La scena musicale italiana potrebbe essere descritta come una gigantesca spugna. Assorbe in fretta ciò con cui viene a contatto con una tale enfasi da diventare un qualcosa di “viscerale” quasi immediatamente. Il problema è che, esattamente come le spugne, basta una strizzata e tutto filtra fra le fibre fino a diventare un lontano ricordo. Così è stato anche per il fenomeno house, sviluppatosi a cavallo fra gli ’80 e i ’90, e divenuto in fretta un autentica epoca di costume del nostro Paese per poi diventare un mercato “di nicchia” a cavallo col nuovo millennio, prontamente sostituito da altri filoni musicali, altre mode, in generale da un nuovo modo di concepire il business che forse la scena house non ha mai compreso (e accettato) fino in fondo. Ed è proprio in seguito alla parola fine che, però, inizia la storia dei Souldynamic. Inizia da quella parte del nostro amato e controverso stivale che ha deciso di portare avanti la scena house per quella che era, senza compromessi o contaminazioni esterne. Capitanata dalla scena napoletana, dove dopo Maradona e San Gennaro vengono Erick Morillo e Louie Vega, e da altre realtà come il Room26 e l’Urban Klub, questa realtà underground è andata via via consolidandosi. Luca e Stefano ne rimangono impressionati fin dai loro primi incontri, fino a giungere nel 2007 all’idea di fondere le loro idee e di creare qualcosa che possa essere parte di tutto ciò. Da quel momento ad oggi sono successe parecchie cose, fra le altre la residency in due degli eventi più importanti nel genere, il Southport Weekender e la sua versione estiva chiamata SuncèBeat. Non ci resta che lasciare che siano loro a raccontare il percorso che li ha condotto fino a qui.
Quali sono state le vostre “radici” musicali? Come vi siete approcciati singolarmente ai generi elettronici e in particolare alla soulfulhouse?
Possiamo dire che, prima di aver raggiunto la maggiore età, entrambi abbiamo iniziato a trasformare quella che era una semplice curiosità verso il genere soul e disco in una vera e propria ricerca che ci ha fatto crescere a livello culturale e musicale sia come persone che come djs.
Il progetto Souldynamic parte nel 2007, ma il vostro rapporto di amicizia risale a diversi anni prima. Come vi siete conosciuti? E quando avete realizzato di poter creare qualcosa di concretamente vostro musicalmente parlando?
Ci siamo conosciuti intorno al 2003 nell’unico dj store della nostra città dove tutti noi djs ci scambiavamo idee, consigli, e quant’altro… e tra un discorso e l’altro venne fuori l’idea di fare un programma radiofonico dove l’elemento principale doveva essere l’house music. Presentammo la nostra idea al direttore artistico della radio più rappresentativa della nostra città che fu subito entusiasta della nostra proposta. Per circa tre anni e mezzo abbiamo portato avanti il nostro radio show con passione mentre studiavamo software per la produzione musicale. A metà del 2006 ci sentivamo un po’ limitati nel portare avanti il solo progetto radiofonico così decidemmo di terminare questa esperienza per dedicarci definitivamente alla produzione perché pensavamo fosse la strada giusta per crescere professionalmente; nei primi mesi del 2007 nacque così il progetto Souldynamic.
Com’era la situazione musicale in Italia quando avete iniziato a collaborare? Avete avuto difficoltà a farvi notare a livello artistico?
Naturalmente le difficoltà di farci notare non sono state poche all’inizio. Solo grazie ai sacrifici e alla determinazione abbiamo portato avanti questo progetto che necessita ancora di ulteriore maturità. Ci definiamo ancora ragazzi che fanno “la gavetta” pur avendo suonato in alcuni clubs importanti e lavorato per importanti labels del panorama house underground.
E poi quali sono state le prime persone ed i primi locali a credere nel vostro talento?
Tra i primi djs, nonché grandi amici, a credere in noi sono stati senza dubbio il dj resident dell’Urban Klub Davide Fiorese e la promoter dj inglese Sarah Favouritizm. Davide ci ha dato l’opportunità di suonare all’Urban Klub ovvero uno dei più rappresentativi club del panorama house in Italia. Sarah, dopo aver collaborato con noi su alcuni progetti per la sua label ci ha aperto alcune nuove strade presentandoci agli organizzatori di SUNcéBeat allora alla sua prima edizione.
E a livello produttivo? Quali sono state le vostre prime soddisfazioni?
Siamo stati fortunati nel vedere molte delle nostre produzioni e remixes suonati dai più grandi djs del nostro settore. Sin dalla nostra primissima release rilasciata dalla label degli storici gemelli inglesi Bobby & Steve, ZooGroove Stereo, abbiamo ricevuto ottimi feedback da djs come Joey Negro, Jamie Lewis, Groove Assassin. Abbiamo proseguito la nostra strada musicale rilasciando releases e remixes su labels del calibro di Purple Music, King Street, Soulfuric, Underground Collective, Tony Records, Quantize Records, Code Red, Soundmen On Wax e molte altre.
Nella musica soulful in particolare è molto rilevante anche la scelta dei cantanti. Nomi come LoleattaHolloway, Jocelyn Brown, Ultra Nate, Robert Owens e India hanno prestato le loro splendide voci all’elettronica diventando vere icone del genere. Se poteste scegliere un featuring di cui andate veramente fieri quale sarebbe?
Sicuramente il featuring che abbiamo fatto con Susu Bobien per 99&Half è stato molto importante, senza dimenticare un altro brano al quale siamo molto legati che è Revival cantato dalla bravissima Adeola Shyllon. Nell’ultimo periodo il panorama della musica house underground sta subendo un significativo cambiamento sotto questo aspetto. Stiamo notando con grande piacere che c’è una nuova schiera di giovani e talentuosi cantanti emergenti che si stanno facendo largo in questo settore musicale e non solo come ad esempio l’ormai affermata Bucie, Miranda Nicole, Nathan Adams, Taliwa, Linn Lockami, Machildblack, Tracy Hamlin per citarne alcuni ma lista è molto più lunga. Questo è un segnale molto positivo per l’house music e per noi producers che siamo sempre alla ricerca di voci interessanti e di talento.
E quale collaborazione invece sognate un giorno di poter portare a termine?
Non nascondiamo l’amore per alcune delle piu belle voci dell’house music quali Julie McKnight e Josh Milan, con i quali ci piacerebbe collaborare in un futuro non troppo lontano
Fino ad ora vi abbiamo circoscritti essenzialmente sotto il termine “soulful”. Vi sentite di racchiudere il vostro suono sotto questo unico sottogenere o amate spaziare e prendervi qualche licenza durante i vostri set e podcast?
Più che “soulful” ci piace identificarci semplicemente come house visto che sarebbe il termine più appropriato. Ci rendiamo conto perfettamente che la parola “House Music”, al giorno d’oggi, è notevolmente inflazionata a causa di personaggi e media che usano questo termine in modo totalmente sbagliato. Ma per noi ha e avrà il fascino di sempre perché sappiamo cosa rappresenta realmente. Musicalmente parlando amiamo spaziare dal classico sound soulful funky passando a sonorità deep e dub fino ad arrivare ad un vibe più afrobeat.
Il mondo della soulful sta attraversando anni difficili, soprattutto in Italia, dove per parecchio tempo sembrava non si parlasse d’altro e poi è caduto tutto nel dimenticatoio in nome dell’elettronica di importazione nord-europea, dell’EDM e di tutto ciò che sta in mezzo. Quanto è difficile oggi portare la bandiera della soulful in un Paese che sembra averne dimenticato il sapore?
Molti addetti ai lavori hanno differenti idee e tesi riguardo la fine e la rinascita di un genere musicale. Probabilmente la nostra musica, come tutti gli altri generi di settore, è caratterizzata da un percorso ciclico fatto di alti e bassi. Noi non facciamo dell’Italia il nostro territorio principale nel quale esprimere il nostro sound.
Fra le poche realtà rimaste legate alla soulful in Italia (abbiamo spesso citato il Moxa, ora uscito un po’ dal radar, e l’Urban Klub) vi abbiamo visti recentemente ospiti al party NEUHM (acronimo di Not Everyone Understands House Music) a Napoli, città che forse più di ogni altra nel nostro Paese ha saputo e sa ancora celebrare l’house ed i suoi artisti house come fossero vere divinità. Quali sono state le situazioni nostrane in cui avete sentito maggiore supporto a questo tipo di scena musicale?
Sicuramente Napoli è un’isola felice sotto questo aspetto e, secondo noi non è paragonabile, per quello che abbiamo visto e continuiamo a vedere a nessun’altra città europea. L’atmosfera è elettrica si respira passione e i ragazzi del NEUHM sono così uniti e dediti a questa scena musicale da sentirsi in dovere di portarla avanti nel miglior modo possibile. Nella nostra esperienza lavorativa non possiamo dimenticare l’Urban Klub e le feste nel padovano con il nostro amico Davide Fiorese e le serate al Room 26 insieme ad un altro grande amico e maestro Luis Radio che ha ricreato, insieme al suo staff FCO, un’atmosfera in stile Paradise Garage che ha reso questo club unico in Europa. L’IPM, festival che viene organizzato a Roma nel mese di luglio del quale abbiamo fatto parte già un paio di volte e che di anno in anno cresce di importanza a livello internazionale richiamando dj’s e appassionati da tutte le parti del mondo.
Quando vi siete spostati nel Regno Unito avete trovato un ambiente sicuramente più poliedrico, ma l’idea che traspare è che sia dura anche da quelle parti per certi generi. E la cosa più sconcertante è che soprattutto negli USA, dove il genere è nato ed ha vissuto le sue prime, grandiose primavere, oggi non ci sia più troppo spazio per certi artisti salvo occasioni particolari come la WMC di Miami. Siete d’accordo con questa analisi o il vostro vissuto racconta cose diverse? Come si è sviluppato il vostro lavoro una volta varcati i confini nazionali?
Nel Regno Unito c’è una concezione diversa dell’house music. Sicuramente anche lì la situazione non è delle più floride, ma in città come Londra ci sono molti piccoli clubs dove si possono ascoltare ottimi dj set house che resistono nel tempo a qualsiasi crisi o distorsione musicale. Questo succede perché, essendo Londra una città da sempre piena di sperimentazioni sonore, c’è spazio sufficiente per tutti gli stili musicali e per tutti coloro che vogliono seguire o esibire un determinato genere dal vivo. Le nostre esperienze a Londra sono state molto positive. Riguardo gli USA dobbiamo ammettere di essere rimasti un po’ delusi dalla WMC. Secondo noi uno dei motivi principali per i quali questo festival è ancora in piedi è dovuto al fatto che si svolge a Miami. I parties veramente importanti si contano sulla punta delle dita e sono organizzati dai ‘soliti’ big del panorama house. Speriamo che la situazione migliori in qualche modo perché gioverebbe a tutti noi. Quest’anno non abbiamo partecipato alla WMC ma ci sono arrivate voci che sia stata positiva rispetto a questi ultimi 4-5 anni. Non dobbiamo dimenticare che la scena club si è spostata in Europa ormai da diverso tempo e festivals o conference come l’ADE di Amsterdam sono in continua crescita anche per la nostra musica grazie al fatto che le distanze e i costi per raggiungere una meta europea come l’Olanda sono di gran lunga ridotti rispetto a quelli che un dj o clubber italiano, inglese o spagnolo deve impiegare per andare negli USA.
Ovviamente non si può parlare di UK e house senza nominare il Southport Weekender, di cui siete da qualche anno resident e dove anche noi di Soundwall saremo presenti il prossimo maggio per il Big50. Il festival, organizzato annualmente sulle coste di Minehead proprio di fronte al Galles, si erge a monolite del popolo house nel Vecchio Continente (e non solo) offrendo una line up comprendente il meglio della storia e del presente della scena. Come siete entrati in contatto con gli organizzatori del festival? Vi siete piaciuti fin da subito?
Come già detto in precedenza, abbiamo avuto la possibilità di entrare a far parte del roaster di Southport Weekender grazie alla promoter/dj Sarah Favouritizm che allora lavorava nell’organizzazione e ci ha dato la possibilità di esibirci alla prima edizione del Suncèbeat. E’ lì che abbiamo conosciuto Alex e Dave ovvero gli storici organizzatori di Southport Weekender che hanno creduto in noi fin da subito dopo averci ascoltato nei vari set del festival croato. Non possiamo nascondere che entrambi sono persone molto simpatiche e cordiali con le quali non ci vuole molto ad instaurare un bel rapporto di amicizia e lavorativo.
Oltre al formato originale, siete resident fin dalla prima edizione anche della versione estiva del Southport, chiamata SuncèBeat, di cui anche noi siamo voluti essere a tutti i costi ospiti la scorsa estate sulle bellissime rive di Tisno, in Croazia. Raramente ci eravamo trovati di fronte ad un pubblico così competente, affiatato e passionale come quello che abbiamo trovato da quelle parti. Ci si rende conto di essere davvero parte di una grande famiglia che ogni anno si ritrova per fare festa insieme. Quali sono i vostri migliori ricordi legati a questa esperienza giunta ormai alla sua quinta edizione?
Il SuncèBeat è un festival che ha un fascino particolare e che noi consigliamo a tutti coloro che amano l’house music e che in estate vogliono unire il concetto di vacanza a quello del divertimento da club. L’aria che si respira è magica, il paesaggio è mozzafiato e la musica house è la colonna sonora di quei giorni. I boat parties sono un esperienza unica: ti ritrovi i clubbers ad un palmo di mano dalla consolle. Sono lì, davanti a te, appassionati, energici, che non aspettano altro che tu metta il disco successivo! Si divertono, sorridono e contribuiscono insieme a noi djs a creare un’atmosfera irripetibile e indescrivibile, questo è SuncèBeat. Siamo stati abbastanza chiari e convincenti?
Ci sono tanti club che hanno fatto la storia della musica house. Se poteste sceglierne tre (anche prendendo la macchina del tempo) in cui aver la possibilità di suonare, quali sarebbero e perché?
Tre soli club è un po’ poco, sicuramente nei primi posti della nostra lista ci sarebbero il Paradise Garage, Warehouse, il Ministry Of Sound, lo Shelter Club, Zanzibar, Echoes, Red Zone e molti altri.
E se vi chiedessimo di scegliere cinque tracce che hanno segnato il vostro percorso come duo quali sarebbero?
Anche a questa domanda è abbastanza difficile rispondere visto che sono talmente tante le tracce belle uscite negli ultimi 15-20 anni che nel momento in cui ne scriviamo una automaticamente ne dimentichiamo un’altra dello stesso valore. Possiamo dire di essere stati molto influenzati dalla musica dei MAW (ovviamente), Kerri Chandler, Joe Claussell, Basement Boys, Timmy Regisford, Osunlade, Joey Negro.