Lo avrete capito in questi giorni. Lo capirete anche dalle righe che seguono. A noi di Soundwall piace condividere coi nostri lettori ciò che ci è piaciuto di più negli ultimi 365 giorni. Non certo per ergerci a detentori della verità assoluta, quanto più per darvi qualche input, in modo da farvi scoprire talvolta qualcosa di nuovo o, magari, anche solo darvi il là in caso di dubbi su quale manifestazione visitare. Insomma, è arrivato il momento di fare il punto della situazione anche riguardo ai festival di cui, nel corso di questo 2015, siamo stati diretti testimoni. Proprio per questo motivo, non allarmatevi se non vedrete tutto ciò che avreste pensato fosse meritevole di essere menzionato. Semplicemente non vogliamo classificare qualcosa a cui non abbiamo potuto (per un motivo o per l’altro) essere presenti.
Come ogni anno abbiamo urlato, ci siamo emozionati, abbiamo viaggiato con improbabili mezzi di ogni tipo per poter dire “Io c’ero”. Questo è il riassunto del nostro anno on the road e siamo felici di potervene offrire la parte migliore.
Inutile girarci troppo attorno, dal momento della sua nascita nel 2013 il Dekmantel ha subito preso fermamente posizione all’interno dei nostri cuori. Sarà il fatto che l’organizzazione degli olandesi è impareggiabile, sarà che così tanta bella musica per tre giorni consecutivi sembra davvero una benedizione, sarà che posti come lo stage Selectors e dj come Floating Points, Antal e Hunee (ma ce ne sarebbe tanti altri da citare, in primis Robert Hood che suona con sua figlia in Boiler Room) hanno l’abilità di creare quell’empatia fra location, pubblico ed artisti che da sempre attribuisce un senso al nostro vagabondare, ma ci sentiamo di voler citare questo evento prima di qualunque altro. Con la speranza che, nonostante una popolarità esponenzialmente aumentata nel corso delle edizioni, riesca a mantenere la stessa attenzione al dettaglio, sia dal punto di vista artistico che organizzativo, senza perdere la retta via.
Fresca new entry di fine anno, il Jazz:Re:Found ha saputo alzare l’asticella quantitativa e qualitativa della sua proposta muovendo il proprio carrozzone in direzione della città e andando a colonizzare per una settimana un luogo ricettivo ed allo stesso tempo complesso come Torino sa essere, vincendo quasi totalmente la scommessa e ponendosi ora in zona promozione affacciandosi alla Serie A dei festival italiani. Solo il tempo saprà dirci se questo processo potrà avere l’esito sperato. Nel mentre non possiamo far altro che godere di aver visto esibirsi tre nomi come DJ Premier, Theo Parrish e Moodymann (gli ultimi due in b2b) sotto lo stesso tetto. Chapeau.
Con una discreta mano da parte di Madre Natura ed un’esperienza ormai decennale, il Caprices ha saputo offrire anche quest’anno un evento di altissimo livello in una location di grande impatto come Crans-Montana, paesino posto in mezzo alle Alpi svizzere, partendo dall’ottima base della parte notturna, egregiamente gestita dal punto di vista tecnico (un filo meno da quello artistico), fino alle vette d’entusiasmo raggiunte al Modernity, uno dei luoghi migliori al mondo (e ve lo firmeremmo col sangue quanto detto, provare per credere) per fare festa. Affidare a nomi come Sven Vath, Ricardo Villalobos, Zip, Apollonia e Luciano le chiavi della vettura è stato il modo ideale per completare alla perfezione il meccanismo.
Ok, potevamo anche dare spazio a festival più bisognosi di visibilità e meritevoli di attenzioni. Ma francamente, al Sónar, che gli vuoi dire? Dopo vent’anni non accenna alcuna flessione nella proposta, anzi (se possibile) riesce ad alzare lo standard edizione dopo edizione. Quest’anno poi il plebiscito ricevuto dal live dei Chemical Brothers (mai visto il padiglione principale della Fira Gran Via scoppiare così di gente) ha dato un boost che sicuramente eleva il festival di almeno tre spanne rispetto al normale giudizio che si potrebbe dare. Le straordinarie performance di Palms Trax, Floating Points e Swindle in diurna (oltre al solito monumentale Laurent Garnier a serrare i battenti la domenica mattina) hanno fatto il resto.
Altro concept nuovo, dietro il quale si celano le menti di Found, che ha saputo guadagnarsi un posto nella nostra classifica grazie ad una perfetta sinergia fra sonorità tipicamente old school e novità di matrice puramente UK ed un pubblico fortemente eterogeneo eppure unito e festoso dal primo momento in cui la puntina ha toccato il primo disco. Fra il sole e le api del Trent Park di Londra a farla da padrone sono state soulful e garage, e fra tutti ci piacerebbe citare il bellissimo live di Julie McKnight, un Dimitri From Paris carico come non lo vedevamo da anni e l’intimissimo set degli Horse Meat Disco nella sala più piccola del festival. Ma le emozioni maggiori si sono vissute senza dubbio nella sala Back to ’95, dove siamo stati testimoni di ovazioni ed urla di gioia ad ogni traccia come (probabilmente) mai in vita nostra ci era capitato di vedere. Una roba fuori di testa. Ma si sa, gli inglesi (con tutti i loro difetti) sanno offrire un entusiasmo difficilmente pareggiabile quando si trovano al cospetto dei propri beniamini.
Dopo che aveva perso un po’ di grip nell’ultima edizione, siamo stati felicissimi di testimoniare il grande ritorno di Club To Club sui livelli che normalmente gli competono. Grazie ad alcune modifiche agli spazi, soprattutto al Lingotto (addio Sauna Rossa, benvenuta Sala Gialla) e ad una line up arricchita dall’avvento di Thom Yorke, fondamentale per attirare un pubblico “diverso” da poter coltivare col resto della manifestazione, questa volta siamo usciti davvero soddisfatti. Forse non tutto quello che abbiamo sentito ci ha fatto accapponare la pelle, ma la solidità di personaggi come Andy Stott, Powell e Shackleton (bravissimo a chiudere dopo Jeff Mills nonostante lo scetticismo del pre-festival) e l’atmosfera ludica del sempre attento Todd Terje hanno garantito un successo che è figlio della voglia di rinnovarsi ed adattare il proprio format in base anche ai feedback di chi Club To Club lo vive anno dopo anno.
Per quello che è da anni il punto di riferimento per i festival organizzati nei Balcani vale, essenzialmente, lo stesso discorso già speso per il Sònar. Vorresti poterlo escludere, ma davvero non si può. Uno dei pochi eventi di grande richiamo in Europa a mantenere ancora oggi un’atmosfera di grande intimità, senza essere soggetto al facile richiamo della commercializzazione e dell’esasperata spettacolarizzazione. E tutto questo nonostante la fortezza di Petrovaradin sia una location da lasciare senza fiato. Exit, anche quest’anno, rimane ben saldo come trait d’union fra diverse culture (poter avere a disposizione nello stesso evento Manu Chao e i Motorhead, senza contare tutti i diversi generi elettronici presenti, dovrebbe rendere abbastanza l’idea) capace di mettere in pratica il concetto che pone la musica come punto d’incontro fondamentale nella cultura contemporanea.
Un altro dei festival italiani che da anni ci piace maggiormente visitare e che anche in questa edizione ha saputo confermarsi degno del livello altissimo già raggiunto nelle precedenti edizioni. Anche grazie alla bellezza di Roma in Primavera e a location come il Maxxi e la Pelanda, che hanno fatto perfettamente da cornice a sonorità non sempre convenzionali (Scratch Perverts, Populous, Godblesscomputers su tutti) ma anche festaiole ed esaltanti (Siriusmodeselektor, John Talabot). Una combinazione di gusto e talento capace di soddisfare anche i palati più raffinati.
Per la terza volta consecutiva siamo stati ospiti del festival sulla neve per eccellenza e per la terza volta non possiamo fare altro che parlarne in termini entusiasti. Diversamente dal Caprices questa volta sono le Alpi austriache ad ospitare i (moltissimi) clubber, soprattutto di matrice anglosassone, pronti ad un’autentica Maratona lunga un’intera settimana tra piste da sci di giorno e piste da ballo la notte, con nel mezzo live di altissimo livello come Kasabian, Rudimental, Disclosure e Prodigy. Nonostante il costo non proprio alla portata di tutte le tasche (soprattutto se non siete in gruppo) non vi capiterà spesso di vivere una settimana bianca così entusiasmante. E difficilmente vi troverete a ballare dentro ad un igloo a 3000 metri d’altezza, posto in mezzo ad un silenzio di tomba, circondati da persone con addosso ogni tipo di costume l’uomo abbia mai concepito. Semplicemente surreale e bellissimo.
Ultima, ma non per questo meno importante, l’esperienza vissuta in Marocco alla fine dell’estate presso il complesso turistico sito nei pressi di Marrakech, in Marocco. Sicuramente ci sarà qualcosa da migliorare nelle prossime edizioni, sicuramente i prezzi per i generi di prima necessità non saranno stati tra i più economici che si ricordino, ma poter dire di aver sentito suonare dei cavalieri templari come DJ Harvey e Gerd Janson in un’autentica oasi nel mezzo del deserto sarà qualcosa che sarete felici di raccontare ai vostri amici. Con la speranza di rivederla il più presto possibile.