Le illustrazioni delle nostre Battles sono firmate da Enrico Motti
Stavolta per la #battle ci toccherà fare un po’ più i seri del solito, ‘ché i nomi toccati sono un tantino meno canzonabili. E no, non abbiamo messo gli uni davanti agli altri Massive Attack e Portishead per un improvviso attacco di nostalgia. Il pretesto è stato vederli ancora battere i palchi caldi di quest’estate, coi primi già passati dal Sonar (ma anche a Milano) e i secondi attesissimi per il prossimo Melt!. E non ci servivano molte altre ragioni per recuperare due delle realtà elettroniche storicamente più amate di sempre e metterle coraggiosamente a confronto in questo scontro qui inedito. Se la giocheranno duramente e sotto diversi aspetti, per il titolo di signori dell’elettronica emozionale. Un’attitudine che torna attuale ancora oggi e che rende ancora entrambi perfettamente spendibili nelle dinamiche correnti, sia live che di produzione. Sarà anche un cedimento al romanticismo, ma giustificato da ciò che osserviamo al momento. E poi, avercene di attacchi romantici come questi.
Parliamo ovviamente di trip hop, una delle parentesi più influenti e indimenticate dell’elettronica d’ascolto, di cui Massive Attack e Portishead sono artefici, leader e simboli. E parliamo di una città come Bristol, tanto ispirata quanto compatta, che chiunque ci abbia vissuto descrive come un posto piovoso, grigio, dove la condizione media per un musicista consiste nello star chiusi in studio sentendo la pioggia battere sui vetri, con conseguente spirito malinconico che vien fuori nella musica prodotta. È la stessa città in cui presto sarebbe sbocciato il dubstep più buio, vale a dire la reazione analoga alla cupezza cittadina nata stavolta dai club, e non son pochi a riconoscere nel dubstep bristoliano l’eredità trip hop. E se nessuna delle due band qui sopra in realtà ha mai inteso seminare produzioni prossime a quelle dubstep, è vero anche che son stati loro a tramandare una lezione di profondità e introspezione, di lavoro sugli spazi che ha sicuramente rappresentato un presupposto importante per quel che venne dopo. Come un altro messaggio importante diffuso dalla Bristol di quel tempo fu l’affiatamento tra i protagonisti: zero competizione o voglia di scavalcare gli altri in visibilità o successo, ma pieno supporto reciproco a chi contribuiva a rendere famoso nel mondo il suono peculiare a cui si apparteneva (lezione, questa, che dalle nostre parti dovremmo ripassare più spesso possibile).
Eppure queste sono band diversissime tra loro, per certi versi proprio opposte, ed è intrigante metterli uno contro l’altro di fronte alle loro differenze d’approccio, provando a stabilire chi alla fine ha vinto. Per dire, Massive Attack vs. Portishead significa ad esempio perseveranza contro perfezionismo: i primi hanno promosso la costanza, producendo dischi a ritmo costante e non tirandosi mai indietro di fronte alla naturale evoluzione di ogni percorso artistico, anche a costo di produrre qualche disco minore (che, per inciso, nel caso dei Massive non è mai andato sotto la sufficienza). I secondi, no, assolutamente. Son stati in grado di aspettare 11 anni prima di sentirsi pronti per un terzo disco. La loro è la ricerca della soddisfazione completa, contro l’importanza di tenere forte il rapporto col pubblico a tutti i costi dell’altra sponda. E ciò ovviamente si riflette sui diversi temperamenti del rispettivo pubblico: è naturale sentire un rapporto più di empatia istintiva coi Massive, che bene o male continuano a coccolarti spesso e non ti fan mancare mai la presenza per troppo tempo, mentre la relazione coi Portishead assume pieghe più ‘religiose’: sai che ci sono, sai che ti daranno sempre il meglio per te. È un dogma. Ma devi avere fede, anche se non vedi segnali per lungo tempo.
Il che si riflette facilmente su altri possibili “scontri d’attitudine”. Classe vs. stile: la prima è il must have dei Portishead, con tutto il lavoro di preparazione che comporta, il secondo è una capacità più pratica propria dei Massive Attack, che li porta ad essere una delle band elettroniche più amate anche dal pubblico rock. Estroversione vs. introspezione: i Portishead sono la ricerca profonda dentro sé stessi e solo dentro sé stessi, i Massive sono da sempre una girandola di collaborazioni atta a formare un mosaico sonoro vario e caratteristico. E alla fine tutto si sintetizza nella sfida dei massimi sistemi: sesso vs. amore: Del Naja & co. sono la fisicità, il fascino a pelle, l’eccitazione che ti fa bollire il sangue; la band della Gibbons è il rapporto cerebrale, la dipendenza emotiva, lo stimolo intellettuale che fa nascere l’adorazione. Energia maschile contro sensualità femminile. Virilità contro innamoramento: di cosa si ha più bisogno?
Stabilire un vincitore è un’impresa dura, ma tirarsi indietro è da codardi. Abbiamo da un lato un trittico di dischi (“Dummy”-“Portishead”-“Third”) che si configura irripetibile, dall’altro una discografia fluida che parte calda e jazzy (“Blue Lines”), si fa fredda e inafferrabile (con “Protection” e ancor più con “Mezzanine”) e si va infine consolidando in una dimensione sicura e riconoscibile (“100th Window” gioca di continuità, “Heligoland” è la conferma). A vincere però è chi risponde meglio alle esigenze dei tempi d’oggi: in questo momento serve essere presenti, mantenere il contatto e garantire stabilità per chi vede accelerare le direzioni musicali in mille traiettorie diverse, non sempre confortanti. Esserci è fondamentale, non esserci può troppo facilmente significare nascondersi. E sono i Massive Attack che danno più garanzie sotto questo punto di vista. Al pubblico servono sicurezze. Siam grandi abbastanza da aver rinunciato a ricevere la perfezione in questo mondo. Preferiamo un nuovo disco ogni tre o quattro anni, con costanza. Pazienza se non sarà perfetto: sarà reale. La realtà è piena di imperfezioni, carenze, difetti, ma è lì che viviamo. E non vorremmo restarci da soli.