un pogo che mai si era visto a queste latitudini. Tutti felici e contenti. E belli sudati.
Cerrone (delusione)
Il cuore palpita più del solito nello scrivere queste righe. Perché non vorresti mai stroncare un tuo mito, la cui musica ha fatto da sottofondo a molta della tua infanzia. Ma bisogna anche essere onesti e guardarsi in faccia: se gli artisti che hanno fatto la storia della musica che tanto amiamo (penso facilmente anche a Giorgio Moroder) pensano che basti mettere un mixato e saltellare dietro ad una consolle insieme ad un non-precisato compagno di giochi per essere al passo coi tempi, forse dovrebbero riconsiderare se questo non rischi di intaccare la loro immagine agli occhi di chi non si accontenta di sentire musica bella ma vorrebbe anche quel tocco in più che rende grande un’esibizione. Paradossalmente questo valore aggiunto sarebbe potuta essere la splendente e strepitosa prestazione di Barbara Tucker ai vocals, ma stavolta non è bastato a salvare capra e cavoli.
Federico Raconi
Roosevelt (top)
Lo seguiamo con attenzione ormai da anni, ma non lo avevamo ancora visto dal vivo ed eravamo molto curiosi: la collocazione a metà pomeriggio nel SónarVillage, perfetta per il suo pop danzereccio estivo e freschissimo, ha sicuramente aiutato, ma il tedesco di bianco vestito ha comunque rispettato il pronostico. Sulla moquette verde sotto il solleone abbiamo cantato, ballato, sorriso e gioito come in poche altre occasioni, a dimostrazione che si può essere “leggeri” senza sacrificare la qualità.
Star Eyes B2B Jubilee (sorpresa)
Lo ammettiamo, i momenti un po’ ignoranti a uso e consumo del pubblico inglese sono tra i nostri preferiti di tutti i Sónar: c’è da dire però che le due ragazze che hanno chiuso il Dome sabato sera sono state in grado di catturare la nostra attenzione con un set variegato ma godibilissimo, partito con della techno muscolosissima per poi virare verso lo UK Garage e poi spostarsi su suoni old school rave che hanno letteralmente mandato in visibilio la vasta rappresentanza d’oltremanica in pista e, quando è partito il tema principale di Sonic The Hedgehog, anche noi.
Floorplan aka Robert & Lyric Hood (delusione)
Ok, ci sono stati diversi problemi tecnici non dipendenti dalla volontà del reverendo a intaccare la qualità dell’esibizione, glielo concediamo, ma ciò non toglie che la chiusura del venerdì del Dome non sia stata neanche lontanamente paragonabile alle altre volte in cui abbiamo visto Robert Hood schiaffeggiare il pubblico con il suo consueto mix di stile e gioia. A maggior ragione perché l’esibizione era a nome Floorplan, ci aspettavamo sonorità più aperte, e invece, forse anche per via dei problemi tecnici sopracitati, il set è stato scuro, quadrato e granitico, persino troppo per un contesto festaiolo come quello del Sónar. E poi diciamocelo, portarsi in giro la figlia per non farle neanche mettere mano sul mixer è piuttosto triste.
Mattia Tommasone
De La Soul (top)
Non ci sono stati picchi incredibili, non ci sono state cose che ci hanno letteralmente sconvolto e portato via (come è successo ad esempio col live dei Chemical Brothers nel 2015), c’è stata una qualità media comunque molto alta. In tutto questo, è quasi paradossale mettersi ad indicare i De La Soul come top, a) di un Sónar, b) di un’edizione particolarmente riuscita. Ma il modo in cui i nostri veteranissimi hanno saputo tenere il palco armati solo di microfono, giradischi e cari, vecchi trucchi da mc, beh, ha dell’incredibile. Puoi mettere tutte le luci, tutti i fuori d’artificio, tutti il talento (Anderson.Paak ad esempio ha dimostrato di averne molto, ma deve ancora metter su carisma), ma quando entra in campo l’hip hop dell’Età Dell’Oro continua a non essercene per nessuno.
Eric Prydz (sorpresa)
Ok, Prydz non dovrebbe essere una sorpresa per nessuno, sono mille miliardi di anni che è in giro, solidamente in giro. Ma il set attuale ha una consistenza musicale al di sopra di ogni sospetto e al di sopra di ogni paraculata (ogni riferimento ai suoi sodali scandinavi è…). Tech-house robusta, col giusto tasso di ganci melodici ed armonici: tutto molto comunicativo, solido, non sputtanato né sputtanante. A questo aggiungere un disegno luci che non era fatto per stupire i ragazzini, ma per creare davvero un’eleganza di grande impatto e di grande gusto. Insomma, sembrava il classico slot notturno del Sónar “…e ora gli autoscontri” (tipo quando ci siamo dovuti sorbire Dj Snake), invece si è rivelata una delle cose migliore del Sónar Noche anche per noialtri palati fini ed esigenti. Poi beh, come indicato nell’altro report, quello più “generalista”, il Sónar XS – il nuovo palco diurno – ha tirato fuori parecchie sorprese gustosissime, fra i nomi nuovi e/o emergenti.
Nicolas Jaar (delusione)
Spezzeremo i cuori di molti, ma sinceramente questo nuovo live di Jaar ci pare tanto retorico e wannabe-grandioso quanto, in sostanza, inconsistente. Molto fumo, arrosto pochino. Gran svisate, gran momenti epico-atmosferici, pure la cassa dritta non viene risparmiata, ma nella lunga coda finale a farci compagnia sono gli sbadigli e le occhiate all’orologio. Non un buon segno. Vabbè, sicuramente molto meglio lui di Princess Nokia: ma su di lei ormai non vogliamo accanirci manco più, quindi diciamo che è fuori classifica. Aspettiamo torni ad offrire dei live decenti, non qualcosa fatto con la metà dell’energia, la metà dell’impegno, la metà della passione. Imparasse dai De La Soul.
Damir Ivic