Tutti parlano del Sonar. Da sempre. O almeno: da quello che sembra un’eternità. Nulla di strano, perché nel mondo dell’elettronica, un mondo che tante mode ed eventi consuma (e tanto velocemente…), il Sonar taglia un traguardo che è veramente per pochi, quello dei vent’anni di esistenza. La stragrande maggioranza di essi, per giunta, spesi da vero e proprio riferimento a livello mondiale della nostra scena. C’è chi raduna più paganti, chi offre più sperimentazione, chi produzioni più gigantesche, ma il ruolo di “opinion leader” del festival barcellonese continua ad essere inscalfibile. Merito forse della capacità di saper combinare le diverse anime della musica e cultura elettronica: una ipotesi che diventa ancora più plausibile leggendosi con attenzione questa e lunga e bella chiacchierata con Georgia Taglietti, che del Sonar è la responsabile dei rapporti coi media internazionali – un ruolo quindi molto interessante, da cui avere una bella visione d’assieme. Con lei invece di parlare delle “solite” cose (cos’è il Sonar, perché è nato, cosa rappresenta), su cui voi lettori di Soundwall siete occhio e croce già piuttosto ferrati, abbiamo voluto affrontare tematiche legate più al dietro le quinte, alle scelte artistiche e produttive, alle mosse strategiche giocate nel corso degli anni e che in futuro si giocheranno.
Guarda, inizierei con una stupida curiosità spicciola: continuate a ricevere mari e mari di materiale? Già io, nel mio piccolo, ricevo ogni mese una quantità impressionante di promo…
Fortunatamente sì! E dico fortunatamente, perché troviamo significativo che la gente sia ancora così interessata ad esserci, a suonare, a partecipare al nostro festival. E’ una soddisfazione.
Ma come riuscite a gestire questa mole di offerte e richieste?
Dicendo un sacco di “no”. Però quest’anno, col fatto che abbiamo mantenuto per la parte notturna anche il palco Sonar Car e che di giorno invece ci sposteremo in una venue molto più grande, avremo la possibilità di accontentare molti più artisti. Cosa di cui siamo molto contenti.
Ma ha ancora senso mandare del materiale direttamente nei vostri uffici, sperando di catturare così la vostra attenzione e di poter essere inclusi nella line up ufficiale?
Il nostro ambito di riferimento, quello della musica e cultura elettronica, più di altri sa muoversi secondo i meccanismi del web e quindi del network: proprio partendo da questo principio, mi viene da dire che bisogna in qualche modo basarsi sui “gradi di separazione”… ovvero, non è difficile entrare in contatto con qualcuno che si sa che interagisce direttamente con noi, che con noi ha cioè una lunga storia di collaborazione, e chiedere quindi un endorsement da parte di queste persone o realtà. Questo aiuta in modo decisivo. Venire dal nulla è un azzardo, riduce quasi completamente la possibilità di essere presi in considerazione; però davvero, è molto facile trovare nel proprio giro di conoscenze persone con cui noi abbiamo rapporti lavorativi regolarmente, penso anzi sia quasi inevitabile… Se penso all’Italia sono moltissimi i nomi: gente come te, come Lele Sacchi, come Manfredi Romano, come Sergio Ricciardone, ma l’elenco potrebbe essere molto lungo. Di sicuro noi non possiamo, ma proprio per limiti fisiologici, ascoltare tutto quello che riceviamo. Abbiamo bisogno quindi di suggerimenti ed indicazioni da parte dei nostri interlocutori di fiducia, questo è un primo filtro fondamentale.
Quali sono stati i criteri per costruire la line up di quest’anno? Una line up che si porta dietro una certa responsabilità: è quella della ventesima edizione.
La responsabilità del dover allestire l’edizione del ventennale l’abbiamo sentita più appena era finita la diciannovesima edizione che nel momento di mettersi concretamente a costruire questa attuale, appunto la ventesima. Piuttosto, un’altra è la responsabilità che davvero sentiamo addosso in questo momento: quella che il pubblico capisca il cambio di spazio per quanto riguarda il Sonar diurno. Uno spazio ora molto più grande, diverso, con una impostazione differente; uno spazio in cui però vogliamo che i nostri ospiti più fedeli riescano a ritrovarsi, a sentirsi di nuovo a casa. Dal nostro punto di vista, come ventennale, il regalo è proprio questo: offrire ai frequentatori del festival una location nuova, più comoda, in grado di offrire un maggior numero di contenuti. Non è stato per nulla semplice arrivarci, anzi: è stata una grande sfida, molto dura e molto lunga, ma tutto noi del Sonar eravamo convinti che questo fosse un passo non più da rimandare. Volevamo questo cambio. Lo volevamo fortissimamente.
Credo però anche che foste consapevoli del rischio che correvate e che in realtà correte: per una certa fetta, anche grossa, del vostro pubblico più fedele il “vero” Sonar è proprio quello diurno: quello dove circolano le idee, le novità, le sperimentazioni, i rischi. Lì dove il Sonar notturno è invece mero divertimento. Non c’è il rischio che un cambio di location verso qualcosa di più capiente e massivo snaturi il Sonar Dia?
Credo sia esattamente il contrario. Io personalmente sono convinta che il Sonar Noche debba assolutamente essere prima di tutto proprio divertimento – qualcosa di indirizzato soprattutto verso il ballo, verso lo stare bene e divertirsi. Certo, anche nel Noche ci sono le scoperte, le ricerche; ma se vedi sono tutte comunque indirizzate alla sfera più edonistica, quella da dancefloor, della musica elettronica. Per quanto riguarda però il Sonar Dia, proprio il cambio di location ci permetterà ad esempio di rafforzare molto quello che negli anni passati era il Sonar Pro, dando più spazio a questa parte della rassegna, giusto per fare un esempio concreto; ma è proprio in generale che gli spazi della Fiera cittadina (non quella in periferia dove si è sempre svolto e si svolgerà il Sonar notturno, ma quella in centro, in Plaza Espanya) ora permetteranno ai frequentatori della parte diurna del festival di avere un’esperienza molto più vasta, più immersiva, più sperimentale, più tecnologica rispetto al passato… Una vera e proprio full immersion, che prima era possibile solo in parte. Il CCCB e il Macba, le vecchie location, avevano degli oggettivi problemi di spazio che ci portavano a fare delle scelte precise ed anche a rinunciare ad alcune idee e produzioni, questo è un dato di fatto.
Nel Sonar diurno ci sarà anche più spazio per il ballo?
Anche. Ora il Village, storicamente il palco principale del Sonar Dia, potrà finalmente essere un vero e proprio dancefloor. Un dancefloor all’aperto, diurno.
Seguendo esclusivamente il filo dei tuoi gusti, quali sono gli act da cui ti aspetti di più?
Mi aspettavo questa domanda, infatti prima che ci sentissimo stavo cercando di raccogliere meglio idee e spunti… però non è facile quest’anno, c’è davvero tanta roba! Inizio dicendo che sono molto curiosa di vedere – a proposito di quello che ci siamo appena detti – come andranno i set più dancefloor oriented una volta piazzati nel contesto diurno, a partire dalla gran cosa di vedere Lindstrøm e Todd Terje insieme, ma anche Mary Anne Hobbs… la musica che si suonerà, certo, ma voglio anche vedere come reagirà la gente, che effetto cioè fa ballare al Sonar sotto la luce del sole e non quella della notte. Poi, un set che mi interessa molto è quello di Dinos Chapman: ha fatto uscire un disco molto bello, lui è un personaggio parecchio curioso, ho seguito tutta la trafila per arrivare a bookarlo e, forse, faremo con lui pure delle cose anche extra-musicali. Aspetto molto Tristano, perché musicalmente lo amo. Sono curiosa di sentire come sarà, nel Sonar notturno, Hot Natured. E Oneman: dei suoi dj set usciti finora sono davvero innamorata.
Vedo che tornano i Pet Shop Boys, nello slot – ormai tradizionale per il festival – di “strano&spiazzante headliner pop”. Di solito però ogni anno questo tipo di slot era occupato da un gruppo diverso. Curioso, che ritorniate lì dove siete già passati.
Tutto è nato perché loro ci sembravano il contraltare perfetto ai Kraftwerk, altro nome “grande” della line up serale. Dopo però è arrivata una bella sorpresa: la notizia che avevano un disco nuovo in uscita e che il Sonar sarebbe diventato il posto dove presentarlo ufficialmente. Stimolante per noi come festival, ma credo stimolante anche per loro poter presentare il loro nuovo materiale in un contesto come il nostro, leggermente diverso da quelli che possono frequentare di solito.
Quanto critiche avete avuto per la scelta di includere Skrillex nella line up?
Tantissime…
E cosa rispondiamo?
Che anche i giovani hanno bisogno di avere i loro idoli, e anche loro hanno diritto a ballare quello che amano. Comunque a noi del Sonar le critiche piacciono, del resto le abbiamo sempre avute – per Lana Del Rey, per mille altre cose… Ma, davvero, credo che Skrillex fosse giusto e necessario includerlo nella line up: ci sono molti ragazzi dall’età compresa fra i sedici e i ventidue anni convinti che Skrillex sia il musicista di riferimento perfetto per loro, e noi questa realtà non vogliamo ignorarla.
Ma a questi sedici/ventidue anni dobbiamo provare a spiegare che c’è vita anche oltre Skrillex, o li lasciamo serenamente divertirsi e via tutti in pace?
Certo che dobbiamo spiegarglielo! Ma guarda il programma: Skrillex è previsto piuttosto tardi, in serata… I suoi fan prima dovranno vedersi Major Lazer, magari anche scopriranno i Kraftwerk, incapperanno nel palco con su i Two Door Cinema Club… Insomma, avranno modo, anzi, saranno quasi costretti a vedere che c’è vita oltre a Skrillex.
Quanti italiani vi aspettate quest’anno? Di solito, quanti ne arrivano?
Non ho una cifra precisa, non abbiamo mai fatto delle ricerche specifiche in tal senso. Considerando le ultime edizioni, ci siamo attestati sulle 100.000 presenze come media; di questi, a occhio fra i cinque e gli ottomila sono inglesi, gli italiani probabilmente non meno di duemila. Un numero secondo me molto alto e, direi, molto soddisfacente. Dopo spagnoli inglesi, e al pari di francesi e tedeschi, l’italiano è direi il pubblico più fedele del festival.
Come te lo spieghi? Siete un festival non del tutto facile, e luogo comune vuole che l’Italia sia il “terzo mondo” della musica: non c’è cultura diffusa, c’è poca attenzione alla qualità, va solo ciò che è commerciale, eccetera eccetera… Com’è possibile allora che improvvisamente il pubblico italiano sia tanto recettivo verso il Sonar come pubblici in teoria molto più educati e smaliziati, vedi quello inglese e francese?
C’è una cosa che ci tengo a dire: evidentemente, se questi sono i risultati che si ottengono con l’Italia vuol dire che nel tempo abbiamo costruito delle ottime partnership, con realtà che sono veramente in grado non solo di supportarci, ma proprio di spiegare cos’è il festival, qual è il suo spirito, qual è il suo fascino. Partnership con realtà per me molto importanti: voi di Soundwall, Rai Radio Due, Radio Deejay, Deejay Tv… giusto per fare una prima di serie di nomi. La cosa interessante è che l’interesse attorno al Sonar in Italia vive anche sui social network, allo stesso livello che in Francia e Germania: se ne parla, se ne discute, ci si interessa. Tutto l’anno, e per tutte le nostre attività.
Già che siamo su questi discorsi internazionalisti, ampliamo un attimo lo sguardo. Anzi, facciamolo doppio: dimmi com’è andato il primo esperimento di esportare il Sonar in Islanda, e come mai invece l’evento primaverile 2013 brasiliano è stato annullato.
In Islanda è andata benissimo! Anzi, abbiamo appena confermato le date per il 2014, posso quindi già dirti che questo esperimento si ripeterà pure l’anno prossimo. Di più: già si sa che amplieremo le venue, avremo quindi la possibilità di ospitare produzioni ancora più grandi, avvicinandoci ulteriormente al livello del Sonar “vero”. Per quanto riguarda il Brasile, posso dirti che abbiamo tentato fino all’ultimo di salvare l’evento: ma una volta visto che non c’erano le garanzie al cento per cento di poter fare un evento all’altezza dei nostri standard qualitativi, che sono piuttosto alti, abbiamo preferito rinunciare. Se facciamo una cosa, vogliamo ragionevolmente essere sicuri di farla bene e di poterla fare nella sua completezza. Non con riduzioni in corsa.
A parte il Giappone, ormai una tappa fissa, in quali altri luoghi vorreste espandervi per i vostri eventi extra festival-madre?
Credo che quasi sicuramente faremo ritorno a Cape Town, crediamo infatti molto nelle potenzialità del Sudafrica. Settembre 2012 siamo andati negli Stati Uniti, vediamo se sarà possibile ripetere l’esperienza… Sai, nel caso degli USA ci sono importanti riflessioni da fare. Lì la scena e ancora più il mercato sono davvero sempre più in mano a ciò che è EDM, come la chiamano loro: una scena, un pubblico, un mercato che sono diversi proprio nel dna rispetto all’elettronica europea e ancora di più rispetto a quello che il Sonar è e vuole essere. Onestamente, non so fino a che punto sia possibile trovare un equilibrio e una reciproca convivenza fra i due. Bisogna ragionarci bene. L’EDM sta dando vita ad eventi sempre più grossi, sempre più pop, come ad esempio l’Ultra: nulla di male, assolutamente!, ma non è questo la nostra attitudine e non lo sarà mai. Gli Stati Uniti restano un mercato importantissimo, fondamentale; ma per essere adatto ad ospitarci, deve dimostrare di saper mantenere un equilibrio fra componente commerciale e componente underground, dando spazio ad entrambe, se non addirittura chiamandole ad influenzarsi a vicenda senza tuttavia che la prima mangi la seconda. Non so onestamente se questo sia possibile adesso, e nemmeno se sarà possibile in futuro.
Per molti anni si è parlato di uno sbarco del Sonar in Italia: solo voci di corridoio senza fondamento, o ci si è arrivati veramente vicini?
Sai, di solito quando iniziano a girare le voci almeno qualche piccolo fondamento di verità c’è… Sì, ne abbiamo parlato molto, di uno sbarco in Italia del Sonar. Abbiamo ricevuto molte offerte in tal senso. E’ che organizzare un evento a nome Sonar, in Europa, ha delle implicazioni complesse: o fai qualcosa che sia allo stesso livello del festival principale, quello di Barcellona; o fai qualcosa di più piccolo, ma che sia strategico per quanto fai a Barcellona ogni anno. Hai anche delle chiare limitazioni di calendario: qualsiasi cosa tu faccia, devi per forza farla non nel periodo estivo, per non oscurare l’evento principale. Ma al di là di questo: che bisogno abbiamo noi di fare degli eventi “strategici” in Italia (o Germania, o Francia)? Sono paesi in cui il festival è già conosciutissimo, dove abbiamo raggiunto quasi sicuramente il massimo della nostra audience potenziale… No? L’unica altra via allora sarebbe fare un evento “gemello” rispetto a quello che succede a Barcellona, piazzandolo in un periodo dell’anno che non sia l’estate: con quindi le stesse dimensioni, lo stesso standard qualitativo. Uno standard però davvero difficile da rispettare a livello gestionale ed economico. Ogni volta che si è arrivati nello specifico a discutere di budget, si è capito che nelle offerte che ricevevamo questo dato era sottostimato rispetto a ciò che, per nostra opinione e per nostra esperienza, era necessario. Non se n’è quindi fatto mai nulla.
Quali sono gli altri festival europei che stimi di più?
Mi piace molto il Field Day, per dimensioni e per tipo di line up. Il Melt, con cui sentiamo di avere molte affinità e con cui ci siamo seguiti reciprocamente fin dall’inizio. Stimo moltissimo il vostro Club To Club, ancora di più adesso che sta facendo lo sforzo di esportarsi anche ad Istanbul. Sai, a titolo personale ti posso dire che sono ovviamente interessata soprattutto agli eventi organizzati da persone che conosco e con cui io, come Sonar, collaboro ormai da tantissimi anni. Se poi invece ci riferissimo ai gusti musicali, la mia scelta magari cadrebbe più su cose tipo il Worldwide di Gilles Peterson… ma viene prima la voglia e la soddisfazione di vedere cosa fanno gli amici.