La seconda edizione del Sónar Lisboa si è svolto durante tre giorni nella cornice dell’affascinante Pavilhão Carlos Lopes, nel Parque Eduardo VII, e della verdissima Estufa Fria, la serra cittadina, tra cactus e piante tropicali. L’obiettivo era quello di ripetere il discreto successo del primo tentativo nel portare il format trentennale in Portogallo, migliorando sugli aspetti che non avevano funzionato, tra cui la ricezione abbastanza tiepida da parte del pubblico locale.
Il primo giorno parte con l’apertura del Sónar+D, la sezione aperta a tutti, con piccoli panel tematici e alcune installazioni multimediali che provano a fondersi con la natura della location. La bellezza della serra tropicale sovrasta i soundscape poco ispirati e le proiezioni di immagini generate da intelligenza artificiale, diventate cliché in pochissimo tempo. In generale l’apertura del festival è un po’ sonnacchiosa: nulla di sorprendente visti i flemmatici costumi locali e l’abitudine a iniziare la serata sul tardi. La linea musicale della serata continua con live e DJ Set a volte un po’ monotematici, che hanno però il pregio di attrarre una nicchia di persone interessate al genere e di creare generalmente una bella vibe, cosa non scontata quando si parla di festival con grossi investimenti e interessi economici alle spalle.
È durante il secondo giorno che il festival cambia marcia, con biglietti sold out e code interminabili già dal primo pomeriggio. È chiaro come l’organizzazione abbia puntato molto forte sul sabato: senza nulla togliere agli artisti delle altre giornate, molti dei nomi “di peso” sono concentrati nella versione diurna del Day 2. Il fatto che il primo slot ad andare sold out sia proprio quello con Peggy Gou e Folamour rispetto ad altri momenti con generi più “pesanti” è un segnale del cambiamento del gusto lisboeta, che nonostante lo stereotipo solare della città viene da un passato molto arroccato su sonorità cupe e minimali. Dall’altro lato, che il pubblico non sia ancora abituato a questo tipo di eventi lo si capisce dalle piste mezze vuote nelle prime ore del festival, nonostante le line up di tutto rispetto, che stridono con le location completamente intasate verso il finale e gli ingorghi infiniti per passare da uno stage all’altro, colpevole una gestione logistica non particolarmente riuscita. Anche la cosiddetta zona VIP, a cui si poteva accedere pagando circa il doppio del costo del biglietto, è imballata tanto quanto se non più della pista centrale stessa, trasformandosi in un goffo tentativo di creare un’esperienza “a due velocità” in una città che questo tipo di dinamiche le conosce poco o niente.
Finalmente il terzo giorno del festival è quello delle scelte coraggiose in line up, con nomi importanti accanto ai migliori talenti autoctoni e altri azzardi ispirati. Con i numeri di pubblico non si raggiungono i picchi del sabato, ma si creano comunque situazioni interessanti sotto tutti gli stage, confermando la qualità della cosiddetta vibe degli avventori. Tra i tre giorni, questo è stato di gran lunga il nostro preferito.
Il festival si è poi chiuso lasciando sulla pista una marea di faccioni sorridenti e felici, ma anche un retrogusto amaro per l’occasione sfruttata a metà. Rimane l’impressione che si sarebbe potuto fare di meglio. Non basta prendere un format nato e cresciuto organicamente in un luogo come Barcellona e appiccicarlo pari pari da un’altra parte per replicarne l’atmosfera. Forse sono proprio le aspettative che questo nome si porta dietro a rendere molto più evidenti le mancanze che si sarebbero altrimenti perdonate a una realtà più piccola. Allo stesso tempo, questa non vuole essere una stroncatura, anzi: è il classico esempio dello studente promettente ma che non si impegna abbastanza. Quest’organizzazione ha il merito di aver portato a Lisbona produzioni di una qualità vista raramente da queste parti, ma può fare sicuramente di più nella gestione della logistica e nel dialogo con il pubblico.
Lisbona è una città che, nel bene e nel male, è cambiata radicalmente nel giro di una decina d’anni e con un sottobosco underground particolarmente attivo e dinamico. Forse un primo passo potrebbe arrivare da una maggiore integrazione con chi si rapporta ogni fine settimana con il pubblico locale. L’intento di alzare il tiro delle produzioni presenti in città è sacrosanto, ma si raggiunge davvero il livello successivo quando tutta la scena supporta il festival. In questo caso, invece, ognuno è sembrato andare per la propria strada, con giusto un paio di miseri eventi Off Sonar tirati per i capelli a fare da contorno e poco più. Scelte legittime e sacrosante, ma in un periodo in cui i budget iniziano a stagnare, andare completamente in ordine sparso genera solo entropia e spreco di preziose risorse. Un coinvolgimento vero, un parlare con, invece che parlare a, potrebbe essere un buon modo di raddrizzare la rotta.
Ci auguriamo quindi un Sónar Lisboa 2024 in cui l’organizzazione abbia il coraggio di porsi come osservatrice meritocratica della scena locale, prima ancora che come magnete per gli sponsor e i cachet stratosferici. Noi saremo lì, a ballare in pista, perché qualche difetto è inevitabile quando si cerca di costruire qualcosa, ma lo sforzo di portare Lisbona nella mappa europea del clubbing merita tutta la nostra stima.
Até a próxima!